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La saga delle Hondine dual sport, dalla XL250S alle CRF300

È dagli anni Settanta che Honda produce delle 250/300 cc da fuoristrada, adatte a tutti gli usi, che sono entrate nel cuore degli appassionati. Ecco la loro storia, dalla Dakar alla Hardalpitour

Un piccolo mono, nuvoloni incazzati, pecore a gogò: la ricetta della felicità?

Se un giornalista fa un articolo per celebrare una moto che gli piace, fa una "marchetta"? Perché, se così fosse, sarei da radiare dall'albo. Ma io sono un sincero fan della Honda XL250 e di tutte le sorelline che le sono succedute, fino alle attuali CRF300. C'ho sempre avuto a che fare, volente o nolente, me le sono sempre trovate intorno, guidate da questo e da quello. Ho sempre pensato che fosse una moto da comprare, per un sacco di buoni motivi. Intanto va detto che la prima della serie, la XL250S, è comparsa alla fine degli anni Settanta, quando era considerato normale fare viaggi lunghissimi anche con moto da 250 cc. Era robusta, costava poco di benzina e manutenzione, andava dappertutto, dalla scrivania dell'ufficio a Capo Nord, passando per le dune del Sahara. Ora, di dual sport così versatili ne hanno fatte tante, soprattutto di 500/600 cc, più potenti e appariscenti, ma questa piccola Honda, evoluzione dopo evoluzione, è giunta fino ai nostri giorni: si chiama CRF300, è disponibile in due versioni (L e Rally) e mantiene gli stessi pregi, compreso quello della piccola cilindrata. Sì, sto parlando di pregio, anche se viviamo in un mondo velocissimo, dove anche io sono abituato a macinare km su grosse moto, che a 140 km/h ronfano sornione. Ma la quarto di litro ha i suoi perché e proverò a spiegarlo raccontando di tutte queste Hondine che hanno accompagnato la mia esistenza motociclistica, quasi sempre sotto il sedere di qualcun altro.

A MOMENTI VINCEVA LA DAKAR!

La prima volta che ho sentito parlare di questa moto è stato a 12 anni, nel gennaio del 1979, quando Philippe Vassard ha praticamente vinto la prima Dakar con una Honda XL250S.

Tuta di pelle e moto praticamente di serie, all'epoca Philippe Vassard stava per compiere 26 anni ed a 24 si era piazzato secondo alla Abijan-Nizza, la mamma dei rally africani a lunghissima gittata.

Vassard era quello che si definisce un eclettico. Correva in pista (è stato a lungo uno dei privati più veloci del Mondo al Bol d'Or e alla 24 Ore di Le Mans), ma anche al Campionato Francese di enduro; ha partecipato a 25 rally, tra cui 11 Dakar; andava forte anche in motoscafo, in motoslitta, in mountain-bike e pure a piedi, dove ha partecipato a 10 maratone e a una gara di 420 km sulla Muraglia Cinese. Ma perché dico che ha "praticamente vinto la Dakar?". Perché la prima edizione, nel 1979, era concepita in parte come una gara di regolarità, con orari da non superare e, durante la tappa Bamako-Nioro du Sahel, Philippe fu l'unico ad arrivare entro il limite. Tutti gli altri, compresi i piloti ufficiali Yamaha in sella alla XT500, sarebbero stati da squalificare. Al traguardo, quindi, sarebbe arrivato un solo pilota, in sella a una motina da 20 CV scarsi alla ruota. Thierry Sabine si rese conto che sarebbe stato troppo, per cui cambiò le regole in corso d'opera. Gli altri piloti ripresero il via, la vittoria andò a Ciryl Neveu e Vassard arrivò terzo. Diciannovesima assoluta e prima tra le donne si piazzò Martine de Cortanze, anche lei su Honda XL250S.

