Presentazione
Motociclismo ha messo alla prova, confrontandole,
Ducati
Multistrada 1000S e la Triumph Tiger, due moto dalle
origini
storiche, nelle loro edizioni del 2006, mettendone in evidenza i cambiamenti
e le migliorie apportati dalle rispettive case costruttrici.
Triumph Tiger nasce nel 1993. Segni distintivi: granturismo con aspetto
da maxienduro stradalizzata. Caratteristiche: telaio mono… putrella
– pardon, monotrave – d’acciaio, ruota anteriore da
19”, abitabilità
perfetta anche in coppia e soprattutto quel formidabile tre cilindri divenuto
un riferimento per il piacere di guida. Per contro, un peso notevole e
un baricentro ad altezza imbarazzante. Sarebbe diventato un modello di
successo fino ai giorni nostri, affinato (telaio perimetrale in alluminio)
e potenziato (955 cc ad iniezione) nel tempo, sempre fedele al tre cilindri
ma bisognoso, in ultimo, di una salutare ringiovanita. Fortunatamente,
gli estetisti di Hinckley hanno operato con mano felice: la nuova
Tiger mantiene solo parte dell’antica imponenza e ha perso del
tutto l’aspetto della fuoristradista occasionale. 1.050 cc, ruote
da 17”, cupolino aggressivo, linee tese e spigolose, coda corta e
sfuggente,
forcella rovesciata, pinze freno radiali… altro che endurona, questa Tiger
al primo colpo d’occhio promette faville sull’asfalto. Della
“vecchia”
sono rimasti la posizione di guida rialzata e il riparo aerodinamico
efficace, per ricordarci che il viaggio deve stancare il meno possibile
e il traffico cittadino va affrontato pancia in dentro e petto in fuori,
con le braccia larghe ma non troppo per sfruttare la massima maneggevolezza
offerta.
Così, tra una considerazione e l’altra, viene spontaneo accostarla
ad un’altra versatile maxi rialzata della serie niente enduro e tanto
asfalto: la Ducati Multistrada, classe 2002, oggi nella sua recente
evoluzione di 1.100 cc. La sua estetica nel complesso non
è cambiata, ma la'azienda ha deciso di donarle alcuni dettagli di
notevole interesse: sella più imbottita, silent-block al manubrio,
cavalletto più stabile e nuovo indicatore di benzina. Ma il principale
cambiamento consiste della nuova cilindrata del motore, che
è passato da una cilindrata di un litro a 1100 cc.
Caratteristiche
In quanto a finiture e qualità costruttiva generale la Triumph sembra offrire
qualcosa in più rispetto alla Ducati per accoppiamenti, ponte di
comando
e cupolino. Entrambe le moto possono essere accessoriate in chiave turistica,
grazie a valigie laterali, borse da serbatoio e, solo la Tiger, con manopole
riscaldabili; l’inglese offre, tra altri numerosi
accessori, anche
il top case e il plexiglas più protettivo, la
Multistrada
può invece essere dotata di navigatore satellitare.
Per la strumentazione la scelta è simile: sia Tiger che Multistrada
adottano un grosso contagiri analogico affiancato da un display
a cristalli liquidi che funge da computer di bordo con informazioni quali
consumo medio, istantaneo (Tiger), autonomia, velocità media e massima,
chilometraggi totale e parziali, orologio, oltre che temperatura del liquido
di raffreddamento (temperatura dell’olio per la Ducati) e livello
carburante.
L’indicazione della velocità però nella Tiger è ricavata in una finestra
all’interno dello stesso contagiri. Nel serbatoio da 20 litri, realizzato
in unico stampo insieme alla sella, è stato introdotto uno specifico sensore
per il rilevamento diretto del livello riserva. Questo è associato al tripfuel,
un contachilometri che si attiva sul display al momento dell’accensione
della spia gialla: un miglioramento importante rispetto alla precedente
versione che procurava grandi incertezze sulla reale quantità di benzina
a disposizione nel serbatoio. Ergonomici i comandi elettrici al manubrio
così come le leve che sono regolabili su tutte e due le moto.
Un appunto va fatto agli specchi retrovisori. Ampi e ben posizionati
quelli della Tiger che però deformano molto l’immagine. Migliori in questo
senso quelli della Ducati che integrano gli indicatori di direzione:
necessiterebbero
però di una forma più regolare per aumentare il campo visivo. Sono
disponibili a richiesta degli specchi retrovisori della linea Ducati Performance
di forma più allungata e regolare con indicatori di direzione a LED.
