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Tecnica: i bicilindrici paralleli di nuova generazione

In questi ultimi anni è cresciuta in modo esponenziale l’offerta di bicilindrici paralleli, in particolare nelle cilindrate intermedie, dove hanno di fatto soppiantato i 4 in linea e circondato quelli a V. Questa svolta è dettata dagli inferiori costi di produzione? Sì, ma non solo. Questi paralleli sono tutti uguali? No. E sono “noiosi”? Nemmeno. Vediamo perché

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Il motore bicilindrico parallelo della BMW F 750 GS

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Parliamo dei motori bicilindrici paralleli di nuova generazione. In questi ultimi anni il panorama motociclistico è cambiato in modo sostanziale e vertiginoso. Le case motociclistiche più solide hanno sempre dominato il mercato ma la lotta è stata di mese in mese sempre più dura: sono arrivati nuovi marchi, alcuni sono tornati in auge, e poi si sono dovuti affrontare molti imprevisti, legati alla pandemia, alle guerre, non solo quelle con le armi.

Questo periodo turbolento ha cambiato anche il mercato, un effetto positivo che ha risolto una stagnazione che vivevamo da tempo, e c’è stato un gran fermento attorno ai modelli della fascia entry, quella delle medie cilindrate, da 500 a 800 cc (oggi una 800 cc è una “media”). Molte case motociclistiche hanno offerto modelli di ottimo livello a prezzi finalmente accessibili, e se guardiamo le classifiche di vendita notiamo che nel giro di pochi mesi la situazione è cambiata in modo impressionante. Certo, i “duri e puri” storcono la bocca vedendo sui passi di montagna alcuni modelli economici di medio livello, ma per il nostro settore questo stravolgimento è una manna dal cielo, ridà vita a vantaggio di tutti.

Abbiamo detto prezzi accessibili, ed è questo il punto: oggi con quello che spenderesti per portarti a casa uno scooter di media cilindrata ti puoi comprare un’ottima moto, con ciclistica, freni, motore e allestimento di buon livello. Ovviamente il produttore deve contenere i costi, ed è questo uno dei motivi per cui oggi assistiamo a questo fiorire di bicilindrici paralleli. Che infatti costano meno di un bicilindrico a V e anche di un quattro cilindri (poi vedremo perché si risparmia).

Un altro punto a favore del bicilindrico è che oggi, sempre per economia di scala, si tende a realizzare delle piattaforme, con motori, e spesso anche telaio, che sono impiegati in moto di estrazione anche ben diversa. Anni fa, in particolare le case giapponesi, erano propense al concetto “un motore, una moto”, ma oggi non è più così, anche perché realizzare un motore nuovo ha un costo enorme, e quindi deve essere versatile, per equipaggiare più modelli possibili, ed essere anche il più possibile longevo.

Ma non è solo l’economia a imporre il bicilindrico parallelo. Parlando di medie cilindrate i nostri gusti sono cambiati, e se anni fa un quattro cilindri di 600 cc poteva soddisfare le aspettative di un motociclista, e pure esigente, oggi vogliamo decisamente di più. Non parliamo di CV, che su strada hanno un senso relativo, ma di Nm, di risposta all’acceleratore e di gusto della guida. Se in un bel tratto di misto guardate il contagiri vedrete che in genere si resta ben lontani dalla zona rossa, sfruttando, a grandi linee, regimi che vanno da 3.000 a 7.000 giri/min, e se in questo intervallo c’è grinta la soddisfazione è massima. Un 4 cilindri difficilmente ha una bella schiena in quei regimi, ben diversa, invece, è la risposta di un bicilindrico. Ecco un altro motivo per cui oggi è di moda, in particolare nelle medie cilindrate.

Qualcuno dice che il bicilindrico parallelo è un motore poco emozionante. Perché? Se guardiamo al passato non tanto lontano, le inglesi BSA, Norton, e in particolare Triumph, hanno scritto pagine esaltanti della storia delle due ruote, e hanno anche aperto la strada alle maxi, il top del motociclismo. Probabilmente perché fino a oggi bicilindrici paralleli li abbiamo visti su tranquille moto di estrazione turistica, importanti per il mercato ma non certo emozionanti. Ma questo non vuol dire che il nostro bicilindrico sia noioso: dipende da come è progettato. Prima però diamo un’occhiata veloce alle tipologie di bicilindrici.

