Il tema dell’abbandono è ricorrente in Aspromonte e la lingua non fa eccezione. Sulla costa jonica il greco era usato fino al XVII secolo, quando Roma mandò vescovi cattolici a diffondere il latino e convertire una popolazione che praticava il culto ortodosso. La matrice greco-bizantina rimase viva nell’interno, trasmessa oralmente da pastori e agricoltori. Col ventesimo secolo il grecanico venne considerato lingua dell’arretratezza e, per senso di vergogna, smise di essere trasmesso. Le cose cambiarono negli anni ’70 grazie a Domenico Minuto, professore di liceo a Reggio: ascoltando due suoi studenti di Gallicianò parlare in lingua madre, comprese che c’era un complesso mondo prossimo all’oblio. Negli ultimi decenni, il tema dell’area grecanica è così diventato portante nel turismo sostenibile di questa parte di Calabria.
Facciamo tappa proprio a Gallicianó, dove il grecanico non è mai stato abbandonato del tutto. Arroccato su un cocuzzolo sopra la fiumara dell’Amendolea, è abitato da pochi anziani pastori. I nomi delle vie in greco, la chiesa ortodossa, il museo etnografico ne sono la sostanza fisica, ma la vera anima è
‘u Sonu, la Musica. Da qui proveniva l’eccellenza dei suonatori della provincia tanto che, fino agli anni ’50, una delegazione di zampognari suonava per il Papa a Natale. I
gaddhicianisi sono convinti di essere geneticamente predisposti. Qui lo straniero è sempre benvenuto e il senso dell’ospitalità è nelle parole di Vincenzo, zampognaro e
craparu: “
Non m’interessa da dove vieni e che faccia hai. ‘A porta è aperta e ‘na possibilità ti l’aiu a dari, se no come so se siamo amici?”. Il borgo ospita una tappa del Paleariza,
festival di world music dell’Area Grecanica che ha contribuito alla ribalta del territorio e a sdoganare la sua musica tradizionale, radice culturale di cui andare fieri.