LA GLOBETROTTER

Sono diverse le moto che sono state indicate come ideali per fare il Giro del Mondo. La Honda Transalp è un grande classico. Oggi molti ritengono che la base minima sia la BMW R 1250 GS Adventure col tris di bauloni. Quando avevo 14 anni, ero confuso. Credevo che più cilindri e CV ci fossero, meglio sarebbe stato, per cui pensavo che il top fosse la Honda CBX1000 (6 cilindri, 105 CV) ma non capivo perché la gente, per viaggiare, preferisse la BMW R 100 RS (2 cilindri, 70 CV). Le enduro stradali, con i loro monocilindrici da 500 cc e 35 CV, mi sembravano dei cessi ma poi, sulla defunta testata Tutto Moto, scrissero che "I francesi, che la sanno lunga, con la XL500S girano il Mondo". Fu la frase che mi folgorò sulla via di Damasco e da allora ho la passione per moto leggere, capaci di andare in autostrada, in mulattiera, a Capo Nord e nel deserto del Murzuq in Libia. Così, a mano a mano che mi appassionavo, scoprii che diversa gente usava la Honda XL250S per fare viaggi pazzeschi, traversate in mezzo al Nulla, persino giri del Mondo. Perché la 250 e non la 500? Perché consumava quasi la metà, per cui, a parità di serbatoio, permetteva traversate desertiche ancora più azzardate. Inoltre, un equipe di scienziati della Messermicht Vialevaldais Guttertopp University ha scoperto che, se hai una moto che consuma la metà, la benzina per il giro del Mondo ti costa la metà. E non è un dato di poco conto, quando fai quella gita là.

Nel 1983, quando avevo 17 anni, comprai questo grande classico del mototurismo, ovvero la bibbia del viaggiatore a due ruote scritta da Giovanni Carlo Nuzzo.

Nuzzo era famoso per i suoi viaggi in Vespa, prima ancora di diventare un noto giornalista specializzato nel turismo a due ruote. Il libro ha 40 anni di età e parla di cose vecchissime, come le accensioni a volano magnete, le tende canadesi e le fotocamere a pellicola completamente meccaniche. Ma è fatto veramente bene, parla di qualsiasi aspetto inerente ai viaggi, da quello fuori porta alla traversata intercontinentale. Inoltre è piacevole da leggere, persino divertente, per fare un paragone con i tempi moderni: cosa è cambiato e cosa no. Nel testo, Nuzzo parla di un viaggio in cui ha condiviso una lunga tratta insieme a un giapponese che stava facendo il giro del Mondo su una Honda XL250S. Poi dice che, a un certo punto, se n'è comprata una.

Ed eccola lì la sua bella XL250S, accanto al necessario per affrontare un lungo raid.

A parte le borse, c'è tutto: gli attrezzi/ricambi, la giacca, gli stivali, l'antipioggia, il materassino (da mare!), la tenda canadese, il sacco a pelo, le ciabatte infradito, il kit fornello a gas/stoviglie, la tanica di benzina, la tanica per l'acqua e persino la macchina per scrivere! Mancano i caricatori per smartphone, Gps, fotocamera, interfoni, drone ed action cam.

LA MAMMA DELLE ADVENTURE

Molti pensano che la Yamaha Ténéré 600 sia stata la prima moto dotata, di serie, di serbatoione maggiorato per le traversate sahariane, ma le Honda XL250/500R Paris-Dakar arrivarono qualche mese prima, nel 1982. Non erano più le XL-S, bensì le XL-R che si distinguevano, oltre che per l'estetica, per le ruote da 21"-17" al posto di 23"-18", per la sospensione posteriore Pro-Link, per il freno anteriore a tamburo a doppia camma e, non vorrei sbagliare, per il cambio a 6 marce, perché mi pare che la S lo avesse ancora a 5.

Non so se è etico scriverlo ma a me, esteticamente, le XL-R in versione Paris-Dakar facevano sesso. 

E, sinceramente, me lo fanno ancora oggi. L'unica cosa che mi frena nei suoi confronti è, appunto, il freno, perché affidarsi ai tamburi era una follia che all'epoca era la norma, ma oggi sembra inconcepibile. Nelle prove del tempo si legge che la frenata era "buona". Oggi, quando mi capita di provare una moto col tamburo anteriore, appena strizzo la leva sono preda di una vampata di panico, perché sembra che non sia collegata ad alcun apparato atto a fermare... ma neanche a rallentare la moto.

