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Euro 5+: le nuove regole

Il lavoro dell’elettronica è molto complesso: nelle moto di alta gamma gestisce il ride by wire e tutte le molteplici funzioni che rende possibili. Ma la ECU svolge altre attività molto impegnative, di cui non ci accorgiamo: in particolare controlla il rispetto delle emissioni Euro 5. E con l’Euro 5+ questo compito diventa ancor più complicato. Vediamo cosa cambia

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Lo standard Euro 5 è entrato in vigore nel 2021, e per le aziende è stato piuttosto sfidante: come sappiamo alcuni motori sono stati prepensionati poiché non era tecnicamente possibile, oppure economicamente conveniente, modificarli per farli rientrare nei nuovi limiti. E non è solo una questione di motori: la Euro 5 comprende un insieme di stringenti standard da rispettare sia sulle emissioni inquinanti sia sui sistemi di controllo: il processo omologativo comincia eseguendo i test definiti dalla norma e si conclude con una relazione tecnica che deve essere inviata, e quindi approvata, dalle autorità competenti, cioè i dipartimenti dei trasporti dei vari Ministeri Europei; i controlli sono molto severi.

Ora è in arrivo la Euro 5+, obbligatoria dal 2024 per tutti i veicoli di nuova omologazione, e dal 2025 per le nuove immatricolazioni dei modelli già in gamma. Non ci sono variazioni rilevanti, ma le cose si fanno ancora più difficili per le aziende: non sarà sufficiente superare i test per i nuovi limiti delle emissioni, ma occorrerà soddisfare alcune nuove direttive più stringenti legate alla diagnostica di bordo, ai test di durabilità ed alla rumorosità (questo aspetto è ancora ancora in via di definizione).

Prima di analizzare le novità della Euro 5+ vediamo la base di partenza: la Euro 5. Che, come abbiamo anticipato, per le aziende è già piuttosto impegnativa da soddisfare. Per avere un punto di vista tecnico, e per capire cosa significa per una Casa motociclistica passare dalla Euro 5 alla Euro 5+, ci siamo avvalsi della consulenza di Dell’Orto, che offre due centraline “specializzate” proprio per soddisfare le nuove Direttive europee. Nella sede dell’azienda italiana abbiamo incontrato l’ingegner Paolo Colombo, Responsabile dei Laboratori di Ricerca, Sviluppo e Innovazione, che ci ha illustrato la situazione molto chiaramente: una volta le centraline dovevano pensare a gestire l’accensione e, al più, l’iniezione; oggi svolgono una notevole mole di lavoro, di cui non ci accorgiamo. Vediamo cosa nascondono…

Come anticipato l’avvento della Euro 5 ha impegnato notevolmente le case motociclistiche, imponendo dei limiti piuttosto stringenti non solo sulle emissioni ma anche sui sistemi di controllo, che devono essere ben più sofisticati di quelli richiesti dalla Euro 4. Vediamo cosa dicono le direttive ora in vigore.

Limiti sulle emissioni. La Euro 5 ha introdotto limiti molto severi sulle emissioni, analoghi alle Euro 6 delle automobili, in particolare sono state ridotte le emissioni degli ossidi di azoto e degli idrocarburi incombusti. Si parte addirittura a monte del motore, dal serbatoio, che non deve avere lo sfiato libero; per questo si adotta una trappola a carboni attivi che periodicamente va spurgata, a meno che il sistema montato sulla moto non sia provvisto di una valvola che scarica i vapori nel condotto di aspirazione, in modo che gli stessi finiscano in camera di scoppio per essere bruciati insieme alla miscela di carburante; i limiti delle emissioni sono così bassi che i vapori provenienti dal serbatoio sarebbero più alti di quelli dello scarico.

