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La Guzzi Gambalunga e il "figlio" Gambalunghino; le moto dell'Ingegner Carcano pt. 2

Gran parte della sua carriera l’ingegner Carcano l’ha passata sui campi di gara e nei reparti corse. Dopo aver curato la regia del Condor 500, approccia nel 1946 a una moto completamente nuova per la Moto Guzzi. Si chiama Gambalunga, sarà costruito in soli 13 esemplari, la sua carriera durerà cinque anni, e saprà generare la moto che porterà a Mandello il primo titolo nel Mondiale Velocità: il Gambalunghino 250

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Perché si chiama Gambalunga e non segue la dinastia ornitologica cara alla Guzzi? Perché le misure “vitali” di alesaggio e corsa, dai valori di 88 x 82 mm si arriva ad avere a un pistone da 84 mm perché la corsa si allunga a 90 mm. Così il nome diventa “Gambalunga.

Gambalunga 500, una rivoluzione

Creata nel 1946, coglie la sua vittoria più prestigiosa nel Gran Premio dell’Ulster 1948 con Enrico Lorenzetti. Nasce per contrastare la Gilera Saturno, moto più potente e meglio dotata in fatto di telaio e sospensioni. Si stacca, anche se non del tutto (per esempio il motore monocilindrico orizzontale), dal percorso tecnico del Condor e si chiama Gambalunga per il motore a corsa lunga anziché sottoquadro. Ha la forcella a biscottini oscillanti inferiori (sempre progettata dall’ing. Carcano), i freni più potenti, i serbatoi di benzina e olio separati e realizzati in alluminio, in più ha uno “strano”, anzi inconsueto, colore argento metallizzato.

E lo stesso ingegner Carcano a presentarci la sua moto. Questo è l’estratto da una intervista concessa a Motociclismo: “Il Gambalunga venne realizzato perché non era possibile migliorare e alleggerire ulteriormente il Dondolino conservandone l’identica struttura. La potenza era aumentata di poco (35 CV a 5.800 giri contro 33 CV a 5.500) mentre la massa era diminuita di tre chili (da 128 a 125 kg) grazie al ricorso ai serbatoi in alluminio. Al termine dell’evoluzione, nel 1951, la potenza era però salita a 37 CV a 6.000 giri e la massa scesa a 120 kg, con ulteriori modifiche al telaio e l’adozione del carburatore a vaschetta separata. La velocità massima sfiorava i 190 km/h. Per la precisione, nel 1950 vennero modificate la sagoma delle piastre sotto la sella, dei bracci di supporto del parafango posteriore e del forcellone, e vennero adottate ruote da 20”. Nel 1951 si utilizzò un parafango posteriore carenato, il sellone lungo e il carburatore a vaschetta separata. Il nome, come già detto, dipese dall’adozione di misure geometriche a corsa lunga, per ottenere un miglior riempimento della cilindrata perché con una corsa lunga l’aspirazione dura di più e anche per diminuire l’inclinazione della biella, riducendo la spinta sui cuscinetti di banco. La pratica dimostrerà però che il motore sottoquadro era migliore in fatto di coppia e regime di utilizzazione, per cui nel 1948 si tornerà alle tradizionali misure di 88x82 mm, ricorrendo contemporaneamente all’adozione di tre cuscinetti di banco anziché due. La nuova forcella a biscottini oscillanti non era più leggera della precedente a parallelogramma, ma le masse non sospese erano ridotte al minimo. La forcella del Gambalunga, poi, è stata importante perché da essa hanno preso spunto tutte le successive sospensioni anteriori delle Guzzi da corsa, se vogliamo, anche del Galletto. Dapprima con gli ammortizzatori idraulici racchiusi nei foderi e poi esterni. Per quanto riguarda il colore, in verità è nata prima l’aquiletta blu stilizzata sul serbatoio. Il colore argento è stato scelto in seguito, perché ritenuto il più idoneo a far risaltare il nuovo logo. Il primo pilota a guidare il Gambalunga è stato Ferdinando Balzarotti, in una serie di prove condotte sul percorso delle Mura di Bergamo”.

Dati tecnici Gambalunga primo tipo

Motore: monocilindrico orizzontale a quattro tempi, distribuzione a valvole in testa comandate da aste e bilancieri e richiamate da doppie molle a spillo scoperte; inclinazione valvole 62° fra loro; valvola di scarico al sodio. Testa e cilindro in lega leggera con canna riportata in ghisa; carter motore in electron. Alesaggio per corsa 84x90 mm = 497,7 cc. Compressione 8:1.

Carburatore: Dellorto SS 35 M, getto max 150-160; capacità serbatoio benzina 23 litri.

Accensione: magnete Bosch o Scintilla ad anticipo manuale; candela 260 vecchia scala Bosch.

Lubrificazione: a carter secco con serbatoio sotto la sella (capacità 3 litri) e doppia pompa, di mandata a ingranaggi, di recupero a palette.

Trasmissioni: primaria a ingranaggi diritti sulla sinistra, rapporto 1,77:1 (denti 44/78); secondaria a catena sulla destra; pignone uscita cambio da 16 denti, corona posteriore da 36 a 40 denti.

Frizione: a dischi multipli in vapori d’olio.

Cambio: in blocco a quattro rapporti con ingranaggi sempre in presa, innesti a denti frontali e presa diretta, comando con pedale a bilanciere sulla destra.

Telaio: a doppia culla aperta con trave superiore a U in lamiera forata, bretelle frontali in tubi di acciaio, piastre centrali e bracci parafango posteriore in lega leggera; inclinazione cannotto di sterzo 28°.

Ruote e pneumatici: a raggi, cerchi in lega leggera, misura 21”x1 ¼ con pneumatici 2.75- 21 rigato anteriore e 3.00-21 scolpito posteriore (dal 1950, cerchi da 20”x1 ½ con gomme 3.00-21 anteriore e posteriore).