Scendendo in qualche dettaglio tecnico sulla Multistrada si apprezza
il bel forcellone monobraccio; nella Tiger spiccano le
pinze dei dischi anteriori ad attacco radiale e il grosso terminale
di scarico molto ben inserito nella linea della fiancata: peccato che questo
imponga una valigia laterale di capacità ridotta, così come nei modelli
precedenti. Molto professionale la ciclistica della Multistrada
1100S che esibisce forcella da 43 mm e monoammortizzatore Ohlins
totalmente regolabili, quest’ultimo con il comodo comando idraulico a
distanza del precarico della molla. Il “mono” della Tiger è
regolabile
nel precarico della molla e nell’estensione idraulica; la forcella
è una Showa, sempre da 43 mm, completamente regolabile.
Come vanno
GUIDABILITA' In sella alla Tiger ci si sente subito a
proprio
agio mitigando l’immagine di “infossatura”
che si ha alla prima
occhiata della sella. Il piano di seduta è ad altezza vivibile (83,5 cm).
A richiesta si possono avere una sella ancor più morbida, una sella più
bassa e anche una più alta, all’insegna della massima adattabilità
alle diverse stature ed esigenze. Le pedane sono leggermente rialzate
ed arretrate e le ginocchia trovano comodamente gli incavi del serbatoio.
La Tiger non ha propriamente un vitino di vespa e la larghezza del serbatoio
e la sua gibbosità ci ricordano l’imponenza del motore sottostante.
Assetto
diverso per la Multistrada, in cui ci si sistema con il busto più
eretto quasi a caricare il manubrio come su una grossa supermotard;
ottimamente posizionate le pedane che però si rivelano abbastanza scivolose
per la mancanza di un supporto in gomma, obbligatorio su una moto di queste
caratteristiche. La sella è a 85 cm dal suolo: la maggiore altezza è compensata
dai fianchi più stretti che consentono di toccare terra con le gambe più
aderenti alla moto. Per tutte e due l’ampio angolo di sterzo (la
Multistrada
fu definita la prima Ducati che gira…) facilita manovre e marcia nel
traffico.
La maneggevolezza accomuna queste due sportive in assetto rialzato (o turistiche
ipervitaminizzate?) poiché la posizione in sella consente un pieno controllo
delle moto in ogni condizione. Anche se è la Multistrada a dare una più
immediata sensazione di agilità. E qui entrano in gioco i motori.
MOTORE Il rumore del tre cilindri è qualcosa di difficile da descrivere:
una tonalità roca, piena, esaltante al salire dei giri. Questo della
Tiger rimane uno dei motori più gustosi e appaganti nell’utilizzo:
togliere un po’ di potenza all’esuberanza della Speed Triple per
privilegiare
ancora di più la fluidità dell’erogazione è stata sicuramente una mossa
vincente. Ci si muove senza problemi in sesta marcia a 1.000 giri
e si riprende con vigore senza esitazioni fino al limitatore posto a quota
10.500, abbondantemente nella zona rossa del contagiri. Oltre i 4.000 giri
cominciano a comparire vibrazioni ad alta frequenza al manubrio, serbatoio
e sella, che crescono al crescere dei giri diventando un po’ fastidiose
sulle lunghe percorrenze. Non ci sono pause o spinte nella schiena: la
Tiger accelera come una grossa turbina e sembra dare il meglio a qualsiasi
regime con qualsiasi marcia innestata. Un motore del genere è di grande
aiuto nella guida disimpegnata e nella marcia cittadina, dove
l’uso del cambio può essere ridotto al minimo. Il desmodromico a doppia
accensione, cresciuto a 1.078 cc, ha subito modifiche importanti con il
preciso scopo di migliorare ancor di più l’erogazione e rientrare nella
normativa Euro 3. Il risultato è un motore che gira più rotondo, vibra
meno e consente di ridurre i costi di gestione del 50% grazie al nuovo
piano di manutenzione che raddoppia (da 6 a 12.000) il chilometraggio tra
gli interventi programmati. Il bicilindrico vibra visceralmente, ma mai
in modo fastidioso: il manubrio è ora montato su silent-block per aumentare
il comfort di marcia. La risposta all’acceleratore è esemplare per
prontezza e vigore: difficile tenere la ruota anteriore a terra
se si esagera appena un poco con il gas. Anche in questo caso la spinta
è piena da 2.000 giri fino al limitatore che taglia a 8.300 di strumento.
Questo immortale propulsore sembra un lontanissimo parente di quello che
equipaggiava la prima generazione dei Monster tanta è la sua disponibilità
a girare anche a bassi regimi senza scuotimenti.