FRUSTRATION

Nel 1986, dopo una Gilera Arcore 125 e una Moto Morini 3 1/2 Sport, ho messo da parte i soldini per farmi la prima dual sport della mia vita. La XL250R costava troppo, ma c'era un ragazzo che vendeva una XL250S grigia a 1.300.000 lire. Mi sono presentato, l'ho provata, m'è piaciuta un sacco, faceva un pum pum ovattato, la sentivo mia, mi immaginavo già in cima al Monte Chaberton. Sono tornato a casa, avevo 20 anni, i soldi erano miei, ma vivevo ancora in famiglia e commisi l'errore di raccontare a mio padre che stavo per comprare quella moto. Lui non se ne intendeva, ma telefonò al meccanico che gli riparava il Guzzi Trotter per chiedergli cosa ne pensasse. E quello stroncò la mia amata XL-S: "Non fargliela prendere, è un bidone. Ha la ruota anteriore da 23", ma è uscita di produzione da anni, per trovare in giro lo pneumatico si diventa pazzi, lo farebbero due Case ma è introvabile".

Era vero. Honda aveva fatto - diciamolo! - una cazzata, a mettere un 23" anteriore su una moto non da speedway. 

Guardate che spaventoso sbalzo c'è tra la ruota anteriore e la posteriore. Era l'unica. Nessuno l'ha copiata. Le XL-R erano già tornate al 21", come agnelli fuggitivi rientrati nell'ovile. Io questa cosa la sapevo. Ma ancora adesso, a 56 anni, se qualcosa mi piace mi si chiude la vena e la compro, anche se la voce della razionalità mi sta dicendo che sono un deficiente. Figuriamoci a 20 anni! Mio padre non mi obbligò a non comprarla - come dissi, ero maggiorenne e i soldi erano miei - ma si svolse la tipica conversazione tra padre e figlio in cui il primo urla al secondo che è un deficiente, mentre il deficiente risponde all'altro che è un nazista, anche se sa benissimo che ha ragione. E così non ho comprato la XL250S, ma questa cosa non l'ho superata. Ogni volta che ne vedo una, ho un malessere, un misto tra nervoso, rimpianto, rabbia. Perché quando qualcosa ti piace, hai deciso di comprarla ma poi ti ci fanno rinunciare, la rimpiangerai per tutta la vita. Allora mi consolo: se l'avessi presa, sarebbe stato un disastro. Intanto non esistevano pneumatici degnamente tassellati, in più sarei impazzito a trovare la Bridgestone di serie.

IL RIPIEGO

Inoltre esisteva un'alternativa tra la XL250S con la ruota anteriore aliena e la troppo costosa XL250R: la XL200R. Non mi piaceva per un motivo semplicissimo: non aveva corso alla Dakar. Era una moto più semplice e meno potente, con un monocilindrico a 2 valvole. Ho trovato una Paris-Dakar con 13.000 km a 1.600.000 lire e l'ho comprata, trovandomici subito bene, diciamo per il primo mese.

Ho iniziato a fare fuoristrada con lei, andando sulle rive del fiume Ticino, che ricordava la savana africana in certi punti e il Sahara in certi altri. Non era ancora un'area protetta.

Spero possiate apprezzare sia la posa sexy, sia l'abbigliamento tecnico: giacca di pelle tipo Il Selvaggio, pantaloni K-Way di nylon NON impermeabile e NON traspirante e doposci in pelle, con l'interno di pelo. La moto era comoda, divertente, maneggevole, senza freni e con un bel tiro ai bassi. In più, dopo due moto italiane, questa era la prima giapponese e si sa che le moto nippe sono sempre state affidabilissime e indistruttibili. Infatti, per il primo mese andò benissimo. Poi accusò qualche piccolo difettuccio, tipo un grippaggio del pistone, la continua sgranatura della ruota libera dell'avviamento, la perdita del collettore di scarico perché le viti che entravano nella testa si erano sfilettate con le vibrazioni, la perdita del terminale di scarico perché si era tranciata la piastrina che lo collegava al telaio... In più arrugginiva con la velocità della luce e, dopo il grippaggio, raggiungeva i 70 km/h, con rumori di ferraglia e divorando olio a litri. Ci arrivai faticosamente fino ai 30.000 km, ma ero sconvolto. Possibile che con la XL250S facessero le Dakar e i giri del Mondo, mentre per me era già molto raggiungere il fiume Ticino da Milano senza perdere pezzi? Il mio scopo era andarci all'Elefantentreffen, ma con quella moto era diventato più lontano della stessa Dakar.

