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21 April 2009

Special: una dirt track ricavata da una H-D XR1000. Peso millesimato per cavalli abbondanti

Nata dalla passione per il dirt track di Jan-Willem A. Jansen, ingegnere del Team BMW Sauber F1, è una versione specialissima di Harley-Davidson XR1000. Jan l’ha concepita come una moto stradale che somigliasse ad una H-D XR750 da dirt track, ma poi ha cominciato ad utilizzarla per correre e ne ha estremizzato le caratteristiche racing, creando un mostro dell’ovale da un miglio.

Potenzialità infinite






POTENZIALITÀ INFINITE
Nell’ovale da un miglio, l’H-D XR1000 arriva in fondo al dritto a 220 km orari, poi curva (senza freni e su terra battuta) a 170: questo è ciò che significa guidare una Thunderbike su un ovale da un miglio. Da sempre, le moto più competitive negli ovali lunghi, quelli da un miglio appunto, sono le bicilindriche, soprattutto Harley-Davidson XR750. È una moto nata espressamente per il flat track, con un motore ad aria molto leggero e un telaio costruito ad hoc. Ma l’ingegner Jan-Willem A. Jansen, che per tutti è Jan Willem, uno specialista della Formula 1 appassionato di moto, ha deciso di costruirsi l’anti XR750, partendo dalla XR1000, ovvero una H-D stradale che nei primi Anni 80 era venduta nei concessionari e faceva il verso, solo esteticamente, alla sorella 750, quella da corsa. Spiega Jan: “Volevo fare una moto per andare in giro su strada e ho deciso di comprare una XR1000 perché esteticamente ricordava la 750 da flat track. Però, così com’era, non mi piaceva”. Di solito se a qualcuno non piacciono alcune cose delle propria moto, le cambia. È normale, lo fanno tutti. Un nuovo specchietto, via le frecce, parafanghino stiloso e, a voler esagerare, un bel kit motore per carburazione e scarico. Se però di mestiere fai l’ingegnere meccanico nel Team Sauber F1, le potenzialità, budget permettendo, sono infinite.

La moto ed il suo autore





LA MOTO E IL SUO AUTORE
È iniziato tutto nel 2002. In Svizzera, dove vive Jan, giravano molti supermotard, ma a lui piaceva l’idea di un motard su base H-D, così prese un telaio CMJ da dirt track studiato anche per uso stradale (siamo già nel 2003): “Facevo motocross, ma guardavo i grandi dell’ovale in America e volevo portare il Flat Track in Europa. Un giorno, un mio amico mi disse di andare a Castelletto di Branduzzo a girare sull’ovale di terra. Io avevo l’H-D XR1000 ancora stradale, ma andai”. Inutile dire che si divertì come un bambino, tanto da decidere di vendere in blocco tutti i pezzi originali avanzati della sua XR1000 (ormai introvabile anche in USA, perché uscita di produzione prima della metà degli anni 80), spedendoli negli States in cambio di una KTM da dirt track. Lì cominciò la sua storia d’amore con il dirt. Dopo un paio d’anni di esperienza nei campionati tedeschi “Volevo fare di più -dice Jan- così nel 2007 decisi di prendere in mano io l’organizzazione dell’Europeo Dirt Track. In realtà, io sarei un pilota. Non vorrei organizzare, se potessi scegliere io vorrei solo correre e fare le moto, ma se nessuno organizza, dove corro?”. Nel 2007 i piloti in griglia erano 8 piloti, quest’anno sono già 20 fissi, più alcune wild card, ma Jan ne cerca sempre di nuovi  e non è difficile trovarne perché chi prova l’ovale, spesso e volentieri, se ne innamora.

Un passo indietro





UN PASSO INDIETRO
Quando aveva la KTM da dirt e l’H-D XR1000, che finì di trasformare da pista, togliendo il superfluo e adattando il telaio CMJ con diversi attacchi motore. Questo fu reso necessario per due motivi: il primo è che il telaio non esiste per la 1000, ma solo per la 750 e le teste sono troppo alte per starci dentro, il secondo è che nell’ovale occorre avere il baricentro alla minore altezza possibile e un riposizionamento del propulsore più in basso avrebbe giovato molto. L’Harley era pronta e stava per fare il suo debutto in una gara europea (2006), quando Jan si gira il piede in prova, a causa di una scivolata, e non può portare la sua bella in gara la domenica. Così, chiede al nostro Marco Belli, suo amico e numero uno del dirt track nel vecchio continente, di provare la sua Harley e portarla in gara nella classe Thunderbike (oltre 650 mono e bicilindriche) il giorno dopo. Marco accetta, prova la moto, si piazza in griglia e la domenica vince. Non che sia stato facile, soprattutto per uno abituato ad andar forte con i monocilindrici (Belli è ufficiale CCM e con la sua 510 cc è campione inglese da tre anni a questa parte), ma il potenziale della moto era chiaro. Bastava lavorarci su ancora un po’ per limare i piccoli difetti, ma la strada era quella giusta.