Freni: a tamburo laterale con leve apri ganasce interne, dimensioni utili 280 mm x 25, anteriore e posteriore.

Dimensioni (in mm) e peso: interasse 1.490, lunghezza 2.196 (dal 1950, 2.000), larghezza 630, altezza massima verificata al manubrio 940, altezza sella 765, altezza pedane 310, larghezza pedane 490, altezza minima da terra 200 (dal 1950, 170). Peso 125 kg (dal 1950, 120).

Prestazioni: potenza max 35 CV a 5.800; velocità massima 180 km/h.

Gambalunghino 250: suo il primo mondiale del 1949

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Con i dettami tecnici del Gambalunga 500 nasce questa versione di 250 cc. Questa moto si deve a una intuizione di Enrico Lorenzetti, il “filaper” . Prima con Bruno Ruffo (1949 e 1951) e poi col pilota “alto e lungo”, che diventerà il campione del mondo 250 nel 1952.

Con i dettami tecnici del Gambalunga 500 nasce questa versione di 250 cc. Questa moto si deve a una intuizione di Enrico Lorenzetti, detto il “filaper” in milanese. Conquista tre titoli mondiali: prima con Bruno Ruffo (1949 e 1951) e poi col pilota “alto e lungo”, che diventerà il campione del mondo 250 nel 1952.

Il Gambalunghino è il frutto di un trapianto al quale viene sottoposto un Albatros 250, che riceve pezzi vitali prelevati da un Gambalunga 500, da qui lo scontato nome di “Gambalunghino”. L’incidente è quello che accade al super “privato” Enrico Lorenzetti dopo aver ritirato il suo splendente Albatros fresco di revisione al Reparto Corse di Mandello: sulla strada del ritorno verso Milano, il carrello che portava la moto si sgancia e frana addosso a un pilone, rovinando la moto. Si ritorna alla Guzzi, per ripristinare l’Albatros, ma non ci sono i pezzi di ricambio per ripristinare la moto per la prossima gara internazionale, il GP della Svizzera a Ginevra. Poiché Lorenzetti conosce benissimo il Gambalunga 500 (nel 1948 vincerà il titolo europeo della 500 in gara unica a Belfast, in Irlanda del Nord) chiede che le parti danneggiate della sua moto vengano sostituite con quelle della quasi sorella di maggiore cilindrata. L’operazione avviene e vengono montati l’intero avantreno con la forcella a levette oscillanti e il freno a tamburo da 250 mm; Il serbatoio dell’olio, che sull’Albatros è sopra il serbatoio del carburante, migra sotto la sella col vantaggio di un migliore raffreddamento. A questa configurazione il Filaper aggiunge la colorazione argentea, proprio quella del Gambalunga. Per la cronaca in Svizzera il pilota milanese si piazzerà al quarto posto preceduto in vetta da un concreto Ambrosini sulla Benelli oltre che da Wood e Mastellari con le Guzzi. Ma la moto trasformista è veloce e Lorenzetti vince il campionato italiano di prima categoria.

Nel 1949 le Guzzi 250 ufficiali (quelle di Fergus Anderson, Gianni Leoni e Fergus Anderson) sono praticamente la copia di quella di Lorenzetti. Bruno Ruffo si aggiudica il mondiale di categoria mentre il Gambalunghino vince tre delle quattro prove che sommano il campionato, compreso il TT (con Manliff Barrington) sulla distanza di 425 km!

Dati tecnici versione 250

Motore: monocilindrico quattro tempi raffreddato ad aria, alesaggio per corsa 68x68 mm, cilindrata 246,95 cc, distribuzione monoalbero a coppie coniche e due valvole in testa inclinate a 58°, rapporto di compressione da 9 a 11,5:1 secondo le versioni.

Accensione: a magnete con anticipo fino a 41°, candela grado termico vecchia scala Bosch 260-280.

Alimentazione: carburatore Dellorto SST 35/1 con diffusore da 35 mm, capacità serbatoio benzina 23 litri.

Lubrificazione: a carter secco, con doppia pompa, a ingranaggi di mandata, a palette di recupero, capacità serbatoio 3 litri.

Frizione: a dischi multipli in vapori d’olio.

Cambio: in blocco a quattro marce. Rapporti: 1,96 in prima, 1,46 in seconda, 1,21 in terza e 1,00 in quarta.

Trasmissioni: primaria a ingranaggi a denti diritti sulla sinistra, rapporto 2,00 (36- 72); secondaria a catena sulla destra, rapporto 3,066 (15 pignone, 46 corona). Rapporti totali: 12,018 in prima, 9,014 in seconda, 7,419 in terza e 6,132 in quarta.

Telaio: a doppia culla in tubi con piastre centrali in alluminio e bracci di sostegno del parafango posteriore in lega leggera, inclinazione cannotto di sterzo 27°30’, avancorsa 60 mm.

Sospensioni: anteriore a levette inferiori con ammortizzatori negli steli della forcella, posteriore forcellone oscillante in tubi con doppia molla sotto il motore e ammortizzatori a frizione.

Ruote e pneumatici: cerchi a raggi in lega leggera con pneumatici 2,75-21” ant e 3,00-21 post.

Freni: ant e post a tamburo laterale da 280x25 mm ant e 200x30 mm post.

Dimensioni (in mm) ne peso: Lunghezza 2.140, interasse 1.430, larghezza manubrio 530, altezza manubrio 900, altezza sella 785, altezza pedane 310, altezza minima da terra 140. Peso 128 kg a vuoto.

Prestazioni: potenza max 28 CV a 8.000 giri/min, velocità max 185 km/h.

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