I PICCHIO

Mentre mi dannavo a raccogliere i pezzi che perdevo per strada, Motociclismo pubblicò due viaggi di un gruppo di fratelli/amici/cugini milanesi, i Picchio che, con le XL250R, andavano impunemente in Scozia e a Gibilterra elogiando la robustezza delle loro moto. Sbavavo su quegli articoli, avrei voluto conoscerli e viaggiare con loro. E cosa successe? Che trovai una delle loro moto posteggiata al Politecnico di Milano, dove studiavo e un'altra alle lezioni teoriche di un corso di scialpinismo. Feci amicizia con loro e partecipai a un viaggio in Toscana e all'Isola d'Elba: era il 1988 ed è stata la prima volta che ho visto da vicino come veniva effettuato un servizio per Motociclismo. Loro avevano già percorso 70-80.000 km, con quelle moto, senza mai romperle, mentre io ebbi grossi problemi pure in loro compagnia. Per cui il mio nervoso aumentava. Rimpiangevo sempre di più il fatto di avere una 200 al posto della 250. Loro usavano dei serbatoioni spaventosi della Acerbis, che tenevano la bellezza di 45 litri ed erano dotati di una scatoletta, vicina al tappo del serbatoio, piena di noccioline, che sgranocchiavano in rettilineo. Poiché non andavamo in autostrada e marciavamo a 70 km/h, per colpa del mio grippaggio, loro facevano 34 km/litro - contro i miei 32 - per un'autonomia di 1.530 km. Fecero il pieno a Milano e girarono tutta la Toscana e l'Elba senza mai fare benzina. Certo, un'autonomia simile in Italia era inutile e partire con 34 kg di benzina tra le gambe non aveva senso, ma la vita è bella perché è demenziale. Io li invidiavo da bestia. Acerbis non faceva niente per la mia, dovevo accontentarmi dei 16 l. Era la 250 la XL per i grandi raid, non la 200... Ed io rosicavo. Nel 1989 ho grippato definitivamente, ho abbandonato la moto e sono passato alla mountain-bike, prima di avere di nuovo i soldi per una moto, nel 1991: e, con la Moto Morini Kanguro 350, sono piombato in un altro abisso di guasti e disperazione, tale da rimpiangere la XL200R Paris-Dakar...

LE XR FANNO GRRRR

Solamente nel 1995, con il primo stipendio fisso, ho potuto permettermi una moto affidabile, i cui pezzi restavano attaccati senza volare via: la Suzuki DR350S. Era uscita nel 1990 e, in base alle mie convinzioni motociclistiche dell'epoca, era la tanto agognata moto totale, ancora più delle XL250. In base alle mie convinzioni motociclistiche attuali, dopo 33 anni in cui sul mercato è uscito di tutto ed ho guidato di tutto... la penso ancora uguale. Con la Suzukina mi sono tolto ogni sfizio, andandoci ogni giorno al lavoro, facendo percorsi tosti in fuoristrada come il Fosso di Varzi in salita, facendo scorpacciate di passi alpini su asfalto, andandoci all'Elefantentreffen, affrontando le mie prime dune africane in Tunisia e Marocco e sparandomi tirate autostradali da mane a sera in Scozia, Portogallo e Sicilia. La tenni per 130.000 km, praticamente più del quadruplo dei km che ero riuscito a percorrere con la XL200R. Iniziando a usare la DR per farci fuoristrada impegnativo, tipo la Cavalcata delle Valli Orobiche o quella di Febbio, iniziai a frequentare appassionati della Honda XR250R, che era la sorella corsaiola della XL. Non lo facevo apposta, è che quella moto andava di moda tra gli enduristi tosti, ma non agonisti, sebbene nel Mondiale Enduro quella moto vincesse titoli (Gian Marco Rossi, classe 250 4T, 1998).

Le XR hanno sempre accompagnato le XL, fin dalla fine degli anni Settanta, ma solo dai primi anni Ottanta in poi si sono diversificate pesantemente sul fronte della ciclistica.

