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KB1, la prima Bimota di Massimo Tamburini

La prima Bimota di Tamburini col motore Kawasaki è stata quella che ha dato il via alla genìa di straordinarie moto nate a Rimini. L’italica artigianalità si fonde con le brillanti intuizioni di un appassionato designer che farà tanta, tanta strada, sino a diventare... il migliore al mondo

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Bimota KB1

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Bimota: il mestiere pignolo di perfezionare quello che sembra perfetto. Questo lo slogan, decisamente pretenzioso, ma assolutamente condivisibile -magari pure oggi, visto quanto accade intorno a questo Marchio-, appare alle spalle della KB1 esposta al Salone di Milano del 1977. È la terza “stradale” partorita dall’azienda di Rimini dopo la SB1 e l’avveniristica SB2, sportive che adottavano i propulsori Suzuki 750. La nuova moto monta, e la lettera K nella sigla lo evidenzia, il motore Kawasaki Z1000 mentre la ciclistica si basa su un telaio in tubi al cromo molibdeno, un traliccio dal disegno tradizionale rispetto alla rivoluzionaria struttura della SB2: è una soluzione dallo schema perimetrale che ugualmente assicura quella rigidità d’insieme che rende la guida precisa, sensibile e sicura. La Bimota, che è l’unione delle iniziali dei titolari Bianchi, Morri e Tamburini, nasce proprio dall’esigenza di dare una svolta a al comportamento incerto di tante sportive stradali del tempo. Negli anni 60 e 70 le quattro cilindri giapponesi avevano la nomea (vera, anche se esageratamente gonfiata) di essere particolarmente deboli dal punto di vista della ciclistica, moto che erano definite letteralmente “ballerine” per i continui ondeggiamenti quando affrontavano le curve, mentre i loro motori strabiliavano per prestazioni e affidabilità. Le moto italiane, invece, avevano ciclistiche “sicure”, dove l’esperienza dei Gran Premi, il lavoro fatto in passato dai tecnici di Guzzi, Gilera, Morini e MV Agusta, era stato preso a riferimento anche per la produzione di grande serie. E pure l’impegno di artigiani dalle mani d’oro e dalle intuizioni brillanti – proprio come accade con Bimota – faceva la differenza quando si trattava di mettere a punto una ciclistica.

La KB1 viene costruita dal 1978 al 1982 in tre serie e raggiunge la ragguardevole cifra di 800 pezzi, considerando la dimensione artigianale dell’atelier di Tamburini e compagni. Di fatto queste KB1 sono dei veri kit che derivavano dalla cannibalizzazione delle normali Kawa Z1000 perché non esistevano accordi di fornitura di motori da parte dell’importatore Abbo di Genova o della Casa madre di Akashi. Di fatto, come raccontava Tamburini, i clienti portavano la loro Z1000 a Rimini dove venivano prelevati motore, impianto elettrico, strumentazione, blocchetti al manubrio e tanti altri particolari che servivano a completare la KB1. Le sospensioni potevano rimanere quelle di serie, ma spesso si usava una forcella Marzocchi, oppure una Ceriani come quella della moto che vedete nella foto di apertura del servizio. Le ruote sono costruite da Campagnolo in lega di magnesio. L’ammortizzatore era un Corte & Cosso costruito su licenza della francese De Carbon e poteva essere montato su due punti di attacco per modificare l’altezza del retrotreno. Per i freni si usavano i Serie Oro di Brembo con dischi da 280 mm per l’anteriore e 260 dietro. Tutte le modifiche e le variazioni di sovrastrutture e cicli stica portano a una sensibile riduzione di peso di oltre 40 kg rispetto alla Kawasaki di serie, ma il prezzo di acquisto di 7.500.000 lire su strada è più del doppio rispetto alla moto giapponese. Il prezzo del kit base, quello che mantiene forcella e freni originali Kawasaki costa 3.192.000 lire, il kit A che offre forcella Ceriani e freni Brembo ci vogliono 456.000 lire in più. Nel 1980 la KB1 riceve nuove grafiche, un serbatoio dalla linea meno articolata, un codone meno invadente, e la possibilità di avere una sella biposto. Il telaio non viene modificato, ma riceve delle asole in zona cannotto di sterzo per facilitare le manovre da fermo, oltre a un bloccasterzo a chiave. Questa è la versione di maggior successo con circa 600 moto realizzate. La terza serie, prodotta in 180 pezzi nel biennio 1981-1982, rivoluziona la carenatura che diventa divisibile, scompaiono le prese d’aria di raffreddamento del motore, la zona anteriore ai lati del faro si allarga per togliere la pressione aerodinamica da mani e braccia e il codone ritorna monoposto e pure di maggiori dimensioni. I cerchi sono sempre Campagnolo, ma le razze hanno forma diritta, non più a stella, e scompare la scritta Kawasaki sul serbatoio.

Motociclismo prova la prima versione della KB1 sul numero di settembre del 1978. È un esemplare di un lettore, ma il motore Kawasaki di serie è stato elaborato da Termignoni. Lo specialista alessandrino, che diventerà un ottimo Costruttore di impianti di scarico, aumenta la cilindrata a 1.200 cc e la potenza a 120 CV contro gli 83 di serie. Al primo contatto la KB1 sconcerta i tester della nostra rivista perché:

“La KB1 preparata da Termignoni, portata a 1.200 cc ed equipaggiata con due slick Michelin, ci ha entusiasmati per la precisione di guida e la maneggevolezza, ma ci ha deluso per la facilità con cui innescava serpeggiamenti già a 130 km/h inserendosi nelle curve veloci. Non si sorprenda il lettore, ma questo forse lo aiuterà a capire meglio la personalità della Bimota. Dopo un accurato intervento di taratura dell’ammortizzatore posteriore il difetto è pressoché scomparso, confortando così le aspettative di chi ovviamente si avvicina con delle sacrosante pretese. Questa nostra esperienza è illuminante e fa capire che le Bimota sono delle moto dalle quali si può ottenere il massimo perché è stato fatto tutto quanto si poteva fare senza badare a spese. Ma per cucinarsi gli ingredienti è necessario avere una certa esperienza non solo di guida ma anche di telaistica e di regolazione delle sospensioni. O almeno poter contare su un’officina di tecnici per lo meno non improvvisati. L’assetto di guida obbligato, con le gambe perennemente a ranocchio, la sella un po’ più in alto e i polsi leggermente puntati, rendono queste moto poco piacevoli da guidare nel traffico urbano, specialmente la KB1 con il motore maggiorato, nonostante la generosissima coppia che consente l’uso stradale di un motore quasi da Endurance. La precisione e la sensibilità dello sterzo, oltre alla maneggevolezza di queste moto larghe e basse, sono le migliori caratteristiche”.

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