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Comparativa Heritage: CB1100RS vs Z900RS

Assaporare il gusto delle maxi anni 70 con la tecnologia e la sicurezza di naked moderne: le protagoniste della comparativa lo fanno con stili diversi. Immediata e guizzante la Kawasaki, più sportiva e stabile la Honda
1/22 Kawasaki Z900RS 2018
Racing Spirit, Roaring Street, Road Sultans. E perché non Sensazioni Reali o anche Roba Scottante? Proviamo a giocare con le due lettere che caratterizzano e accomunano la Honda CB1100 e la Kawasaki Z900 di questa comparativa. Ad Akashi hanno attribuito il significato di Rétro Sport o Rétro Style; da Tokyo invece non arrivano delucidazioni in merito. Ma il tema lo avete capito: siamo in sella a due protagoniste del settore heritage, ormai passato da fenomeno di nicchia ad ago della bilancia nei budget di vendita dei costruttori. Due discendenti – almeno nello spirito – di icone dei primissimi anni Settanta (diamo una rinfrescata alla memoria nel box a pag. 164) che, come le loro antenate, vogliono ispirare sfide tra café racer, corse clandestine. Ma con tanto stile. Che poi è il motivo principale per cui si compra una moto heritage, non per le prestazioni. Eppure qui di sostanza ce n’è e anche il look – al netto delle cromature e delle linee vintage – è improntato alla sportività.

Per smanettoni brizzolati

Che siano moto premium – non indirizzate ai neofiti, ma ad una clientela matura ed esperta – non ce lo raccontano le prestazioni che trovate riassunte nell’ultima pagina, ma l’elevata qualità costruttiva, insieme alla miriade di dettagli curati ed evocativi. E il prezzo, che le mette al livello delle varie BMW R nineT, Ducati Scrambler 1100, Triumph Thruxton. La Honda CB1100RS, in circolazione dallo scorso anno, è la declinazione sportiva della conosciuta e apprezzata CB1100EX. Rispetto alla sorella con cui condivide la meccanica, ha scarichi accorciati e alleggeriti, cerchi in lega al posto di quelli a raggi ed entrambi da 17” (anziché da 18”) oltre a sospensioni più muscolose, con gli steli forcella da 43 mm (invece di 41 mm) e ammortizzatori con serbatoio separato. Il progetto Kawasaki Z900RS invece prende le mosse dalla naked sportiva Z900, utilizzandone lo schema del telaio a traliccio in acciaio (ma modificato in più parti per offrire una guida meno sportiva) e il motore (modificato in moltissimi componenti per ottenere una erogazione più corposa ai bassi e medi regimi, a discapito della potenza massima, che scende di circa 20 CV rilevati dal nostro centro prove).
Entrambe le protagoniste della nostra comparativa hanno capienti serbatoi in metallo da stringere tra le ginocchia (più "ciccione" quello Kawasaki, meglio sagomato quello Honda), scarichi cromati che cantano con timbri vigorosi e componentistica di alto livello (gli impianti frenanti, ad esempio, non sfigurerebbero sulle SBK di qualche anno fa). La qualità percepita è davvero elevata. Ma le affinità finiscono qui, perché sin dalla primissima presa di contatto, le due maxi restituiscono sensazioni molto differenti. La Honda accoglie il pilota con una posizione di guida piuttosto caricata in avanti sul manubrio stretto (9 cm più di quello Kawasaki, oltre che più basso e avanzato), una imbottitura della sella sostenuta e pedane non troppo distanziate. Il piano di seduta è però ad un'altezza modesta e sciancrato nella parte anteriore (ottimamente raccordata agli svasi del serbatoio) in modo da consentire a piloti di tutte le stature di toccare facilmente a terra. Ci si sente davvero come su una nuda sportiva degli anni Settanta, ma si ha pure la sensazione di poter guidare tutto il giorno senza stancarsi perché, in definitiva, non è affatto scomoda.
La presa di contatto con la Kawasaki è quasi opposta ed estremamente amichevole: si sta con il busto eretto seduti su una sella piatta e morbida, con pedane ben distanziate, ad agguantare il manubrio ampio e rialzato (ricorda tantissimo quello della Z1 originale!). Per nulla sportiva, è un’ergonomia da “passeggiata al lago” e infonde la rassicurante sensazione di totale controllo. Piccolo neo: la seduta è abbastanza alta e larga, per cui chi non supera i 175 cm di statura difficilmente riesce a posare a terra entrambi i piedi. Però è davvero comoda, la Z900RS. Le sospensioni hanno una buona scorrevolezza e, grazie ad una taratura di compromesso, assorbono al meglio le asperità senza essere troppo cedevoli. La totale assenza di vibrazioni, poi, certifica che la Kawa punta a ridefinire il concetto di "comfort" per la categoria. Se la gioca con la CB1100EX. Ma questa sfida è con la CB1100RS, che riafferma la sua vocazione da café racer old style con sospensioni piuttosto sostenute, specie la forcella, e con vibrazioni avvertibili soprattutto su manubrio e pedane, ma che non diventano mai fastidiose. Situazione passeggero: su entrambe le moto il trasportato gode di una buona porzione di spazio, non è "al secondo piano" rispetto al pilota e ha le gambe non troppo rannicchiate. Sia Honda che Kawasaki però non offrono altro appiglio che l'inutile cinghietto: chi siede dietro, starà aggrappato a voi come un koala ad un ramo di eucalipto.