Questa che vedete sopra è la versione del 1981 e per me è libidine pura, da perdere la testa. Tuttavia, visto che io ho sempre cercato la moto totale, con cui fare qualsiasi cosa, ho sempre pensato che le XL fossero più indicate. Ma poi le XL sono uscite di scena, mentre sono rimaste le XR, tra le quali la 400 mi ha tentato parecchio quando, nel 2002, la DR350S è arrivata alla frutta e io avevo identificato nella Suzuki DR-Z400S e, appunto, nella XR400R le loro eredi. Alla fine ho scelto la DR-Z, perché mi sembrava più adatta a un utilizzo a 360° e non me ne sono pentito. Però mi ritrovavo a girare con tanta gente con la XR250R e poca con la 400, anche se i pesi erano simili, ma il tiro in basso nettamente a favore della più grossa. Mi davano tutti la stessa spiegazione: "La 250 ha dei bassi così dolci, fluidi e, allo stesso tempo, pieni che ci fai delle salite viscidissime senza credere a quello che stai facendo, come se fosse un trial". Dicevano che la 400 non arrivava a tali livelli, che certe cose le potevi fare solo con le cubature intorno ai 250-300 cc. Io non li capivo. Anche la mia DR-Z400S faceva così... o, almeno, lo credevo finché non ho avuto modo di provare questa cosa sulla mia pelle, il giorno che il famoso speaker Momina mi propose di affrontare la Motogelo (cavalcata invernale nel Piacentino) con le sue Honda XR250R. Nel frattempo, io ero entrato nella redazione di Motociclismo ed ero stato ingaggiato per lavorare alla neonata rivista FUORIstrada, per cui mi mandavano ogni mese a fare una cavalcata tecnica. Quel giorno nevicò e affrontammo l'intero giro sulla panna montata, una delle cose più meravigliose che mi siano mai capitate. Le due XR erano preparate, ma lo spirito di quella moto era rimasto intatto. Peccato che, poco dopo la partenza, la XR arancione del Momo ammutolì.

Il Momo non sta zampettando, ma sta skikkando come un pazzo, facendo la sauna. Invano.

Avete visto che libidine il percorso? Momo uscì di scena, ma mi lasciò generosamente la seconda XR - di colore bianco - in modo che io potessi portare a termine il servizio per FUORISTRADA (era tanto tempo fa, quando i servizi li facevamo ancora su carta). Rimasi di stucco da quanto poco gas fosse sufficiente per avere trazione e affrontare le salite sulla neve fresca. Imparai questa cosa: è vero che più un motore è grosso e più spinge in salita, ma se l'aderenza è precaria è necessario che la fase iniziale sia la più dolce possibile e questa cosa è facilitata se il pistone è piccolo. Ma ci vuole tanto equilibrio per ottenere il cocktail ideale. Dolce e Corposo, altro che Dolce & Gabbana: è un concetto poco intuitivo, ma che appare evidente se guidi una XR250R. Comunque sia, io lì la mia DR-Z400 non l'avevo usata, per cui tornai a casa con questo pensiero: come sarebbe andata la mia Suzuki? La risposta l'ho avuta quando il direttore commerciale di Motorquality, Luca Benedetti, che fino al 1981 aveva corso nella regolarità ad alto livello (medaglia d'oro alla Sei Giorni 1980) e che aveva un passato anche in mountain-bike (secondo all'Italiano downhill 1990), mi invitò a fare un giro in moto con lui, sulle terribili mulattiere bergamasche. Fu umiliante. C'era questa pietraia a picco sul Lago di Endine, lui saliva e io non riuscivo assolutamente a dare trazione. Davo la colpa a me, mi autoflagellavo. Poi provai la sua moto e capii tutto. Salii in seconda come se fosse asfalto. Non c'era paragone, la Hondina era una moto straordinaria.

Febbraio 2004, su FUORIstrada pubblichiamo la prova della sua XR250R, modificata nelle sospensioni e nelle sovrastrutture, col kit A-loop che rende la moto più stretta tra le gambe.

