Dopo aver compiuto i primi giri per scaldare le gomme come iniziamo ad
aumentare il ritmo
arriva subito la prima sorpresa: nonostante
l’interasse
contenutissimo (1.320 mm), e un’inclinazione di sterzo da record (21°),
la moto non è per niente nervosa. E’ cortissima, quello sì, ma
non
ha un avantreno leggero che fa le bizze. Anzi, corre precisa, fluida nella
traiettoria impostata, va giù molto bene ma non scappa mai fra le mani.
I 175 kg dichiarati sembrano ottimisti quando occorre rialzarla per inclinarla
dalla parte opposta dentro un cambio di direzione.
In sostanza, l
a moto è bella neutra, ferma, è svelta nella prima piega
e piace molto da inserire, ma non si ha mai quella sensazione di
precarietà
di avantreno che quote così estreme farebbero supporre.
Anche nel veloce, piegoni da quarta /quinta, la percorrenza di questa Buell
è buona, rassicurante: chi l’avrebbe mai detto guardando la
Firebolt
ferma sul cavalletto? Ma del resto è anche vero che i cavalli non sono
poi molti (i 92 dichiarati dalla Casa sembrano un po’ ottimisti) e che
soprattutto sono molto “diluiti”. Ed è proprio questo il punto: i
motori
Harley sono di indole tranquilla, erogano la potenza in modo dolce e hanno
tanta massa volcanica. In più la distribuzione ad aste e bilancieri rende
godibilissimo il battito di pistone in basso ma, non può di certo far girare
il Twin in alto come soluzioni più convenzionali (catena). Se poi a questo
aggiungiamo che la Firebolt è assistita da un’iniezione che funziona
splendidamente,
che rende la curva d’erogazione lineare e infinitamente pastosa
si
può capire come al propulsore manchi quella cattiveria che l’uso in pista
chiede.
Tanta ciclistica invoglia a scatenarne il potenziale, a gettarsi tra
i cordoli, ma il bicilindrico della Firebolt sale lento e sornione fino
a 7.000 giri per poi finire in prossimità dei 7.500 giri (potenza massima
a 7.200). Proprio quando una sportiva vera si prepara a dare il meglio.
Ma con questo
non vogliamo neanche massacrare la Firebolt, perché non
possiamo di certo negare che fra i cordoli di Valencia ci siamo divertiti
come pazzi con lei, ma è innegabile che
oggi come oggi una sportiva,
giapponese e non, ha tutto un altro potenziale da offrire in pista.
In più il cambio Harley rimane abbastanza lento negli innesti e ha un escursione
lunga e piuttosto ruvida. Questo però per quanto riguarda l’uso in pista,
perché su strada le cose assumono tutt’altro aspetto...
Su strada, terreno ideale per la Firebolt
Su strada infatti il discorso cambia: la Firebolt riesce a farsi amare
molto di più. Ci si trova subito a proprio agio, le sue dimensioni contenute
non imbarazzano, ma anche i più alti ci stanno bene grazie agli incavi
per le ginocchia abbondanti: è una sportiva per tutti.
A livello di posizione di guida avremmo solo preferito manubri meno bassi,
per stare più comodi e meno caricati sui polsi, e forse un filo di protezione
maggiore perché così è quasi nulla. Come da tradizione il raggio di sterzata
e piuttosto limitato, ma la moto è così piccola che fare inversione non
è mai un problema.
Una volta in movimento la Firebolt corre fluida,
sincera, agile e per nulla nervosa o ballerina. Guidarla è per molti
versi una vera gioia: in quelle situazioni dove la traiettoria bisogna
inventarla con grande improvvisazione e non costruirsela a memoria giro
dopo giro inseguendo un cronometro lei asseconda i comandi alla perfezione
senza mai mettere in difficoltà il pilota.
Su strada poi il motore si prende la sua meritata rivincita, tanto da diventare
uno degli aspetti più piacevoli della guida: così forte e gentile allo
stesso tempo, permette di scendere fino a 1.600/1.700 giri senza sentire
un sobbalzo, o di passeggiare a 2.000/2.500 giri con la moto che scorre
liscia come l’olio, grazie a una fluidità sconosciuta alle Buell del
passato
(ora non vibra neanche più), e grazie alla cinghia che, oltre a essere
silenziosa, elimina il benché minimo gioco di trasmissione. Così
sembra
di poter gestire i CV uno ad uno, in pochi mm di corsa del gas (morbidissimo),
assaporando una piacevolissima sensazione di spinta. Su strada è inutile
avere un’esplosione di potenza a disposizione, anzi, quasi sempre mette
in imbarazzo e quasi sempre non c’è modo di scoprirla perché una statale
non è una pista.
Ecco allora che
la Firebolt diventa uno strumento di “goduria”
totale,
su cui si percepisce proprio il piacere di guida, fatto di potenza giusta,
di trazione, di pulsazioni che si vanno a cercare perché non sono vibrazioni
ma battiti di un cuore che palpita. Il cambio, che in pista non meritava
la sufficienza, come d’incanto non sembra più neanche poi male, la
frizione
neanche poi tanto dura. Insomma, l’habitat fa davvero la differenza e
su strada la Firebolt tira fuori le sue carte migliori.
E’ un mondo
a parte, non la si può paragonare con questa o quell’altra sportiva, è
un modo diverso d’intendere la guida sportiva, una cosa a se. Che
a noi è piaciuto parecchio, perché è un modo garbato, eccitante ma gentile,
dove il pilota ha ancora la sensazione di dominare la moto e non quella
di esserne dominato. Una moto gustosa.
Una sportiva come non c’è ne era, una sportiva che mancava.