“La sessione di prova durerà otto giri. Prima, per riscaldamento e togliere un po' di ruggine, abbiamo previsto quattro giri con una moto più tranquilla: la Panigale V4 R”. Mi pizzico il braccio, probabilmente sto sognando. Solo in un sogno, qualcuno avrebbe il coraggio di definire tranquilla una moto come la V4 R; e si sottintende, affermando ciò, che la vera cattivona è quella che arriva dopo. In un sogno o in un'unica circostanza al mondo: il test della nuova Superleggera. E siccome il pizzicotto non ha avuto effetto, suppongo si tratti della seconda. Salto a piè pari i quattro giri di riscaldamento. In circostanze diverse sarebbero valsi tre articoli e due approfondimenti. Oggi sono un contorno. Eccomi invece proiettato sul rettilineo del Mugello con un'accelerazione che fa impallidire la "moto da riscaldamento" (direi per merito dei cerchi molto più leggeri, dei tanti kg in meno e degli organi del motore alleggeriti), in uno stridente contrasto tra la tranquillità della comfort zone creata dall'ampia carenatura e il fugace mondo attorno. Lo scollino non lo sento nemmeno, pare l'abbiano appiattito, eppure nei primi quattro giri un po' fifa mi faceva. Grazie, super ali della Desmosedici GP16. Freno al cartello dei 200 e come un tonno mi trovo pressoché fermo a 50 metri dalla San Donato. Annoto per l'ennesima volta di staccare più tardi, ma è più facile a dirlo che a farlo. Completo la figura da rookie con un inserimento che mi sorprende per rapidità, quasi al punto da farmi finire sul cordolo interno. Il fotografo, all'esterno della curva, mi scruta con espressione divertita.
Nelle varianti riguadagno un po' di autostima. Entro più veloce di quanto avrei pensato potessi osare e riesco comunque a disegnare la linea che avevo in mente, quella che serve per preparare l'uscita. Uscita dove posso accelerare una frazione di secondo prima - e con un pizzico di decisione in più - rispetto a quanto facevo con la R. Il muso resta basso e si fionda in avanti, senza chiamare in causa l'antiwheelie. La corsa al limitatore di questo V4 è poesia. Infilo la Casanova con piglio deciso. Il feeling con l'avantreno è ottimo, direi anche per il plus di carico garantito dalle ali. In genere, sulle supersportive, l'avantreno è leggero in accelerazione e si carica in frenata; si può parlare insomma di due sensazioni diverse, provenienti dalla ruota anteriore. Mentre qui la transizione è molto meno evidente. È, letteralmente, come se un tizio forzuto tenesse schiacciata verso il basso la ruota, attraverso una pressione sulla piastra di sterzo. L'effetto è un davanti che è saldo e preciso tanto in frenata quanto nel raccordare le curve e in accelerazione. Disegno insomma le Arrabbiate osando col gas: l'avantreno è la punta del compasso piantata nel foglio, il retrotreno la matita che traccia la linea. Gagliardissimo, arrivo alla variante successiva bello lungo. Ho molta voglia di andare al mare, non lo nego, ma perché diavolo ho deciso di "spiaggiarmi" proprio ora? Invece, magia. Tengo il freno tirato, azzardo un inserimento, la Superleggera nemmeno si accorge del mio t-errore e va alla corda. Ho mancato la linea perfetta di massimo un metro. Mi domando quale assurdo potenziale abbia questa moto, che nemmeno si è intraversata per darmi un minimo di soddisfazione, e sono già al Correntaio. Guardo l'asfalto negli occhi e immagino di fare le Biondetti come fossi su una Moto3. Invece scopro una maneggevolezza ad alta velocità che è solo ottima, direi all'altezza di quella della V4 R. Avrei pensato di meglio con cerchi così leggeri, ma se le ali hanno un difetto è questo: aumentano un po' lo sforzo necessario per "voltare" la moto ad alta velocità. Mi tuffo nella Bucine, prendo la corda all'ultimo e prima di arrivare sul cordolo esterno sono a full-gas. L'Akra ruggisce. Il tempo finisce.