Luca ci aveva proposto quel servizio per spiegare come mai tanta gente, oltre a lui, continuasse a usare quella moto, nonostante sul mercato stessero uscendo mezzi di ultima generazione, derivati dal cross, con motori più piccoli e potenti, compatti e leggeri, raffreddati ad acqua e con l'avviamento elettrico. Il motivo di tanto amore risiedeva nel fatto che la XR era una enduro all'antica, che puntava sulla semplicità (tutto quello che non c'è non si rompe), sulla facilità di guida (erogazione dolce e non esplosiva, più adatta alla mulattiera scassata che al fettucciato e sospensioni morbide, poco crossistiche, ma ottime sulle trialere) e sul comfort (se devo farmi 12 ore di fila di mulattiere, una moto potente e rigida mi stanca prima, anche se ci vado più forte). Aggiungiamo che il cambio olio avveniva ogni 3.000 km e non ogni 1.000. Le nuove enduro racing di ultima generazione non avevano le sue qualità specifiche: ne avevano altre, non gradite da alcuni. I tempi stavano cambiando e non tutti, come al solito, erano d'accordo.

CRF: LA FINE DELLE XR

Dopo avere presentato la cattivissima CRF250R da cross, cui è seguita la derivazione da enduro agonistico, Honda ha presentato la CRF250X da enduro, che non aveva una vite in comune con la XR, ma le era vicina come erogazione dolce e comportamento sospensioni, anche se spostate più verso il racing. Ma la versatilità era inferiore, perché ormai l'endurista romantico che va su strada e mulattiera con la stessa moto era scomparso. Ricordo che, al Carpat Rally 2003, un concorrente s'era infortunato a un ginocchio ed è così tornato a casa su asfalto, con la sua XR250R, sparandosi 1.500 km. Non so quanta gente, oggi, farebbe lo stesso con una CRF250X. Quando le CRF hanno preso il Potere, le XR250/400 sono state riciclate in dual sport economiche, in pratica sono tornate ad essere delle XL: sospensioni meno pregiate e con meno corsa, con la novità dell'avviamento elettrico. Ma i motori, 400 compreso, hanno perso verve ai bassi. Niente più Dolce e Corposo, ma dolce e basta. Le XR-R erano sparite per sempre. Nel 2007, FUORIstrada mi ha spedito in Cile, per seguire la Sei Giorni e ho avuto a disposizione una Honda XR250 appartenente a questa nuova generazione. Un modello mai visto in Italia: la Tornado, dotata di testa bialbero.

Mi ci feci la foto UomoMezzo ma, come si vede, non ero molto entusiasta.

Non mi piaceva, non mi ci trovavo. Le sospensioni non copiavano, il motore non tirava abbastanza, sui salitoni mi piantavo. Avevo il permesso di girare per i percorsi della Sei Giorni, per scattare le foto, ma molto spesso mi piantavo per rotolare a valle. Poi con 'sta moto combinai disastri: subito dopo avere fotografato Belotti che, dopo essersi fratturato, veniva infilzato da una siringa di antidolorifico e rimesso in sella, persi le chiavi dell'accensione. Allora andai al tendone della Honda, dove mi scollegarono il blocchetto dell'accensione per farla partire senza chiave. Dopodiché, visto che la gara durava sei giorni e che io, lì, chissà quando sarei mai tornato, decisi di prendermi un giorno per affrontare la scalata del Passo Agua Negra. Si trattava di partire dalla spiaggia sull'Oceano Pacifico e di salire a quota 4.800 m in 250 km. Affrontai così una regione desertica fantastica, con sterrati pietrosi, montagne di pura roccia, serre verdissime e tanti, tanti osservatori astronomici.

Usata così, come moto da turismo avventuroso e non da enduro puro, questa XR era davvero azzeccata.

Andò tutto bene finché non dovetti fare benzina. Un'equipe di pranoterapeuti della Ospidius Chiefclaym University ha effettuato degli studi che dicono che, se hai un'unica chiave per l'accensione e il tappo del serbatoio, e se la perdi, riuscire ad avviare il motore non ti permetterà il moto perpetuo, se non puoi aprire il tappo della benzina quando resti a secco. Così dovetti ricorrere a un tizio con un trapano, su una moto che mi era stata data gentilmente in prestito. Dopodiché, la mia avventura si concluse a quota 2.000 m, quando mi trovai davanti a un cancello chiuso e un militare mi disse che il passo era chiuso per neve. Mancavano 150 km e ancora non sapevo che sarebbero stati tutti sterrati e completamente privi di paesi e benzinai. Non ci sarei mai arrivato, lassù, con quel piccolo serbatoio. Beati i Fratellini Picchio, qua sì che i loro cisternoni da 45 l avrebbero avuto senso.