LED: che luce sia!

Usciamo dal box che è ancora buio. Se pensiamo alle Honda CB e Kawasaki Zeta degli anni Settanta, ci vengono in mente fari paragonabili a vasetti di marmellata riempiti di lucciole. Ora invece, basta girare la chiave e il pulsante di avviamento per squarciare il buio con due lame di gelida e potente luce a LED, emessa da classicissimi fanali tondi con cornice cromata: efficace paradigma dello stile heritage, look vintage coniugato alla più moderna tecnologia. Partendo dal centro città per una gita fuoriporta, la Kawasaki sfodera qualità di moto da uso quotidiano, guizzando con agilità tra le auto. La frizione – come tutti i comandi, del resto – è morbidissima e modulabile, e fa il paio con un cambio dagli innesti precisi e per nulla contrastati. Leggermente più impacciata in ambito urbano la Honda, il cui manubrio offre una leva meno favorevole. Inoltre l’azionamento della frizione richiede uno sforzo (di poco) maggiore della concorrente e il cambio è un po’ più duro negli innesti.
Efficacissima e ottimamente dosabile la frenata di entrambe, con quella della Z900RS che appare un po' più pronta. Nel traffico verifichiamo la potenza acustica dei clacson: sfiora appena la sufficienza Kawasaki, con un cicalino dalla tonalità pari a quella di un ciclomotore, mentre è potente la voce dell'avvisatore (doppio) della CB. Come tutte le Honda di ultima generazione però, anche questa maxi ha l'interruttore posizionato dove di solito ci sono le frecce (e viceversa): il risultato sono parecchie "clacsonate" involontarie (quando invece vorremmo svoltare) prima di prenderci la mano. Non appena i semafori e gli stop cittadini lasciano spazio a strade più aperte e scorrevoli, la Kawasaki rimarca la sua grande facilità. L'impegno richiesto nei tratti guidati è minimo: la moto scende in piega in maniera neutra ed è una goduria pennellare una curva dopo altra; la manovrabilità è elevata anche nelle svolte più lente.
La guida fluida è probabilmente il modo migliore di godersi la Z900RS visto che la posizione in sella poco attiva e il repentino affondamento della forcella nelle staccate più violente non sono adatte ad uno stile di guida aggressivo. La Honda segue senza problemi il ritmo della rivale, ma l'impegno fisico richiesto è un poco superiore. Non siamo in sella ad un elefante, beninteso: si fa condurre con grande naturalezza in ogni circostanza, ma è innegabile che, oltre alla posizione di guida meno rilassata, la CB1100RS mette sulla bilancia quasi 40 kg in più della Z900RS, e questo penalizza la rapidità in ingresso curva e nei rapidi cambi di direzione. Tuttavia il feeling è sempre ottimo e il comportamento è irreprensibile anche su veloci curvoni autostradali, dove le fastidiose giunzioni o irregolarità dell'asfalto vengono digerite dalle sospensioni senza influire minimamente sulla traiettoria impostata. Anzi: più si aumenta il ritmo, più lei sembra trovarsi a proprio agio.

