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Ducati Supermono, Superacing ieri e oggi

Oltre trent’anni dividono le due straordinarie ”mono” bolognesi 
che trovate in questo numero di Motociclismo. Hanno in comune 
il fatto che i loro motori derivano dalle sportive impegnate nel mondiale SBK. Il modello del 1993 è una vera moto da gara ed è considerata una delle più belle e combattive Ducati di tutti i tempi. 
Ha dimensioni e peso da 125 e il suo potente Desmoquattro presenta l’esclusività della inedita doppia biella di bilanciamento

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di Gualtiero Repossi,

foto Gianluca Bucci e Archivio Motociclismo

Novembre 2023, nello stand Ducati a Eicma, il Salone internazionale della moto, campeggia una monocilindrica. È la Hypermotard 698 Mono: è aggressiva nella linea, innovativa nel motore (che si chiama Superquadro) e dotata della distribuzione desmodromica. Come è fatta, come va la nuova ”mono” bolognese lo leggete nel test a pag 106 di questo numero. Per i più giovani, e pure per quelli che non conoscono la storia delle Ducati, vi diciamo che tre decenni fa a Borgo Panigale era nata un’altra moto con un solo cilindro, altrettanto ”desmo”, aggressiva, innovativa e pure molto racing: ecco a voi la Supermono.

Presentata all’IFMA di Colonia dell'ottobre 1992, (ma la nostra rivista ne aveva anticipato lo schema tecnico del motore già nel novembre 1990) aveva suscitato enorme scalpore: era la monocilindrica più sofisticata mai concepita, ma nel corso degli anni è anche diventata una delle Ducati più ricercate ed ambite dai collezionisti dato che è stata costruita in appena 67 esemplari.
Nato da un'idea dell’ingegner Massimo Bordi, il progetto della Supermono ha segnato il debutto di alcuni personaggi di rilievo nella recente storia della Ducati: il designer sudafricano Pierre Terblanche - papà di Multistrada, MH900E, 999 e Hypermotard - e Claudio Domenicali, oggi AD di Ducati Motor Holding S.p.A. all’epoca giovane ingegnere neolaureato da poco entrato in azienda.

La Supermono viene concepita per impegnarsi nella “Sound of Singles”, una classe molto popolare in tutto il mondo, grazie ad un regolamento tecnico decisamente libero, che poneva come unico vincolo quello di gareggiare con moto monocilindriche a quattro tempi.
Nel periodo del suo massimo splendore la categoria Supermono ha avuto invece validità di Campionato europeo e per quattro stagioni è stata anche di supporto del Mondiale Superbike. Ha anche offerto gare combattute ed emozionanti con un'ampia varietà di moto e motori diversi - Yamaha, Honda, KTM, Husqvarna, Gilera, Suzuki e Rotax, alcuni dei quali portati fino a 780 cc - destando l’interesse “ufficiale” non solo della Ducati, ma anche di altre Case come Gilera, Bimota, e Yamaha (tramite l’importatore italiano) e di una moltitudine di preparatori.
Rispetto alle rivali, la prima Ducati Supermono (e pure la seconda versione, quella con il motore portato a 572 cc), aveva un solo difetto, la minore cilindrata. Tuttavia, chiunque abbia mai gareggiato con questa moto, se ne è innamorato.

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Nel 1993 la moto mostra tutto il suo potenziale vincendo il campionato italiano Supermono con Mauro Lucchiari (al centro nella foto), già pilota Ducati in Superbike. Nella immagine Davide Tardozzi (a sinistra), che seguiva in pista lo sviluppo della moto e l’ingegner Claudio Domenicali, al quale era stato affidato il progetto della racer bolognese.

Le Supermono sono state costruite in due distinte versioni. La prima del 1993 ha una cilindrata di 549 cc ed è stata prodotta in 44 esemplari al prezzo di 45.220.000 lire, quotazione di poco inferiore a una Ducati 888 Racing; la seconda invece, assemblata due anni più tardi, ha la cilindrata portata a 572 cc. Entrambe utilizzano il motore Desmoquattro a cilindro orizzontale derivato dal V-Twin di 888 cc, pluricampione del mondo Superbike, con il cilindro verticale sostituito da un alloggiamento cieco contenente una doppia bielletta di bilanciamento. Un sistema decisamente efficace, adottato anni dopo dalla BMW sul suo bicilindrico parallelo F800 costruito dalla austriaca Rotax.
Ma perché scegliere una soluzione del genere, di fatto di compromesso? L’ingegner Bordi diceva che il successo della Ducati consisteva nel fatto di costruire moto e motori diversi dagli altri e realizzare un mono dotato di un consueto albero controrotante antivibrazioni sarebbe stato un progetto assolutamente banale, specialmente dopo aver realizzato un bicilindrico desmo a otto valvole e con tanto di iniezione elettronica. Poi Ducati aveva già in casa una testa ”vincente”, quella delle 851/888. In questo modo, si sarebbero pure accorciati i tempi di progettazione, realizzazione e sviluppo del motore, con la prospettiva ulteriore di vedere questa moto anche sulla strada oltre che sulla pista. Oltre a quella da competizione, della Supermono erano state previste tre versioni, tutte dotate di avviamento elettrico: una replica stradale del modello racing, una semicarenata tipo Cafè Racer, una classica naked con un carburatore al posto dell’iniezione. Nessuna delle tre arrivò mai alla catena di montaggio.

