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Moto Guzzi V7 2021: come va, pregi e difetti

Abbiamo messo alla prova la classic di Mandello del Lario, che in vista del 2021 è cresciuta in quanto a cilindrata, prestazioni e dotazione di serie. Vi diamo le nostre prime impressioni di guida sia della Stone che della Special, con pregi e difetti

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Moto Guzzi V7

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La prima Moto Guzzi V7, la 700, venne prodotta a partire dal 1965. Ora, a oltre cinquant’anni dal lancio del primo esemplare, Moto Guzzi presenta la V7 2021. Numerose le modifiche rispetto alla versione precedente, a partire dal nome, che perde la numerazione progressiva in numeri romani che aveva caratterizzato le varie evoluzioni del modello dal suo ritorno sul mercato nel 2007. Arriva poi un nuovo motore, a V di 90° di 853 cc, strettamente derivato da quello della V85 TT. Crescono così potenza massima e coppia, che arrivano a 65 CV a 6.800 giri/min. e 73 Nm a 5.000 giri/min. Anche il telaio è stato evoluto. Nuovi la sella, a doppia altezza, e i supporti per le pedane del pilota. Al retrotreno troviamo poi una trasmissione a giunto cardanico maggiorata e un nuovo cerchio, che rimane da 17”, ma ospita ora uno pneumatico 150/70 (prima 130/80). Due le versioni disponibili: V7 Stone, la più essenziale, e V7 Special, con linee classiche ed eleganti. Per tutti i dettagli di questo nuovo modello vi rimandiamo al nostro articolo di presentazione.

La nuova Moto Guzzi V7 Stone arriverà nelle concessionarie e fine gennaio 2021, ad un prezzo di 9.090 euro c.i.m. Nella pagina a seguire il nostro test.

Adesso è davvero matura, la V7. Il motore, pur addolcito nelle prestazioni rispetto a quello della V85 TT da cui deriva, rappresenta un bel passo in avanti rispetto al precedente 750. Lo si intuisce subito dal sound al minimo, bello “pieno”, che ci sono più sostanza e carattere. L’erogazione è corposa, fluida, costante. Non un mostro di coppia (tanto che il controllo di trazione raramente interviene, anche in giornate fredde come questa), ma c’è una schiena ai medi che il predecessore se la sognava. E poi le vibrazioni: si avvertono pulsazioni alle pedane in accelerazione, ma viaggiando agli alti regimi, a velocità autostradali per intenderci, non ci sono più quei ronzii fastidiosi del 750. E il cambio? Nettamente migliorato: preciso e fluido negli innesti, con una corsa della leva ridotta. Rimane un po’ rumoroso, talvolta, ma il “clonck” cui eravamo abituati inserendo la prima, è solo un ricordo. È poi abbinato ad una frizione di burro, dosabilissima e mai stancante anche nella guida in mezzo al traffico. Insomma: la V7 va meglio, è più grintosa e vigorosa. In altre parole, se la precedente V7 III era ancora una “motoretta” (vezzeggiativo che non la vuole per nulla sminuire!), ora è più… “moto”. Ma la cosa bella è che non ha perso nemmeno un grammo della sua proverbiale facilità. Se il modello che ora va in pensione è stato perfetto per neofiti e motociclisti di ritorno, questa V7 lo è ancora, ma con un pizzico di brio in più che la farà certamente amare anche ad un pubblico più esigente.

A livello ciclistico si percepisce il sensibile miglioramento in termini di comfort e stabilità. Il nuovo layout della parte posteriore ha permesso di utilizzare ammortizzatori con corsa maggiore (da 90 a 118 mm) e con una curva di progressione più efficiente. E si sente: anche sulle tante buche e sconnessioni incontrati durante il nostro test nei dintorni dei castelli romani, non sono mai andati in crisi. Tutta la porzione posteriore della moto è stata ridisegnata e la sella ha nuovo profilo e imbottitura riprogettata: il fondoschiena trova posto alla perfezione, non ci si stanca di stare alla guida tutto il giorno e anche un rider che, come il sottoscritto, supera di poco i 180 cm di statura è accolto da buona abitabilità e da un’ergonomia rilassata. Rimanendo al posteriore, la nuova ruota con gomma più panciuta (e con carcassa più rigida) non si limita a conferire maggiore stabilità, ma anche un look più muscoloso alla moto. Ottimo il lavoro dei tecnici di Mandello, che sono riusciti a non perdere per strada la proverbiale maneggevolezza della V7.

A proposito di dinamica di guida: le due versioni della nuova V7 sono sostanzialmente diverse non solo nel look. La più basica Stone, con cerchi in lega, faro a LED e strumentazione digitale, appare più svelta e reattiva, anche se non precisissima quando l’asfalto non è perfetto. La raffinata Special, con le sue cromature, le ruote a raggi, il maniglione per il passeggero e il doppio strumento analogico, dichiara 5 kg in più. E si sentono. Non tanto nelle manovre da fermo, ma nel misto, dove richiede una guida più rotonda, pagando qualcosa in termini di agilità. Tuttavia, la maggiore inerzia dettata da ruote più pesanti (circa 3 kg), conferisce più stabilità e rigore specialmente all’avantreno, meno sensibile alle irregolarità dell’asfalto rispetto a quello della Stone.

Difetti? Davvero pochi e di scarso rilievo per entrambe le versioni. La stampella laterale, per via della nuova configurazione degli scarichi, ha il gancio per estrarla un po’ troppo arretrato: si rischia di strisciare il silenziatore sinistro con gli stivali e non è proprio agevole. Vorremmo leve freno e frizione regolabili, per avvicinarle alla manopola, pensando a chi ha mani piccole (la V7 è amatissima dal pubblico femminile!). La strumentazione della Stone, infine, ha una serie di LED centrali che rappresentano – stilizzato come sul faro – il simbolo dell’aquila di Mandello: lampeggiano, accompagnati dalla scritta GEAR SHIFT, quando la centralina suggerisce di cambiare marcia in favore di un rapporto più alto. In tutta onestà, però, ci sembra un accessorio superfluo su una moto alla quale raramente “tiri il collo”: non sarebbe meglio convertire quei LED in un più utile indicatore del livello carburante?

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