Special: una dirt track ricavata da una H-D XR1000. Peso millesimato per cavalli abbondanti
Potenzialità infinite
POTENZIALITÀ INFINITE Nell’ovale da un miglio, l’H-D
XR1000 arriva
in fondo al dritto a 220 km orari, poi curva (senza freni e su terra battuta)
a 170: questo è ciò che significa guidare una Thunderbike su un ovale da
un miglio. Da sempre, le moto più competitive negli ovali lunghi, quelli
da un miglio appunto, sono le bicilindriche, soprattutto Harley-Davidson
XR750. È una moto nata espressamente per il flat track, con un motore ad
aria molto leggero e un telaio costruito ad hoc. Ma l’ingegner Jan-Willem
A. Jansen, che per tutti è Jan Willem, uno specialista della Formula 1
appassionato di moto, ha deciso di costruirsi l’anti XR750, partendo dalla
XR1000, ovvero una H-D stradale che nei primi Anni 80 era venduta nei
concessionari
e faceva il verso, solo esteticamente, alla sorella 750, quella da corsa.
Spiega Jan: “Volevo fare una moto per andare in giro su strada e ho deciso
di comprare una XR1000 perché esteticamente ricordava la 750 da flat track.
Però, così com’era, non mi piaceva”. Di solito se a qualcuno non
piacciono
alcune cose delle propria moto, le cambia. È normale, lo fanno tutti. Un
nuovo specchietto, via le frecce, parafanghino stiloso e, a voler esagerare,
un bel kit motore per carburazione e scarico. Se però di mestiere fai
l’ingegnere
meccanico nel Team Sauber F1, le potenzialità, budget permettendo, sono
infinite.
La moto ed il suo autore
LA MOTO E IL SUO AUTORE È iniziato tutto nel 2002. In Svizzera, dove
vive Jan, giravano molti supermotard, ma a lui piaceva l’idea di un motard
su base H-D, così prese un telaio CMJ da dirt track studiato anche per
uso stradale (siamo già nel 2003): “Facevo motocross, ma guardavo i grandi
dell’ovale in America e volevo portare il Flat Track in Europa. Un giorno,
un mio amico mi disse di andare a Castelletto di Branduzzo a girare
sull’ovale
di terra. Io avevo l’H-D XR1000 ancora stradale, ma andai”. Inutile
dire
che si divertì come un bambino, tanto da decidere di vendere in blocco
tutti i pezzi originali avanzati della sua XR1000 (ormai introvabile anche
in USA, perché uscita di produzione prima della metà degli anni 80), spedendoli
negli States in cambio di una KTM da dirt track. Lì cominciò la sua storia
d’amore con il dirt. Dopo un paio d’anni di esperienza nei
campionati
tedeschi “Volevo fare di più -dice Jan- così nel 2007 decisi di prendere
in mano io l’organizzazione dell’Europeo Dirt Track. In realtà, io
sarei
un pilota. Non vorrei organizzare, se potessi scegliere io vorrei solo
correre e fare le moto, ma se nessuno organizza, dove corro?”. Nel 2007
i piloti in griglia erano 8 piloti, quest’anno sono già 20 fissi, più
alcune wild card, ma Jan ne cerca sempre di nuovi e non è difficile
trovarne perché chi prova l’ovale, spesso e volentieri, se ne innamora.
Un passo indietro
UN PASSO INDIETRO Quando aveva la KTM da dirt e l’H-D XR1000, che
finì di trasformare da pista, togliendo il superfluo e adattando il telaio
CMJ con diversi attacchi motore. Questo fu reso necessario per due motivi:
il primo è che il telaio non esiste per la 1000, ma solo per la 750 e le
teste sono troppo alte per starci dentro, il secondo è che nell’ovale
occorre avere il baricentro alla minore altezza possibile e un riposizionamento
del propulsore più in basso avrebbe giovato molto. L’Harley era pronta
e stava per fare il suo debutto in una gara europea (2006), quando Jan
si gira il piede in prova, a causa di una scivolata, e non può portare
la sua bella in gara la domenica. Così, chiede al nostro Marco Belli, suo
amico e numero uno del dirt track nel vecchio continente, di provare la
sua Harley e portarla in gara nella classe Thunderbike (oltre 650 mono
e bicilindriche) il giorno dopo. Marco accetta, prova la moto, si piazza
in griglia e la domenica vince. Non che sia stato facile, soprattutto per
uno abituato ad andar forte con i monocilindrici (Belli è ufficiale CCM
e con la sua 510 cc è campione inglese da tre anni a questa parte), ma
il potenziale della moto era chiaro. Bastava lavorarci su ancora un po’
per limare i piccoli difetti, ma la strada era quella giusta.