E questa? La sigla è CRF, ma il motore da 223 cc è derivato da quello della XL200R, che tanto mi aveva fatto soffrire. 

In foto vediamo Paolina Verani provarla su FUORI di febbraio 2004. Era una moto che arrivava dal Brasile, era distribuita da HM e rappresentava una sorta di risposta alla nuova ondata di 4T complicate e costose: motore semplice, ciclistica efficace, guida facile in fuoristrada, spese ridotte di acquisto, benzina e manutenzione. Ma ormai la via era tracciata: basta romanticismi, ci aspettava un'era piena di complicazioni.

LA XL MODERNA

Nel 2012 Honda ha fatto due cose interessanti: ha annunciato che stava preparando il suo ritorno alla Dakar, che sarebbe avvenuto nel 2013 con una CRF450X preparata e ha presentato la CRF250L, che non c'entrava nulla con le CRF250 racing, ma era un vero e proprio ritorno della XL250R, in versione moderna: testa bialbero, raffreddamento a liquido, iniezione elettronica, ABS (anche se non subito). La moto che ha gareggiato alla Dakar era bellissima e la sua ricaduta commerciale è stata la CRF250 Rally, presentata a Osaka nel 2015, in pratica una L dotata di carena, finto serbatoio che scendeva fino alle caviglie (ma che teneva solo 11 l contro i poco più di 7 della L) e doppio faro asimmetrico anteriore che abbiamo trovato bellissimo. Da patito di moto da raid e da rally africano, non vedevo l'ora di provarla.

L'occasione è avvenuta nel novembre 2018 sul Monte Grappa, subito dopo che il ciclone Vaia lo aveva devastato (ma meno di altre zone di Trentino e Veneto).

Non sapevamo cosa aspettarci: sarebbe stata più vicina alla XR250R o alla Tornado 250? Eh, purtroppo la risposta giusta è "Tornado". Ovvero motore fiacco e sospensioni economiche, che copiavano male. "Dai, ci sta, è una moto per chi inizia e non vuole fare cose troppo impegnative, non facciamo i talebani, in fondo è bellissima e permette di fare i giri che ci piacciono". E poi frenava bene e aveva l'ABS, cosa che la rendeva molto più sicura rispetto alle precedenti XR. Ancora non sapevamo che, di questa moto, sarebbe uscita la 300, ovvero una 250 rivoltata come un calzino.

IL PAPÁ DI MIO FIGLIO

Estate 2022, mandiamo il figlio primogenito in Irlanda a fare tre settimane per imparare a parlare meglio l'inglese e lui finisce nel bel mezzo dell'isola, ospite di una deliziosa famiglia che ha una grande casa in mezzo al verde, con un campo di torba che usano per scaldare la casa d'inverno, al posto della legna. Tra la casa e il campo c'è una sterrata di pochi km. Filippo, questo il nome di mio figlio, mi spiega che Brendon, il capofamiglia, ovvero il suo papà adottivo irlandese, usa una moto per andare a prendere la torba, quasi tutti i giorni. Alla fine delle tre settimane, tutta la famiglia Ciaccia vola lassù per raccattare Filippo e farsi un giro turistico. Per cui arriviamo a quella casa e ci troviamo di fronte alla moto di Brendon.

Mannaggia. È proprio lei: una XL250S, con la sua spaventosa ruotona anteriore.

Nervoso, rimpianto, rabbia. Non posso farne a meno. Ma tutto questo sparisce di fronte allo stupore che provo durante la surreale conversazione con Brendon. Mi spiega che ha comprato questa moto nel 1982 e che non l'ha mai targata perché gli serve soltanto per andare a prendere la torba. Pochi km di sterrato ogni giorno. In 40 anni tondi ha coperto 39.500 km. Praticamente 1.000 km all'anno. Meno di 3 km al giorno. "Ma come fai con gli pneumatici? Dove lo trovi, oggi, un 23 pollici?". "Non mi serve, perché? Io non cambio le gomme, non le ho mai cambiate".

Possibile? Questa Bridgestone ha 40.000 km?