Ciclistica





CICLISTICA
Dei nuovi attacchi motore abbiamo già detto, perché se vuoi mettere un motore in un telaio studiato per una moto diversa, non c’è alternativa. Il problema del propulsore 1000, però, è che pesa troppo a sinistra, è molto sbilanciato e una ridistribuzione dei pesi gioverebbe alla guida nell’ovale. Per questo, Jan pensa bene di segare il basamento del carter nella zona dell’attacco del forcellone, per poter montare l’intero blocco motore disassato a destra. Ovviamente, così facendo ha dovuto rifare l’allineamento della catena, con nuove boccole in titanio accoppiate a un parastrappi in teflon che lui stesso ha progettato. Per ottimizzare il suo parastrappi, però, aveva bisogno di un mozzo ruota posteriore tutto diverso, così... lo ha riprogettato, facendolo realizzare dal pieno, con due importanti aggiunte: l’attacco tangenziale dei raggi e la flangia del disco freno integrata in un sol pezzo con il mozzo. La sua professione lo ha aiutato molto nel trovare i giusti partner tecnici per la realizzazione di questi lavori. Altra chicca è la piastra superiore di sterzo, realizzata dal pieno in alluminio e scavata fino al limite dei 3 mm di spessore, in quanto l’analisi agli elementi finiti assicura che senza freno anteriore, lo stress meccanico su questo componente è molto più ridotto. Viteria in titanio e sovrastrutture in carbonio, a confronto di tutto questo ben di dio, sono piccole cose, ma anche loro aiutano a limare il grammo, fino al limite dei 145 kg.

Motore





MOTORE
La riduzione del peso è stata uno dei cardini dell’intero progetto, tanto da arrivare alla soglia del maniacale, a volte anche molto oltre. Lo spessore della corona, nella produzione, non supera i 6,5 mm, ma a lui serviva uno spessore, nei punti di attacco al mozzo, di 8 mm. Così ha riprogettato la corona, facendosela realizzare dal pieno, con spessori differenziati per non avere un solo grammo di più del minimo necessario: 8 mm sugli attacchi, 4 mm al centro e 6,5 mm sulla pista, dove scorre la catena da 530... Con il nuovo posizionamento del motore, non ci stava più l’alternatore originale, così lo ha sostituito con uno diverso, più piccolo, mentre la primaria, che originariamente era a catena con la campana frizione in acciaio, è stata sostituita da una cinghia in kevlar e campana in alluminio. Uno dei lavori di maggior spessore tecnico, per i quali il suo lavoro di ingegnere è stato fondamentale, è stato la sostituzione dei cilindri. La XR750, che nasce per correre, ha i cilindri in alluminio con le canne in acciaio. La XR1000, realizzata quasi a mano ma destinata alla strada, li ha in acciaio. Per togliere peso, e per avere i cilindri come lui li aveva in mente, li ha riprogettati da zero, tutti in alluminio ricavati dal pieno e con il riporto in Nikasil antiattrito e antiusura per lo scorrimento dei pistoni. Solo con i nuovi cilindri ha risparmiato 7 kg di peso! I carburatori di serie sono stati sostituiti con due bei Keihin FCR 41, mentre la nuova accensione con doppio alternatore gli ha consentito di passare da un massimo di 6.500 giri a 8.000. Dalla Sundance, ditta di Tokyo specializzata in preparazioni estreme anche su base H-D, sta aspettando le nuove teste a doppia accensione, fatte realizzare su suo progetto.

Come va





COME VA
Dopo due anni che non la provava e con molte modifiche maturate nel frattempo è tornato a metterla alla frusta per noi Marco Belli che racconta: “la moto non è proprio una “easy to use”, anzi, bisogna imparare a conoscerla già prima di accendere il motore. Dalla leva del cambio piccola e nascosta sotto il carter -tra l’altro di tipo rovesciato- al manubrio dalla larghezza veramente esagerata e alla difficoltà di salire in sella, questa moto sfoggia particolarità tutte sue. L’impostazione è quella dai 160 km orari in su, così come la ciclistica, anch’essa studiata per dare il meglio sul lungo, per gli ovali oltre gli 800 metri e fino a 1.600 metri per intenderci, dove una massa così evidente riesce ad esprimersi al massimo in termini di stabilità e velocità di percorrenza. Ma la sua stessa capacità di affrontare il corto è davvero sorprendente: dopo i primi giri a ritmo tranquillo, per scrollarmi di dosso gli ultimi barlumi di timore riverenziale, ho incominciato a spingere ed osare qualche entrata; presto fatto, nonostante provassi ad accentuare la derapata, soprattutto nella prima fase di entrata di curva, la moto rimaneva davvero stabile ed in traiettoria, trasferendo una sensazione di grande grip dal posteriore, quasi a sfavore della linea ideale, in quanto lo stesso difficilmente tendeva a partire per la tangente e mettersi parallelo al rettilineo d’uscita; il risultato è un raggio di curva leggermente più ampio del dovuto. In compenso, all’apertura del gas la moto si alza subito e trasferisce sul terreno una gran manciata di CV, tanti ma diluiti per dare trazione, che ti spingono sul rettilineo a tutta velocità, pronti per mettersi in “carena” nella classica posizione da flat track con la mano sinistra sullo stelo, alla ricerca della maggior penetrazione aerodinamica possibile: le velocità di punta, con questi bicilindrici, sono ben oltre i 200 km/h”.
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