Un bicilindrico può essere a V (con angoli diversi tra i cilindri), boxer e parallelo. Ogni architettura ha pregi e difetti, e inoltre, come già detto, dipende dall’obiettivo del progetto, se è nato per equipaggiare una sportiva oppure una turistica o una custom. Quando pensiamo ai recenti bicilindrici a V i primi nomi che ci vengono in mente sono Ducati, Moto Guzzi, Harley-Davidson, con l’angolo delle termiche compreso tra i 90° e i 45°.

Il bicilindrico a V più centrato è quello a 90°, tipica scelta Ducati, configurazione che elimina le vibrazioni del primo ordine, quindi non richiede contralberi, e assicura un forte carattere. Un’altra pietra miliare è firmata Moto Guzzi, cambia la disposizione, stesso discorso, resta la V di 90°. Ci sono poi motori di successo a V con diversi angoli, tra questi vanno citati il V a 65° dell’Aprilia RSV 1000, che però ha ben due contralberi di bilanciamento, e lo storico V di 45° Harley-Davidson, in versione con i contralberi e senza. Questo è molto particolare: la V stretta e la corsa lunga lo rendono molto alto, caratteristica che per una classica moto americana non è un difetto, e per di più la versione senza contralberi trasmette forti vibrazioni, così forti che ad alcuni regimi sono proprio insopportabili, ma il punto a favore è che danno carattere, e su questo non c’è ragione che tenga.

Il bicilindrico boxer è BMW. I boxer hanno ha i perni di biella a 180° e sono perfettamente equilibrati, se si eccettua una piccola coppia non bilanciata, hanno un’erogazione straordinariamente rotonda e pastosa, data dal fatto che le fasi utili sono distanziate uniformemente, particolare che si riflette anche nella tonalità di scarico. I bicilindrici in linea, infine, potrebbero sembrare tutti uguali, ma in realtà, oltre le caratteristiche di progetto più o meno spinte, mostrano caratteri ben diversi a seconda della configurazione dell’albero a gomiti, alle quali corrispondono differenti spaziature tra le fasi utili, cioè gli “scoppi”. Prima di parlare di carattere, che è l’aspetto più interessante, vediamo pregi e difetti di quest’ultima tipologia.

Come anticipato il primo motivo per cui oggi si sceglie un bicilindrico parallelo è il costo, dovuto a numerosi vantaggi che ci sono nelle fasi di progettazione, produzione e montaggio finale, sia del motore stesso, sia del motore sulla moto. La posizione avanzata e simmetrica dei cilindri facilita il progetto dell’impianto di scarico, poiché i collettori escono di fronte, sono di lunghezza uguale e offrono comodo spazio per installare i catalizzatori; in un motore a V tutto ciò è più complesso (non però sul 90° trasversale Guzzi), sia per la forma e la lunghezza dei collettori, sia per la trasmissione di calore. A proposito di calore la configurazione frontemarcia si presta meglio ad essere raffreddata, e offre maggior comfort al pilota grazie al migliore smaltimento del calore.

Il bicilindrico parallelo essendo più compatto in senso longitudinale lascia spazio utile per la realizzazione dell’airbox, che è anche più semplice poiché il sistema di aspirazione è simmetrico, vantaggio importante anche per la realizzazione del serbatoio, e in più (sempre rispetto un bicilindrico a V) c’è anche spazio per collocare la sella più in basso, caratteristica importante per alcuni modelli, quelli meno sportivi, e quelli destinati ad alcuni mercati come quello asiatico.

