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Design stories: le texture

Le texture stanno prendendo sempre più piede nel definire il look delle moto. Sono una sorta di indispensabile inganno tattile e visivo che ha effetti estremamente positivi, a patto – però – di non esagerare

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Nello sketch, disegnato da Frascoli per la Triumph Trident 660, la texture micropuntinata negli incavi del serbatoio assolve una duplice funzione: elemento di stile e superficie dal buon grip.

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Texture: ne sentiamo parlare sempre più spesso, ma di che cosa si tratta? Letteralmente, significa rete, tessitura. Nella pratica è un irruvidimento della superficie liscia della carrozzeria mediante fitti ed accurati rilievi o minutissimi segni ripetuti (pattern) disposti in maniera regolare o casuale e discontinua. Difficile identificare chi per primo utilizzò il termine texture. Libri come “Textures: la caratterizzazione visiva e tattile delle superfici” della collana di Bruno Munari del 1976, ci fanno capire quanto fossero innovatori, pionieristici e visionari i grandi designer di quegli anni che, intuendone le grandi potenzialità, cominciarono ad adottarla su materiali come marmo, metalli e tessuti.

Per realizzare le texture, si fa uso di fotoincisione laser o chimica dello stampo metallico con cui si producono le superfici plastiche. La tecnologia laser è più evoluta e consente offset più dettagliati di quella chimica, che si ferma a circa 0,3-0,4 mm. L’effetto non è solo visivo, ma anche tattile: una superficie texturizzata – generalmente di plastica – assume connotazioni differenti, pur con materiale identico.

Oltre al valore percepito, a parità di design e di grip, le texture sono utilizzate anche per applicazioni su componenti con limitate potenzialità di stile, ma con elevate personalizzazioni sul materiale e sulle attrezzature sportive e tecniche. Immaginate gli attrezzi della vostra palestra o i manici di certi cacciavite e avete capito di che cosa sto parlando. Nel mondo dell’automotive è adottata da tempo negli interni delle auto, per simulare l’effetto pelle e per rendere l’abitacolo più ricco, sofisticato e confortevole (perché visivamente morbido).

Le texture sanno anche rendersi irresistibili: non riesci a non toccarle. Arrivano persino a contribuire alla decisione dell’acquisto di un veicolo, a volte. Ritengo infatti che la prima texture su plastica nasca con l’effetto “soft touch” per accrescere la qualità tattile delle superfici, più di quella visiva.

Nel panorama delle due ruote, invece, le prime parti texturizzate si trovano nei retroscudi degli scooter che, guarda caso, sono concettualmente simili all’abitacolo e al cockpit di un’auto: ancora oggi sono proprio gli scooter (che hanno vaste aree non verniciate) a fare più ampio uso di texture. Ma stanno invadendo anche il segmento delle moto. Il fascino è innegabile: una grafica permanente è come un tatuaggio. A differenza del quale, però, non è definitiva: se il design non lo richiede, se ne può fare a meno, senza che ciò venga considerato un passo indietro (rifacendo, ovviamente, lo stampo). Il design, infatti, è per concetto stesso in continuo movimento, rifugge dalla parola definitivo: il bello è sempre migliorabile. Tuttavia sono innegabili i vantaggi: una parte della carrozzeria dal design caratterizzato da pulizia formale, se abbinata a superfici sofisticate, acquista ricchezza e ricercatezza. Di fatto evolve il paradigma stesso di design minimale, spostando l’attenzione dalla forma alla materia.

Credo che molti motorcycle designer (me compreso!) all’inizio fossero scettici di fronte a questa nuova opportunità: le texture venivano viste come un’invasione di territorio, un disturbo alle superfici che avevamo plasmato e che molti di noi verniceremmo con un solo colore o al massimo due, aggiungendo il nero (mi raccomando identico a quello degli pneumatici!). Inoltre, prevedere una texture significa aggiungere una fase al progetto. Ma presto si è intuito quanto possa essere di aiuto, perché aumenta il valore percepito delle parti non verniciate, da sempre considerate le parti povere ed economiche della carrozzeria. Addirittura ne ribalta i ruoli, facendole (in taluni casi) sembrare più ricche e sofisticate delle superfici verniciate stesse. Talvolta, infatti, questa tecnica è utilizzata su componenti soggetti ad attriti, urti e abrasioni: una parte texturizzata, infatti, si rovina meno di una superficie liscia, benché possa tendere a lucidarsi, nel caso di contatto costante.

Una texture molto ruvida fa apparire il pezzo molto più robusto. A questo punto è necessario un appunto: nessuno vieta di verniciare una parte texturizzata, ma i risultati, in termini di qualità, sono pessimi: il colore riempirebbe in parte i solchi e ridurrebbe la resistenza all’abrasione della nuda plastica.

Dunque è bene usarla ovunque o limitarne l’utilizzo? Come spesso accade, il giusto sta nella corretta misura e se ad una certa fase del progetto si avverte la necessità di eccedere con le textures, significa solo una cosa: che non abbiamo realizzato un buon design. Le innovazioni ci esaltano e offrono a noi designer nuova linfa creativa, offrendo potenzialità inesplorate. Ma attenzione, l’entusiasmo iniziale e il desiderio di arrivare prima degli altri vanno ragionati e dosati con criterio. Alla base di ogni scelta deve esserci sempre il rispetto dei valori del buon design che non deve mai essere eccessivo ed urlato, ma attraente, onesto e che dura nel tempo. In questo quadro, anche le textures evolveranno, divenendo sempre più raffinate e tecnologiche. Magari saranno anche meno “urlate” e pacchiane: proprio come i tatuaggi (anche se, personalmente, non mi farei iniettare nemmeno una goccia di inchiostro sottopelle!) avranno l’obiettivo di rafforzare il carattere della parte interessata - se non di tutta la moto – senza però essere troppo invasive.

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