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La moto di Lucchiari del 1993 fotografata sul rettilineo della Pista Pirelli di Vizzola Ticino nel test di Motociclismo. La linea è decisamente racing e fortemente aerodinamica.

La linea si deve al sudafricano Pierre Terblanche, che per Ducati ha realizzato numerosi modelli: la superbike 999, la MH900E in omaggio a Mike Hailwood, Multistrada (2003), Sport Classic, la prima Hypermotard (2006). Da questa Supermono da competizione doveva nascere una versione stradale, più volte annunciata, ma poi bloccata dalla nuova proprietà, 
il gruppo americano di investimenti TPG che rilevò la Ducati da Castiglioni
nel 1996.

Nel tagliare a metà il motore a L della Superbike, Bordi decide di utilizzare il cilindro anteriore orizzontale invece di quello posteriore verticale. "Se avessi utilizzato il cilindro verticale avrei dovuto spostare troppi componenti e non usare invece tante parti comuni al motore 750 Desmodue e nel mio lavoro dovevo sempre tener presente il contenimento dei costi per la futura versione stradale. Comunque i vantaggi derivanti dall’utilizzo del cilindro orizzontale erano noti fin dai tempi di Aermacchi e MotoBi. Il cilindro orizzontale mi ha permesso di avere un baricentro ottimale e montare il serbatoio molto più basso. Anche l'impostazione generale della moto è stata più semplice, soprattutto per avere una sezione frontale ridotta e più aerodinamica”.
I lavori iniziano nell’estate del 1990, quando Bordi rimuove il pistone dal cilindro posteriore di un motore SBK assieme agli organi della distribuzione, accorciando la biella e utilizzando un contrappeso per ricreare lo stesso bilanciamento del bicilindrico. Il risultato non è efficace: esteticamente brutto, il mono così ottenuto è rumoroso perché il pistone "cieco" deve avere molto gioco per non sottrarre potenza al pistone funzionante. Inoltre, genera molto calore e scalda esageratamente il lubrificante.

Dotato di iniezione elettronica Weber/Marelli e scarico racing silenziato, questo prototipo eroga 57 CV alla ruota nella versione da 487 cc (con misure di alesaggio per corsa di 95,6 x 68 mm). Decisamente insoddisfatto, Bordi rivede da zero il motore: viene eliminato il pistone "cieco" a favore di una doppia biella articolata, che sostituisce i contralberi ed è in grado di ridurre anche le vibrazioni generate dalle forze di secondo ordine. È un sistema originale, mai proposto su un monocilindrico a quattro tempi, realizzato con le stesse machine utensili per la lavorazione dei carter motore dei bicilindrici, quindi, con un notevole risparmio economico.
I risultati del banco prova confermano la bontà dell’intuizione dell’ingegnere, perché con la stessa cilindrata di 487 cc la potenza cresce a 62,5 CV a 10.500 giri. Una volta stabilito il layout del motore, nell’estate del 1991 iniziano i primi test su strada utilizzando la ciclistica di una 750 SS, mentre altri tecnici – fra cui il giovane ingegnere Claudio Domenicali - si dedicano alla realizzazione di un telaio che sfrutti pienamente le caratteristiche intrinseche del mono orizzontale.
Bordi aumenta quindi la cilindrata a 502 cc grazie a nuove misure di alesaggio e corsa (95,6 x 70 mm). Nel giugno del 1992 si arriva alla soglia dei 70 CV a ben 11.000 giri, regime di rotazione mai visto prima da un motore Ducati.


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Il telaio a traliccio è in tubi d’acciaio ALS 500. Pesa 6 kg ed è costruito da Verlicchi. Ossatura autoportante per la sella e il silenziatore Termignoni.