In fase di produzione e lavorazione i vantaggi sono dati dal blocco cilindri, unico e dal numero inferiore di componenti, ed è più semplice anche nel montaggio. In genere (ma dipende dal progetto) il basamento è tagliato orizzontalmente e soprattutto nelle cilindrate inferiori gli alberi sono allineati, facilitando l’assemblaggio. Infine, passando alla catena di montaggio, è più facile installarlo sul telaio, lavorarci attorno, montare l’alimentazione e lo scarico, poiché tutti i componenti hanno un andamento più semplice e con collegamenti meno complessi (tubi, cavi, eccetera). Il risultato è una linea di montaggio più agile e facile, aumenta quindi la produttività e ci sono meno problemi di qualità. La conseguenza di tutto ciò, considerando l’intero ciclo produttivo, è un costo industriale più basso.

Il bicilindrico a V ha un albero motore con un singolo fulcro di manovella ed è quindi meno costoso; il basamento e le teste sono più semplici da lavorare, visto che sono uguali. Il bicilindrico parallelo ha invece due imbiellaggi, quindi un albero motore più complesso, in particolare se si sceglie la fasatura a 270°. Sebbene il bicilindrico parallelo non sia molto più ingombrante in senso longitudinale, obbliga comunque a realizzare una ciclistica leggermente più larga, meno efficace di una più snella permessa dal bicilindrico a V.

Scendendo nei dettagli sempre l’albero motore, essendo più largo, genera una forza inerziale maggiore che contrasta la variazione di traiettoria, per esempio nell’ingresso in curva. Questo tuttavia è un effetto difficile da valutare e percepire (si dovrebbe eseguire una prova a parità di ciclistica, condizione che in realtà non si ha mai) e per le piccole cilindrate è comunque limitato.

L’ultimo aspetto, comunque importante, è che in genere un bicilindrico parallelo è meno bello da vedere di un bicilindrico a V. Ci sono comunque motori più o meno belli anche tra i bicilindrici paralleli.

Dal punto di vista tecnico non c’è ragione perché un bicilindrico sia svantaggiato in termini di prestazioni, oppure “noioso”. Le prestazioni dipendono dal progetto, e oltre a questo il carattere è dovuto essenzialmente alla fasatura dell’albero motore. Ci sono fondamentalmente tre tipi di albero a gomiti: con perni di biella a 360°, a 180° e a 270°, più casi particolari, un esempio per tutti lo mostra la KTM.

Da un punto di vista aziendale si sceglie un tipo di manovella per motivi di costi ma anche di target, se interessa realizzare un motore tranquillo oppure brillante; dal punto di vista del motociclista la preferenza è puramente una questione di gusti.

La configurazione classica di un bicilindrico parallelo è quella con i perni di biella a 360°. Le fasi utili sono distanziate uniformemente e si susseguono ogni 360° di rotazione dell’albero motore e questo offre un funzionamento molto fluido e lineare. Può piacere proprio per questa dolcezza, che però lo può rendere meno emozionante.

Oggi si adatta bene alle moto da turismo, dove si predilige il comfort e quindi una risposta morbida all’acceleratore, ma in passato si sono distinti bicilindrici sportivi a 360°, anche nelle competizioni (erano altri tempi).

Dal punto di vista delle vibrazioni il problema del 360° è che ci sono due masse importanti che si muovono all’unisono generando forti accelerazioni. La massa volanica dell’albero motore equilibra in parte i pistoni nei punti morti, mentre nella rotazione completa non sono bilanciate né le forze d’inerzia del primo ordine né quelle del secondo e quindi è necessario impiegare un sistema di contralberi: con uno solo la maggior parte delle vibrazioni è annullata, con due si ottiene un risultato migliore.

Un altro tipo di equilibratore dinamico è quello a “falso pistone”, usato ad esempio sul bicilindrico del Yamaha T-Max; simile ad esso è il sistema “a batacchio”, nel quale un perno eccentrico dell’albero aziona una biella collegata all’altra estremità a una massa oscillante, sistema utilizzato nel recente passato nel bicilindrico delle BMW F 800.

La configurazione a 360° ha dominato la scena motociclistica per decenni, fino a quando negli anni Sessanta la Honda ha adottato lo schema a 180° su vari motori, tra cui citiamo il CB 450, regola poi seguita da altri costruttori. In questa configurazione mentre un pistone sale al punto morto superiore, l’altro scende al punto morto inferiore. Considerando gli scoppi vediamo che le fasi utili non sono uniformi ma nemmeno “troppo asimmetriche”, poiché avvengono a 180°, 540°, 180° (e così via). Questa aritmia si avverte per lo più al minimo, ma al salire di regime l’erogazione è simile a quella del 360°, quindi piuttosto fluida.

