Adesso è davvero matura, la V7. Il motore, pur addolcito nelle prestazioni rispetto a quello della V85 TT da cui deriva, rappresenta un bel passo in avanti rispetto al precedente 750. Lo si intuisce subito dal sound al minimo, bello “pieno”, che ci sono più sostanza e carattere. L’erogazione è corposa, fluida, costante. Non un mostro di coppia (tanto che il controllo di trazione raramente interviene, anche in giornate fredde come questa), ma c’è una schiena ai medi che il predecessore se la sognava. E poi le vibrazioni: si avvertono pulsazioni alle pedane in accelerazione, ma viaggiando agli alti regimi, a velocità autostradali per intenderci, non ci sono più quei ronzii fastidiosi del 750. E il cambio? Nettamente migliorato: preciso e fluido negli innesti, con una corsa della leva ridotta. Rimane un po’ rumoroso, talvolta, ma il “clonck” cui eravamo abituati inserendo la prima, è solo un ricordo. È poi abbinato ad una frizione di burro, dosabilissima e mai stancante anche nella guida in mezzo al traffico. Insomma: la V7 va meglio, è più grintosa e vigorosa. In altre parole, se la precedente V7 III era ancora una “motoretta” (vezzeggiativo che non la vuole per nulla sminuire!), ora è più… “moto”. Ma la cosa bella è che non ha perso nemmeno un grammo della sua proverbiale facilità. Se il modello che ora va in pensione è stato perfetto per neofiti e motociclisti di ritorno, questa V7 lo è ancora, ma con un pizzico di brio in più che la farà certamente amare anche ad un pubblico più esigente.
A livello ciclistico si percepisce il sensibile miglioramento in termini di comfort e stabilità. Il nuovo layout della parte posteriore ha permesso di utilizzare ammortizzatori con corsa maggiore (da 90 a 118 mm) e con una curva di progressione più efficiente. E si sente: anche sulle tante buche e sconnessioni incontrati durante il nostro test nei dintorni dei castelli romani, non sono mai andati in crisi. Tutta la porzione posteriore della moto è stata ridisegnata e la sella ha nuovo profilo e imbottitura riprogettata: il fondoschiena trova posto alla perfezione, non ci si stanca di stare alla guida tutto il giorno e anche un rider che, come il sottoscritto, supera di poco i 180 cm di statura è accolto da buona abitabilità e da un’ergonomia rilassata. Rimanendo al posteriore, la nuova ruota con gomma più panciuta (e con carcassa più rigida) non si limita a conferire maggiore stabilità, ma anche un look più muscoloso alla moto. Ottimo il lavoro dei tecnici di Mandello, che sono riusciti a non perdere per strada la proverbiale maneggevolezza della V7.
A proposito di dinamica di guida: le due versioni della nuova V7 sono sostanzialmente diverse non solo nel look. La più basica Stone, con cerchi in lega, faro a LED e strumentazione digitale, appare più svelta e reattiva, anche se non precisissima quando l’asfalto non è perfetto. La raffinata Special, con le sue cromature, le ruote a raggi, il maniglione per il passeggero e il doppio strumento analogico, dichiara 5 kg in più. E si sentono. Non tanto nelle manovre da fermo, ma nel misto, dove richiede una guida più rotonda, pagando qualcosa in termini di agilità. Tuttavia, la maggiore inerzia dettata da ruote più pesanti (circa 3 kg), conferisce più stabilità e rigore specialmente all’avantreno, meno sensibile alle irregolarità dell’asfalto rispetto a quello della Stone.
Difetti? Davvero pochi e di scarso rilievo per entrambe le versioni. La stampella laterale, per via della nuova configurazione degli scarichi, ha il gancio per estrarla un po’ troppo arretrato: si rischia di strisciare il silenziatore sinistro con gli stivali e non è proprio agevole. Vorremmo leve freno e frizione regolabili, per avvicinarle alla manopola, pensando a chi ha mani piccole (la V7 è amatissima dal pubblico femminile!). La strumentazione della Stone, infine, ha una serie di LED centrali che rappresentano – stilizzato come sul faro – il simbolo dell’aquila di Mandello: lampeggiano, accompagnati dalla scritta GEAR SHIFT, quando la centralina suggerisce di cambiare marcia in favore di un rapporto più alto. In tutta onestà, però, ci sembra un accessorio superfluo su una moto alla quale raramente “tiri il collo”: non sarebbe meglio convertire quei LED in un più utile indicatore del livello carburante?