Una volta completata la ciclistica iniziano i primi test in pista con i piloti Giancarlo Falappa e Davide Tardozzi, con la moto “vestita” come una 888, mentre il designer Pierre Terblanche, viene incaricato di definire la linea della nuova moto. Lo fa a tempo di record e in soli tre mesi, lavorando pure nella fabbrica Cagiva di Morazzone chiusa per le vacanze, realizza una delle più belle Ducati mai costruite. Intanto Bordi completa i test su una versione “big bore” del motore, con la cilindrata portata a 549 cc, grazie alle nuove misure di alesaggio per corsa di 100 x 70 mm, così la potenza cresce ancora. Il monocilindrico, che ha il sistema di lubrificazione a carter umido, pesa 38 kg senza corpo farfallato ed è dotato del collaudato sistema di distribuzione desmodromico con due alberi a camme in testa azionati da una cinghia dentata in gomma. Le quattro valvole sono inclinate fra loro di 40°, quelle di aspirazione hanno un diametro di 37 mm e quelle di scarico sono invece da 31 mm. L'albero motore in un unico pezzo, con inserti di bilanciamento al tungsteno, lavora con bielle in acciao (incluse quelle di bilanciamento) costruite da Pankl. Il pistone Omega forgiato, dal mantello molto assottigliato, ha tre segmenti - due di tenuta e un raschiaolio – e scorre in un cilindro con canna trattata al nichel-silicio. La pompa dell'acqua è montata all'estremità sinistra dell'albero a camme che comanda le valvole di scarico. Il sistema di alimentazione a doppio iniettore si basa su quello già utilizzato sul motore 888, con la centralina elettronica Weber/Marelli alloggiata nella parte anteriore della carenatura, appena sotto il condotto centrale in carbonio che porta a un corpo di 50 mm di diametro, che si restringe poi a 47 mm in zona della farfalla che regola l’afflusso dell’aria. Anche il cambio a sei marce e la frizione multidisco a secco derivano dal motore 888, mentre la trasmissione primaria ha gli ingranaggi a denti dritti.
Come su tutti gli altri motori Ducati dell’epoca, il mono ha il basamento che ospita la sede del perno del forcellone, ed è montato in un telaio tubolare dal disegno a traliccio. Anziché utilizzare il solito acciaio al cromo-molibdeno 25CrMo4, quello della Supermono viene costruito con nuovo acciaio ad alta resistenza chiamato AL S500, che fornisce lo stesso rapporto rigidità/peso del precedente, ma ad un costo inferiore. Domenicali all’epoca aveva precisato che erano state simulate al CAD quattordici diverse versioni del telaio prima di scegliere quella che, secondo i calcoli del computer, con i suoi 6,2 kg doveva essere la più leggera. In realtà, utilizzando tubi da 22 mm con uno spessore di 1,5 mm, il telaio della Supermono è più leggero, pesando 6 kg. Anziché alla struttura principale, sella e serbatoio sono fissati ad un telaietto ausiliario in fibra di carbonio, preferito ad un tradizionale telaietto in tubi.

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La nuova arrivata nel marzo del 1993 debutta vittoriosamente a Monza affidata a Mauro Lucchiari, che all’epoca correva con Ducati in Superbike. Sebbene con i suoi 75 CV a 10.500 giri al minuto la Supermono non sia la moto più potente della categoria, nel complesso offre però il miglior pacchetto tecnico, diventando subito il riferimento in termini di maneggevolezza per chi corre nelle gare riservate alle monocilindriche.
Nelle due stagioni seguenti la concorrenza non resta però a guardare portando la Casa di Borgo Panigale a sviluppare una versione evoluzione del Supermono che fa il suo debutto nelle mani del neozelandese Robert Holden ad Assen nel settembre 1994.

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All’interno dell’airbox dove si vedono i due condotti della presa d’aria anteriore e il corpo del corpo farfallato che ha un diametro all’inizio di 50 mm. I due iniettori del carburante sono esterni alla cassa d’aspirazione.

Il principale intervento riguarda l’aumento della cilindrata, incrementata a 572 cc con nuove misure di alesaggio per corsa di 102 x 70 mm, assieme ad una rivisitazione degli organi di distribuzione montando gli alberi a camme del bicilindrico ufficiale Superbike da 955 cc di Carl Fogarty, vincitore quell’anno del campionato mondiale Superbike. Grazie ad un nuovo impianto di scarico che migliora il tiro ai medi regimi, la potenza sale a 79 CV a 10.000 giri.
In questa nuova configurazione vengono assemblate altre 23 Supermono nel biennio 1994-1995. Poi la produzione viene interrotta alla vigilia dell’inizio delle trattative che porteranno alla cessione della Ducati, dalla Cagiva al gruppo di investimento americano Texas Pacific Group (TPG).
L’idea di una versione stradale viene esclusa dalla proprietà americana: TPG ritiene improbabile che un cliente sia disposto a pagare per la Supermono Strada, una cifra superiore a quella che occorre per comprare una 900 SS bicilindrica desmo raffreddata ad aria. E questo nonostante Ducati Japan avesse già un pacchetto di duecento probabili acquirenti, assolutamente pronti ad averla.

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