Durata dei dispositivi antinquinamento, catalizzatore. La Euro 5 prevede tre opzioni: eseguire un test percorrendo una determinata quantità di chilometri (per le moto con velocità massima oltre 130 km/h l’accumulo è di 35.000 km); percorrerne metà, misurare l’efficienza del catalizzatore e calcolare la proiezione a 35.000 km; oppure valutare il decadimento a tavolino usando un fattore di deterioramento (metodo che al momento hanno usato tutti i produttori).

Emissione di CO2. La regola è invariata rispetto alla Euro 4, non ci sono limiti ma si devono misurare e dichiarare le emissioni in mg/km (per esempio per eventuali maggiori tassazioni o agevolazioni).

OBD (On Board Diagnostic). Un’importante novità introdotta dalla Euro 5 è legata alla OBD (On Board Diagnostic). Le Euro 4 prevedevano l’OBD I, diagnostica che controlla semplicemente se un sensore è collegato, in corto circuito o scollegato; in questi ultimi due casi si doveva segnalare il guasto accendendo sul cruscotto la lampadina arancione MIL (Malfunction Indicator Lamp). La Euro 5 ha imposto l’OBD II, che esegue anche un controllo sulla coerenza dei dati letti dal sensore, cioè verifica che si comporti in modo corretto (si parla di indici di ”razionalità”).

Controllo delle mancate accensioni. La novità più importante introdotta dalla Euro 5 è la funzione misfire: cioè la capacità del sistema di riconoscere le mancate accensioni. Si impone questo controllo perché se manca un’accensione, per esempio per via di una candela sporca, il motore emette idrocarburi incombusti. Dellorto ha implementato nella centralina un sistema che riconosce anche la singola mancata accensione, e lo fa monitorando il moto dell’albero motore, senza usare sensori aggiuntivi. In condizioni normali quando c’è la combustione l’albero motore accelera; quando si chiude il gas decelera. Se manca un’accensione lo stesso decelera, e il sistema è così sensibile da rilevare il singolo evento, e anche per questo deve essere calibrato alla perfezione per evitare falsi positivi. La normativa dice che si devono riconoscere i misfire e intervenire prima che determinino il superamento di determinati limiti, quindi c’è un certo margine. È un controllo importante? In Europa, con i motori moderni, la benzina e le candele di alta qualità, si può dire che il misfire sia un fenomeno raro; può essere diverso invece nei paesi emergenti, dove le benzine sono meno raffinate e a volte mescolate con petrolio agricolo di basso costo, e in tal caso può essere che la candela soffra.

Deterioramento della sonda lambda. Le Euro 4 imponevano lo stesso controllo delle altre sonde, cioè se collegata oppure in corto circuito; le Euro 5 hanno imposto il monitoraggio della risposta, che deve rientrare in un limite definito.

Visto che parliamo della 5+ si può immaginare che questa nuova “versione” dell’Euro 5 sia un aggiornamento delle attuali, e infatti è così. Non cambiano infatti i limiti sulle emissioni, stiamo aspettando la decisione sui provvedimenti per il rumore, ma ci sono tuttavia alcuni vincoli piuttosto importanti, quindi impegnativi per le aziende motociclistiche. Partiamo dal più oneroso, la valutazione della durabilità.

Rimozione dell’opzione di calcolo matematico tramite il fattore di deterioramento. Non è più possibile usare una formula matematica per valutare il livello di inquinanti emessi dopo un determinato chilometraggio (che dipendente dalla categoria del veicolo), ed è quindi necessario eseguire il test di accumulo chilometrico eseguendo un ciclo predefinito, per esempio usando un banco robotizzato, con acceleratore comandato da un programma, oppure in pista. I chilometri da accumulare dipendono dalla categoria del veicolo, per le moto di medie e alte prestazioni sono 35.000. Ci sono due tipologie di prove: ad accumulo completo oppure parziale, fino al 50% (quindi minimo 17.500 km) poi si misurano i dati e si fa una proiezione. È facile prevedere che tutti seguiranno questa seconda prova, che è comunque piuttosto impegnativa e aggiunge un costo supplementare alle aziende. Per la maggior parte dei veicoli odierni questo test non comporta difficoltà, se non quelle legate a costi e tempi dell’accumulo chilometrico, perché i propulsori odierni sono progettati e collaudati per garantire l’efficienza dei sistemi antinquinamento nel tempo. Tuttavia, questa procedura potrebbe scremare le residue frange di sistemi di iniezione o catalizzatori di scarsa qualità, che hanno superato la prima fase delle Euro 5 per il rotto della cuffia.