Birra giapponese

Relegare la descrizione dei motori all'ultimo paragrafo può sembrare una follia, invece li teniamo come ciliegina sulla torta. Quindi girate pagina e godetevi il rombo. Il quattro in linea di Akashi è derivato da quello, vivacissimo, della naked Z900 e si presenta in una veste estetica nostalgica grazie alle fresature che simulano l'alettatura dei vecchi cilindri ad aria. Ma sotto questo trucco, c'è una modernissima e potente unità motrice, che spinge forte e fluida a qualunque regime, in totale assenza di vibrazioni. Accetta senza problemi l'apertura del gas in sesta marcia fin dai 2.000 giri e risponde con una spinta poderosa e costante fino agli 8.000, quando il sibilo proveniente dallo scarico diventa un boato e la lancetta del contagiri schizza in un lampo a fondocorsa. Se è vero che, rispetto a quello della Z900 ha perso qualche CV, è altrettanto palese - anche senza il riscontro del banco prova - il rinvigorimento nella parte bassa del contagiri. Ben venga dunque il controllo di trazione, perché senza - come ci è capitato di provare su asfalto umido - c'è modo di mettersi la moto per cappello senza tanti complimenti. Il motore Honda, contrariamente al concorrente, non ha bisogno di escamotage per sembrare d'epoca: il raffreddamento è ad aria e olio, come ai vecchi tempi, e già alle prime sgasate il ruggito roco dallo scarico fa sembrare un civile sibilo quello della Z900RS. Nella guida disimpegnata la risposta al gas è magnifica, si riesce a godere di ogni grammo di coppia sprigionato dai quattro cilindroni; la cubatura maggiore è avvertibile nella prima apertura del gas, più robusta. L'erogazione è progressiva e decisa, meno rabbiosa della concorrente, ma decisamente sfruttabile, tanto che l'assenza del controllo di trazione è una mancanza in qualche modo perdonabile. Certo, in allungo manca qualcosa rispetto alla concorrente, ma quando si raggiungono gli 8.000 giri e la spinta finisce, non si sente nemmeno il bisogno di qualcosa di più, perché fino a quel regime ci ha fatto godere da matti. Sono davvero bellissime, in tutti i sensi, queste due moto.
Di difetti macroscopici, poi, non ne hanno. Il classico pelo nell'uovo: Honda ha la stampella laterale difficile da estrarre (ma ha di serie il comodo cavalletto centrale). Kawasaki invece ha un sistema di starter automatico (una volta si tirava la manettina dell'aria, per arricchire la miscela aria/benzina) che innalza parecchio il regime nelle partenze a freddo (il minimo rimane quasi a 3.000 giri per diversi minuti), obbligando a giocare un po' di più con la frizione nei primi km per non farsi "trascinare" nella marcia a bassa velocità. Tutto qui. Per questo è davvero difficile scegliere la nostra preferita. Non possiamo tenerle tutte e due?

Le antenate: Honda CB750 Four e Kawasaki Z1 900

Cinquanta anni fa, fermenti di protesta giovanile e movimenti rivoluzionari mettevano a soqquadro le piazze di tutto il mondo. Era il 1968 e anche la Honda sbatteva in faccia al paludato settore motociclistico dell'epoca la sua rivoluzione presentando la CB750 Four. Quattro cilindri in linea, una potenza strabiliante (per l'epoca, s'intende: 69 CV a 8.000 giri), una facilità di guida sconosciuta ad una maxi fino ad allora e - udite udite - il freno a disco anteriore di serie, una vera prelibatezza. Certo, le varie concorrenti italiane e inglesi avevano dalla loro una raffinatezza intrinseca maturata in decenni di tradizione. Ma le prestazioni di questa giapponese facevano impallidire le Case europee e sbavare gli appassionati. Fu un successo globale e duraturo. Della serie K (monoalbero; la successiva, bialbero, fu siglata F) ne furono prodotti quasi mezzo milione di esemplari, fino al 1978. Solo quattro anni dopo Kawasaki alzò ulteriormente il tiro con la missilistica Z1 900. In realtà ad Akashi stavano già studiando una quattro in linea dal 1966, una 750 molto simile alla CB, ma la Honda arrivò per prima. Così la "New York Steak" (questo il nome in codice del progetto), fu ripresa in mano e affinata, migliorata, potenziata. La cilindrata salì alla incredibile quota di 903 cc, la potenza addirittura a 82 CV a 8.500 giri. La chiamarono "Testanera", quella prima serie, per via del motore verniciato nel più cupo dei colori. La produzione proseguì fino al 1977, quando venne introdotta la Z1000. Pur non raggiungendo i volumi di vendita della concorrente - negli anni Settanta furono le velocissime tricilindriche 2 tempi Mach III 500 e Mach IV 750 a solleticare le fantasie sportive degli affezionati al marchio Kawasaki - la Z1 è rimasta nell'immaginario collettivo come l'unica, vera rivale della CB750.
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