Le texture sanno anche rendersi irresistibili: non riesci a non toccarle. Arrivano persino a contribuire alla decisione dell’acquisto di un veicolo, a volte. Ritengo infatti che la prima texture su plastica nasca con l’effetto “soft touch” per accrescere la qualità tattile delle superfici, più di quella visiva.
Nel panorama delle due ruote, invece, le prime parti texturizzate si trovano nei retroscudi degli scooter che, guarda caso, sono concettualmente simili all’abitacolo e al cockpit di un’auto: ancora oggi sono proprio gli scooter (che hanno vaste aree non verniciate) a fare più ampio uso di texture. Ma stanno invadendo anche il segmento delle moto. Il fascino è innegabile: una grafica permanente è come un tatuaggio. A differenza del quale, però, non è definitiva: se il design non lo richiede, se ne può fare a meno, senza che ciò venga considerato un passo indietro (rifacendo, ovviamente, lo stampo). Il design, infatti, è per concetto stesso in continuo movimento, rifugge dalla parola definitivo: il bello è sempre migliorabile. Tuttavia sono innegabili i vantaggi: una parte della carrozzeria dal design caratterizzato da pulizia formale, se abbinata a superfici sofisticate, acquista ricchezza e ricercatezza. Di fatto evolve il paradigma stesso di design minimale, spostando l’attenzione dalla forma alla materia.
Credo che molti motorcycle designer (me compreso!) all’inizio fossero scettici di fronte a questa nuova opportunità: le texture venivano viste come un’invasione di territorio, un disturbo alle superfici che avevamo plasmato e che molti di noi verniceremmo con un solo colore o al massimo due, aggiungendo il nero (mi raccomando identico a quello degli pneumatici!). Inoltre, prevedere una texture significa aggiungere una fase al progetto. Ma presto si è intuito quanto possa essere di aiuto, perché aumenta il valore percepito delle parti non verniciate, da sempre considerate le parti povere ed economiche della carrozzeria. Addirittura ne ribalta i ruoli, facendole (in taluni casi) sembrare più ricche e sofisticate delle superfici verniciate stesse. Talvolta, infatti, questa tecnica è utilizzata su componenti soggetti ad attriti, urti e abrasioni: una parte texturizzata, infatti, si rovina meno di una superficie liscia, benché possa tendere a lucidarsi, nel caso di contatto costante.
Una texture molto ruvida fa apparire il pezzo molto più robusto. A questo punto è necessario un appunto: nessuno vieta di verniciare una parte texturizzata, ma i risultati, in termini di qualità, sono pessimi: il colore riempirebbe in parte i solchi e ridurrebbe la resistenza all’abrasione della nuda plastica.
Dunque è bene usarla ovunque o limitarne l’utilizzo? Come spesso accade, il giusto sta nella corretta misura e se ad una certa fase del progetto si avverte la necessità di eccedere con le textures, significa solo una cosa: che non abbiamo realizzato un buon design. Le innovazioni ci esaltano e offrono a noi designer nuova linfa creativa, offrendo potenzialità inesplorate. Ma attenzione, l’entusiasmo iniziale e il desiderio di arrivare prima degli altri vanno ragionati e dosati con criterio. Alla base di ogni scelta deve esserci sempre il rispetto dei valori del buon design che non deve mai essere eccessivo ed urlato, ma attraente, onesto e che dura nel tempo. In questo quadro, anche le textures evolveranno, divenendo sempre più raffinate e tecnologiche. Magari saranno anche meno “urlate” e pacchiane: proprio come i tatuaggi (anche se, personalmente, non mi farei iniettare nemmeno una goccia di inchiostro sottopelle!) avranno l’obiettivo di rafforzare il carattere della parte interessata - se non di tutta la moto – senza però essere troppo invasive.