Aggiornamento del livello OBD II. Oltre ai controlli specificati in precedenza sulla consistenza dei dati dei sensori, che sono inoltre stati rivisti nei limiti di tolleranza, ci sono il monitoraggio del catalizzatore e l’imposizione di limiti minimi circa la frequenza di monitoraggio tramite l’indice IUPR (In-Use Performance Ratio). È un indicatore, calcolato dalla centralina, che misura su quante volte il sistema ha effettuato il monitoraggio (del catalizzatore, delle sonde, eccetera) durante l’uso del veicolo. Questo limite è fissato nel 10%, cioè la diagnostica di bordo deve entrare in funzione almeno una volta su dieci che si usa il mezzo. Il monitoraggio del catalizzatore si esegue con una seconda sonda lambda, che a sua volta deve essere diagnosticata. Se il catalizzatore funziona bene, e quindi compensa le fasi magre e più grasse offrendo un segnale regolare, anche la sonda a valle fornirà un segnale regolare; viceversa, se la sonda di controllo rileva un andamento irregolare significa che il catalizzatore ha un malfunzionamento. La sonda a valle può essere posizionata dopo il catalizzatore; in sistemi che ne hanno più di uno si può scegliere se metterla dopo il primo o in fondo, e ogni costruttore decide dove inserirla, in genere si cerca di nasconderla per non rovinare l’estetica. Da questo punto di vista va citata la Triumph, che sui modelli classici ha fatto un ottimo lavoro celando la sonda di controllo in una ghiera alettata degli scarichi, praticamente invisibile. Quanto è utile il monitoraggio del catalizzatore da un punto di vista tecnico? Le cause di danneggiamento dei catalizzatori sono due: chimica e fisica. La prima è dovuta all’uso di combustibile di bassa qualità, oppure a consistenti fughe d’olio dal condotto di scarico. In Europa, con le nostre benzine, e con i motori moderni, questo problema è pressoché irrilevante. L’altra causa, più importante, è il calore: se per esempio un catalizzatore lavora ad alta temperatura (950-1.050 °C invece di 400-800) per lungo tempo, si possono danneggiare le superfici di scambio, che perdono porosità, e il catalizzatore diventa meno efficace; anche questa è una situazione limite che difficilmente si verifica nelle realtà.

Obbligo del monitoraggio OBD durante la guida. Il sistema deve segnalare le modalità operative che comportano una sensibile riduzione della coppia del motore (lo stesso controllo deve essere eseguito ai veicoli elettrici). Situazione che, per esempio, si può verificare a causa di un surriscaldamemto che richiede di far marciare il veicolo a giri e carichi ridotti: questo va segnalato, per avvertire il conducente che non può contare sulla piena potenza del motore.

In genere tutto ciò che riguarda le emissioni è rigorosamente stabilito, ma ci sono alcune scelte che sono lasciate alla discrezionalità del Costruttore. Per esempio in alcuni casi si può decidere di far accendere la spia di malfunzionamento di un sensore solo dopo tre volte che si riceve il segnale di errore. Oppure non accenderla se dopo tre segnali di errore il sensore riprende a funzionare regolarmente: in questo caso è inutile preoccuparsi e costringere il proprietario della moto ad andare in officina a eseguire un controllo ormai inutile. Tuttavia l’elettronica permette di non farsi sfuggire niente. Infatti può memorizzare tutti gli eventi nella centralina (quante volte sono avvenuti, quanto sono durati, in che condizioni si sono manifestati), e questo è un grande vantaggio per un successivo controllo, quando in officina si esegue la diagnostica.

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