Tra i motori con manovellismo a 180° merita una citazione l’eccellente unità Kawasaki di 500 cc montata, nei primi anni ’90, su quattro modelli, uno dei primi esempi di condivisione di piattaforma: l’enduro KLE, la sportiva semicarenata GPZ 500, la custom EN 500 e infine la ER-5. Oggi ritroviamo le stesse tipologie di moto, Versys, Vulcan, Ninja e Z con il nuovo motore 650, completamente rivisto ma ancora fedele al manovellismo a 180°. Il vantaggio del 180° è che i due pistoni si bilanciano l’un l’altro equilibrando le forze d’inerzia del primo ordine.

L’accelerazione generata dalle fasi utili dei due pistoni, che ovviamente lavorano a una certa distanza, genera però una coppia di rollio non equilibrata, quindi uno squilibrio che si alterna ciclicamente. Non si tratta tuttavia di una vibrazione importante, che peraltro si può eliminare con il classico albero ausiliario con due masse eccentriche che ruota alla stessa velocità dell’albero motore, ma in senso opposto.

Interessante, infine, la configurazione con manovelle a 270°, o 90°, lanciata, parlando di moto di serie, dalla Yamaha a metà degli anni ’90, l’applicazione più nota è sulla TDM 850. L’obiettivo è offrire una risposta all’acceleratore e un’erogazione brillanti ai medi regimi. Una risposta grintosa anche se i valori al banco non sono molto distanti da quelli dei motori con le altre configurazioni, ma la sensazione è decisamente più forte. Anche in questo caso, come in quello delle manovelle a 180°, le fasi utili non sono distanziate in maniera uniforme, ma si susseguono a 270°, 450°, 270° e così via; la particolarità è che questa alternanza simula il funzionamento di un bicilindrico a V di 90°.

Si può pensare che sia solo una questione di sequenza di impulsi, ma c’è anche un notevole vantaggio fisico: mentre il primo pistone è nella fase utile, quindi spinge in basso a partire dal punto morto superiore, il secondo si trova a 90° rispetto al primo, alla massima velocità, quindi il primo pistone non deve “fare lo sforzo” di staccarlo dal punto morto poiché è già in fase dinamica; in seguito il secondo pistone, grazie all’inerzia, fa da volano al primo quando quest’ultimo passa nel punto morto inferiore. Questo susseguirsi di spinte reciproche rende l’erogazione più brillante, e la risposta all’acceleratore più pronta, a vantaggio del carattere del motore e del gusto della guida, ed è per questo che oggi è la configurazione più diffusa tra i nuovi motori, in particolare quelli che promettono maggiori prestazioni; ciò che potrebbe piacere meno è il senso di ruvidità che si avverte rispetto agli altri.

Dal punto di vista delle vibrazioni ci sono due vantaggi: la coppia di rollio è molto ridotta rispetto a quella che si ha con le manovelle a 180° e anche le forze d’inerzia del primo ordine sono limitate rispetto alla configurazione a 360°. La situazione comunque non è perfetta, le vibrazioni generate dalle masse alterne non sono annullate ma ridotte e per equilibrarle si usa un contralbero sfasato di 90°.

Oggi si sceglie quindi per soddisfare le esigenze dei motociclisti, in particolare europei, che vogliono una risposta pronta all’acceleratore (mentre in Asia si guida più tranquilli e va bene un 360° di cilindrata medio-piccola), ed è meglio supportata dai nuovi pneumatici, che grazie all’evoluzione delle carcasse e delle mescole offrono più grip. Esempi importanti sono rappresentati dai motori della serie Triumph Bonneville, dal 700 cc della Yamaha MT-07 e dal nuovo 750 cc della Honda Hornet, senza dimenticare che il 270° è già presente da tempo sulle sue moto di alta gamma.

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