Ciclistica
CICLISTICA Dei nuovi attacchi motore abbiamo già detto, perché se vuoi
mettere un motore in un telaio studiato per una moto diversa, non c’è
alternativa. Il problema del propulsore 1000, però, è che pesa troppo a
sinistra, è molto sbilanciato e una ridistribuzione dei pesi gioverebbe
alla guida nell’ovale. Per questo, Jan pensa bene di segare il basamento
del carter nella zona dell’attacco del forcellone, per poter montare
l’intero
blocco motore disassato a destra. Ovviamente, così facendo ha dovuto rifare
l’allineamento della catena, con nuove boccole in titanio accoppiate a
un parastrappi in teflon che lui stesso ha progettato. Per ottimizzare
il suo parastrappi, però, aveva bisogno di un mozzo ruota posteriore tutto
diverso, così... lo ha riprogettato, facendolo realizzare dal pieno, con
due importanti aggiunte: l’attacco tangenziale dei raggi e la flangia
del disco freno integrata in un sol pezzo con il mozzo. La sua professione
lo ha aiutato molto nel trovare i giusti partner tecnici per la realizzazione
di questi lavori. Altra chicca è la piastra superiore di sterzo, realizzata
dal pieno in alluminio e scavata fino al limite dei 3 mm di spessore, in
quanto l’analisi agli elementi finiti assicura che senza freno anteriore,
lo stress meccanico su questo componente è molto più ridotto. Viteria in
titanio e sovrastrutture in carbonio, a confronto di tutto questo ben di
dio, sono piccole cose, ma anche loro aiutano a limare il grammo, fino
al limite dei 145 kg.
Motore
MOTORE La riduzione del peso è stata uno dei cardini dell’intero
progetto,
tanto da arrivare alla soglia del maniacale, a volte anche molto oltre.
Lo spessore della corona, nella produzione, non supera i 6,5 mm, ma a lui
serviva uno spessore, nei punti di attacco al mozzo, di 8 mm. Così ha
riprogettato
la corona, facendosela realizzare dal pieno, con spessori differenziati
per non avere un solo grammo di più del minimo necessario: 8 mm sugli attacchi,
4 mm al centro e 6,5 mm sulla pista, dove scorre la catena da 530... Con
il nuovo posizionamento del motore, non ci stava più l’alternatore
originale,
così lo ha sostituito con uno diverso, più piccolo, mentre la primaria,
che originariamente era a catena con la campana frizione in acciaio, è
stata sostituita da una cinghia in kevlar e campana in alluminio. Uno dei
lavori di maggior spessore tecnico, per i quali il suo lavoro di ingegnere
è stato fondamentale, è stato la sostituzione dei cilindri. La XR750, che
nasce per correre, ha i cilindri in alluminio con le canne in acciaio.
La XR1000, realizzata quasi a mano ma destinata alla strada, li ha in acciaio.
Per togliere peso, e per avere i cilindri come lui li aveva in mente, li
ha riprogettati da zero, tutti in alluminio ricavati dal pieno e con il
riporto in Nikasil antiattrito e antiusura per lo scorrimento dei pistoni.
Solo con i nuovi cilindri ha risparmiato 7 kg di peso! I carburatori di
serie sono stati sostituiti con due bei Keihin FCR 41, mentre la nuova
accensione con doppio alternatore gli ha consentito di passare da un massimo
di 6.500 giri a 8.000. Dalla Sundance, ditta di Tokyo specializzata in
preparazioni estreme anche su base H-D, sta aspettando le nuove teste a
doppia accensione, fatte realizzare su suo progetto.
Come va
COME VA Dopo due anni che non la provava e con molte modifiche maturate
nel frattempo è tornato a metterla alla frusta per noi Marco Belli che
racconta: “la moto non è proprio una “easy to use”, anzi,
bisogna imparare
a conoscerla già prima di accendere il motore. Dalla leva del cambio piccola
e nascosta sotto il carter -tra l’altro di tipo rovesciato- al manubrio
dalla larghezza veramente esagerata e alla difficoltà di salire in sella,
questa moto sfoggia particolarità tutte sue. L’impostazione è quella dai
160 km orari in su, così come la ciclistica, anch’essa studiata per dare
il meglio sul lungo, per gli ovali oltre gli 800 metri e fino a 1.600 metri
per intenderci, dove una massa così evidente riesce ad esprimersi al massimo
in termini di stabilità e velocità di percorrenza. Ma la sua stessa capacità
di affrontare il corto è davvero sorprendente: dopo i primi giri a ritmo
tranquillo, per scrollarmi di dosso gli ultimi barlumi di timore riverenziale,
ho incominciato a spingere ed osare qualche entrata; presto fatto, nonostante
provassi ad accentuare la derapata, soprattutto nella prima fase di entrata
di curva, la moto rimaneva davvero stabile ed in traiettoria, trasferendo
una sensazione di grande grip dal posteriore, quasi a sfavore della linea
ideale, in quanto lo stesso difficilmente tendeva a partire per la tangente
e mettersi parallelo al rettilineo d’uscita; il risultato è un raggio
di curva leggermente più ampio del dovuto. In compenso, all’apertura del
gas la moto si alza subito e trasferisce sul terreno una gran manciata
di CV, tanti ma diluiti per dare trazione, che ti spingono sul rettilineo
a tutta velocità, pronti per mettersi in “carena” nella classica
posizione
da flat track con la mano sinistra sullo stelo, alla ricerca della maggior
penetrazione aerodinamica possibile: le velocità di punta, con questi
bicilindrici,
sono ben oltre i 200 km/h”.