PROVA Ed ora, via alle danze. Perché con queste moto, quando la
strada comincia a muoversi in un bel misto, di danza si tratta. La
Tiger ispira confidenza immediata, ma non dà pruriti ai polsi caldi.
Via via che si procede, si capisce di poter osare di più. Basta prendere
confi denza con l’anteriore che, dato l’assetto di guida, sembra un
po’
lontano dalle mani (tipo Yamaha TDM), ma è una sensazione di breve durata:
c’è una gran tenuta, un appoggio sicuro dei Michelin Pilot Road
di serie. Ottimo il lavoro delle sospensioni. La taratura di serie vuole
privilegiare il comfort: la forcella è scorrevole anche per piccole asperità
mentre il monoammortizzatore è un po’ meno sollecito nel fi ltrare
avvallamenti
ripetuti. Funziona ottimamente con il passeggero, che, se è di statura
medio-bassa, gode anche di una buona posizione delle gambe e un ottimo
appiglio alle maniglie laterali: l’unico difetto è che, per la posizione
della sella, tende a scivolare contro il pilota. Nella guida più decisa
si deve ricorrere ad un maggior freno idraulico all’anteriore per evitare
che la forcella affondi troppo repentinamente nelle staccate
“cattive”.
Qualche neo va segnalato a proposito del cambio, piuttosto duro nell’uso
sportivo e con escursione lunga del pedale: le Triumph ci hanno abituato
da sempre che è destinato ad ammorbidirsi con l’uso. La frizione svolge
senza particolari acuti il suo dovere. Per i freni abbiamo due valutazioni
distinte. Per quanto riguarda la quantità, niente da dire: c’è potenza
frenante in esubero, soprattutto al posteriore. Per quanto riguarda invece
la qualità della frenata, questa meriterebbe maggiore modulabilità: la
prima parte di corsa della leva non produce effetto decelerante; premendo
leggermente di più la potenza arriva quasi tutta insieme. Nella guida
disimpegnata,
più che in quella sportiva (dove si pinza forte), questa scarsa modulabilità
disturba un po’. La Multistrada invita fin da subito a fare
-passateci
il termine – gli “stupidi”: gomiti larghi, braccia caricate
sul manubrio,
sospensioni impeccabili, un cambio preciso e veloce negli innesti,
una frizione efficace ma che speravamo un po’ più morbida alla leva, ecco
che ci si prepara a “mordere” con l’anteriore la corda della
prima curva.
Ma non è proprio così. A dispetto di questa esuberanza e di questo assetto
da grossa motard, la Multistrada non è immediata come sembra. O
almeno, non lo è per una guida ritmica e fluida quanto la Tiger. Ci vuole
un po’ di strada per capirla in pieno e per pennellare a dovere curva
e controcurva. Capita di correggere spesso una traiettoria che si vorrebbe
più tonda e che invece la Ducati ti costringe a correggere di freno o di
gas. È bella quanto nervosa, il telaio perdona quasi tutto e il motore
c’è sempre per uscire a fionda dalle curve (0,4 kgm di coppia più della
Tiger ben 2.500 giri prima). Quando ce l’hai in mano son dolori per tutti.
Anche se è più impegnativa da portare al limite rispetto alla Tiger.
Per tutte e due un plauso alla stabilità ad alte andature: sia Triumph
che Ducati filano dritte come fusi senza risentire di eventuali sconnessioni
dell’asfalto. Buona anche la protezione aerodinamica con un vantaggio
alla Tiger. Due moto gustose, divertenti, maneggevoli, versatili e con
consumi contenuti. Camminando forte la Multistrada fa valere la superiorità
complessiva dei freni – perfetti per potenza e modulabilità – e
delle
sospensioni. Pensando però all’impiego casa-ufficio, alla vacanza in moto
e alla tirata domenicale con gli amici, la Tiger gioca carte migliori.
Senza dimenticare che nei trofei in pista organizzati dalla Triumph
quest’anno
ci sarà posto anche per lei.
Consigli di viaggio
Un fine settimana in tour Per la prova di Ducati Multistrada e Triumph
Tiger abbiamo fatto un giro nell’entroterra di Cannes.
Partendo
da Milano, ci sono 330 km di autostrada, poi si esce e si
continua
in direzione Grasse, molto bella e famosa per i profumi. Da lì
si
può voltare a destra per Vence e il tortuoso e molto divertente Col
du Vence, che crea un bel giro ad anello. Se non ci siete mai stati
è un’ottima soluzione per fare un po’ di moto nel week-end, anche
d’inverno.
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