Fatta l’ultima curva alle porte di Iglesias, con il cuore a mille, è stato istintivo nutrire un desiderio illusorio: “Da grande voglio abitare a Fluminimaggiore e scrivere per una rivista di Iglesias, così sarò costretto a rifarla due volte al giorno!”.
Questa è la SS126. Un rocambolesco nastro d’asfalto che si contorce fin da subito con curve paraboliche così ben raccordate da non far calare mai quel ritmo incalzante da strada rock. Anche l’asfalto è da favola. Se fosse una tesi in traiettorie la SS126 sarebbe da lode.
Paesaggisticamente è ombreggiata dalla Foresta demaniale di Gutturu Pala - Pubusinu e da quella del Marganai, estese in un altalenante saliscendi di quota che accentua ancor di più il gusto di guidare su questa strada. Poi è la volta del ponte che attraversa il Lago Corsi, immaginaria bandiera a scacchi che annuncia l’ingresso a Iglesias. Si tratta di un bacino artificiale con una superficie di circa 76 ettari, nato con la costruzione della diga (1959-1964) che sbarra il Rio Canonica a Punta Gennarta.
Volendo mitigare l’entusiasmo con una sosta culturale lungo il percorso, il suggerimento è un piccolo e scenografico tempio romano-cartaginese (palcoscenico d’eccezione di eventi musicali estivi), con annesso villaggio nuragico immerso nel verde di un’area selvaggia in perfetto stile sardo. Per trovare il tempio di Antas seguite le indicazioni subito dopo la miniera di Candiazzus, all’altezza del chilometro 56 dopo aver lasciato Fluminimaggiore. A due passi, anche la grotta di Su Mannau mette voglia di esplorare le ricchezze del sottosuolo. Generata da due corsi d’acqua sotterranei, il fiume Placido e il fiume Rapido, si snoda su più livelli per una lunghezza di circa 8 chilometri e un’altezza massima di 153 metri. Al suo interno sono stati rinvenuti resti di lucerne votive ad olio e si suppone fosse un tempio ipogeico, dove oltre 3.000 anni fa i sacerdoti praticavano antichi riti legati all’acqua sacra, creando così un collegamento storico con il tempio di Antas.
Giunti a Iglesias, seguendo alcuni consigli dati dai locali, ci siamo recati al Museo dell’Arte Mineraria. Al suo interno, l’Associazione Periti Minerari ha curato l’esposizione di attrezzature da laboratorio e ricreato l’ambientazione delle gallerie nel sottosuolo, che durante la visita ne raccontano la cultura antica e il duro lavoro di un popolo (visite su prenotazione nei giorni feriali). Prima di lasciare la SS125, subito fuori città, anche le miniere di San Giovanni e di Monteponi rendono giustizia alla dura vita di chi vi ha sputato sangue.
Tocca adesso alla SP83 accettare la sfida e rilanciare da Fontanamare con una litoranea vista Mediterraneo, arricchita dalla Laveria Lamarmora (Miniera di Nebida). Visitarla è la sosta per chi ha voglia di farsi 300 gradini in discesa (e poi in salita!) fino alle strutture abbandonate del vecchio impianto di sgrezzatura delle pietre. Archeologia industriale a picco sul mare non si trova tutti i giorni ma siete avvisati, la pagherete col sudore.
Da qui le traiettorie si spostano verso l’entroterra, prima di assecondarle scendiamo in spiaggia a Masua per ammirare il faraglione Pan di Zucchero in tutta la sua bellezza. La frazione omonima è una località mineraria dove ancora oggi si può ammirare un altro esempio di archeologia industriale, Porto Flavia: una stazione d’imbarco progettata nel 1924 dall’ingegnere veneziano Cesare Vecelli e dedicata alla figlia primogenita.
Tra una sosta e l’altra la strada continua a disegnare linee sinuose che si affacciano intermittenti vista mare. Buggerru è l’ultima realtà per cui vogliamo spendere due parole prima di chiudere l’anello. Qui ci siamo divertiti a visitare la Galleria Henry, altro scenario documentario della “non” vita dei minatori, che alterna un percorso in trenino a una piacevolissima passeggiata.