Poi salta fuori che non ha mai cambiato neanche la catena. I casi sono molteplici: sta raccontando palle? S'è dimenticato che in realtà quei pezzi li ha cambiati, sia pure ogni morte di papa? Oppure... è tutto vero. Tipo che, se usi una moto facendo soltanto uno sterrato a fondo morbido, avanti e indietro, magari andando pianissimo, boh... Roba che quella roba ti dura veramente 40.000 km? Magari la gomma s'è vetrificata, non si consuma più e il primo che si azzarda a farci un giro su asfalto asciutto finisce in un campo di torba alla prima curva?

IL GRAN FINALE

Il gran finale sono le due CRF300, L e Rally, presentate nel 2021. Al prevedibile aumento della cilindrata di 40 cc s'è affiancata una molto meno prevedibile operazione di rifacimento di un po' tutta la 250, anche se l'estetica varia poco o nulla. Leggendo la scheda tecnica delle CRF300 L e Rally, non si contavano i miei "Ah! Bene! Ma dai! Però! Interessante". Motore rivisto nella distribuzione per migliorare il tiro ai bassi, al di là dell'aumento di cilindrata. Cambio modificato, con le prime cinque marce più corte e la sesta più lunga. Sospensioni con escursione maggiorata e diversa taratura. Peso diminuito di 4 kg e telaio modificato per alzare la luce a terra indipendentemente dall'aumento della corsa delle sopensioni. Serbatoio della Rally portato a 13 l. Dopodiché, sono arrivati i commenti dei primi che le hanno provate: non c'entrano nulla con le precedenti 250, sono migliorate tantissimo. Allora ho voluto provarle come si deve, cioè alla Hardalpitour Extreme. Questa manifestazione è quanto di più completo si possa affrontare per provare la bontà di una dual sport. Per arrivare alla partenza, a Sanremo, abbiamo iniziato con l'asfalto pieno di curve del Passo Tomarlo fino a Lavagna. Poi siamo andati in autostrada. La Hat Extreme è stata tosta: 850 km di fila, con due notturne e fuoristrada molto fangoso, perché pioveva. Pietraie, sentieri, sterrati veloci, è un percorso completo. Quindi, ritorno a Milano in autostrada, da Sestriere.

In foto sono radioso: non solo perché sto portando a termine la mia quattordicesima Hardalpitour, ma anche perché le CRF mi sono piaciute tantissimo.

La considero la moto più divertente e meno faticosa con cui abbia mai affrontato quella maratona, record che finora spettava alla Yamaha Ténéré 700, mentre un'altra monocilindrica come la Suzuki DR-Z400E non mi aveva esaltato così tanto. Ovviamente ha i suoi difetti - in primis: sospensioni sfrenate e misure assurde degli pneumatici - ma penso che il giudizio più veloce ed efficace che possa dare è questo: anche se pesa molto di più, mi ha fatto godere come la vecchia e gloriosa XR250R, ma non mi ha fatto disperare in autostrada, anzi, ci partirei per Capo Nord oggi stesso. Le sospensioni sono sfrenate, ma copiano le pietraie in maniera sorprendente. Il motore è Dolce & Corposo, per questo quando mi dicono "Eh, se fosse un 450 sarebbe meglio" rispondo "No, la preferisco così". Rispetto alla CRF450L, anzi, CRF450XR, con la 300 è molto più facile partire da fermi in salita sul viscido. Poi, i freni: anche se l'ABS è escludibile completamente, ci siamo trovati benissimo a escluderlo solo dietro, perché davanti è efficace anche nelle discese sul fango. Il posteriore invece è pessimo, come invasività. Rimane solo il dilemma su quale scegliere, perché la L in fuoristrada va meglio dato che pesa tra i 5 e i 9 kg in meno a seconda che siano piene di benzina o meno e tale differenza sta tutta sull'avantreno; in più costa 1.200 euro in meno, che diventano 900 di meno nel caso si volesse colmare il gap di autonomia acquistando il serbatoio Acerbis da 13,5 l. La Rally però ci piace immensamente di più esteticamente, fa una luce molto migliore di notte ed è protettiva in autostrada. Alla fine di tutto ciò, visto l'entusiasmo espresso verso queste CRF, spero di non venire radiato dall'albo.

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