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Sterrare è Umano, fotografare è ancora peggio / puntata Due

Il racconto della seconda tappa dell'evento più bello dell'Abruzzo: meno fango, più pietre, panorami spaziali

La seconda tappa è quella con le viste migliori sul Gran Sasso.

La seconda tappa si rivela molto diversa dalla prima (leggi qui se te la sei persa), perché è più lunga di 100 km, quindi è più scorrevole. Inoltre non resta sul versante orientale degli Appennini, ma li attraversa, finendo oltre il Gran Sasso: lì c'è meno fango, i terreni sono più asciutti e caratterizzati dai sassi smossi. Cambia proprio lo stile di guida: è meno "Gilles Lalay Classic" e più rallistico.

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A proposito di rally, l'inizio è persino dakariano, visto che ci fanno percorrere la spiaggia di Montesilvano per 2,5 km. Quella delle moto in spiaggia è sempre una situazione delicata da gestire, ma qui hanno fatto le cose per bene: siamo fuori stagione, è mattina prestissimo, ci sono vigili e tante persone dello staff a presidiare il tracciato.

Dopo la spiaggia si risale il corso del fiume Saline per lo più su asfalto, quindi si sale in collina e si dovrebbe affrontare un tratto "Expert" segnalato con il waypoint "Discesa con canali". Ma è stato chiuso per eccesso di fango. Si avanza, così, in uno stato di torpore, su stradine di campagna con viste impressionanti sulla Majella, che sembra un'enorme torta glassata. Il tracciato prevede un tratto collinare di 54 km che risale la valle del fiume Pescara: è un'importante via di comunicazione tra la costa e i gruppi di Gran Sasso e Majella, tanto che ci passa l'autostrada che collega Pescara a Roma passando per la Piana del Fucino. La prima emozione arriva al km 36, quando scopriamo che lo sterrato è stato interrotto da un tubo lungo centinaia di metri ed alto uno. Ci sono Berera e la Fumagalli fermi, che stanno telefonando all'organizzatore, mentre altri vanno su e giù, alla ricerca di un varco. Diversi tornano indietro.

Questi hanno cercato un varco e stanno tornando indietro. Là in fondo, maestosa, la Majella glassata.

Dopo avere scattato la foto, scopro un varco ad appena 180 m di distanza, per cui non capisco come mai la gente stia tornando indietro. Quindi si prosegue fino al km 44, verso il guado più strano dello Sterrare è Umano Trophy. Si tratta di un piccolo affluente del Pescara, all'altezza di Manoppello Scalo. Di solito, le strade arrivano ai fiumi tagliandoli a 90°, giusto? Qua invece la sterrata lo costeggia, poi fa un tornante, ti fa percorrere il fiume per lungo e poi ti fa uscire con una curva a 90° sulla destra. L'acqua è alta e il fondo è un misto di fango e di cocomeri di metallo viscido. Con mio sommo stupore, non vedo una sola persona farlo in piedi sulle pedane, ma zampettano tutti, in stile Mario Ciaccia.

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L'andamento è a zigzag, come tipico quando guidi sui cocomeri.

Usciti dal fiume ci dividiamo tra quelli che si levano gli stivali per svuotarli dall'acqua e quelli che dicono "Va be', dai" e tirano dritto. Io appartengo a questi ultimi. La cosa più carina sarà l'odore di fogna che uscirà dagli stivali una volta finita la tappa.

Proseguiamo la nostra risalita della valle del Pescara su sterrate facili, finché al km 59 non trovo un punto panoramico, alto sopra Torre de' Passeri (PE). Vedo una roccia perfetta per tramutarmi in drone umano (ovvero: se non hai un drone, arrampicati su una roccia) e mi piazzo per fare una foto, ma non passa nessuno. Ѐ il grosso problema di quando non posso portarmi uno "schiavo" da casa: Marco Pace è a casa a riposare la schiena e io devo cavarmela da solo. Fin qua ce l'ho fatta, ma adesso non passa proprio nessuno, per via di un motivo piuttosto consistente: sono fuori traccia. Dovevo girare a sinistra 200 m prima ma, preso dal paesaggio, non me ne sono accorto. Quindi penso le seguenti cose: a) sono già ultimissimo; b) una moto è esplosa e tutti sono fermi a tirare giù il pilota da un albero di sicomoro; c) un modello di Armani s'è spogliato in mezzo alla strada, incantando le numerose partecipanti; d) hanno annullato la tappa perché è in arrivo un grosso meteorite. Di essere fuori traccia no, non mi viene assolutamente in mente.

Finalmente passano Berera e la Fumagalli, che in questa foto sono diventate due. Hanno sbagliato anche loro e, quando li vedrò tornare indietro, capirò di essere fuori traccia.

Ecco cosa si vede: in fondo valle Torre De' Passeri; a sinistra la Majella (2.793 m); a destra il Morrone (2.061 m, dentro una cui grotta vinse per cinque anni l'eremita Pietro). Tra le due montagne c'è il Passo San Leonardo (1.282 m) che fa parte di una traversata asfaltata di 400 km che collega i Parchi Nazionali della Majella, del Gran Sasso, della Laga e dei Sibillini e che considero la strada più spettacolare degli Appennini, a livello di Rue des Grandes Alpes in Francia e di Grande Strada delle Dolomiti: la chiamo Strada dei Parchi, anche se non è la sua denominazione ufficiale.

Dopo Torre De' Passeri inizia uno sterrato bellissimo, in mezzo agli ulivi, con viste sul Monte Morrone.

Al km 68 passiamo sotto le rovine di Pescosansonesco Vecchio (quello con le case scure, a destra) che, come si vede, stava in groppa a una collina piuttosto impervia.

Si trova lassù perché si tratta del borgo sviluppatosi intorno a un castello. Un terremoto, nel 1934, ha fatto crollare una parte del paese, che è stato così abbandonato. Ogni volta che passo di qui non riesco a non pensare alla tristissima vita di tale Nunzio Sulprizio che, visto come veniva trattato, avrebbe dovuto chiamarsi direttamente Supplizio. Nacque nel 1817 in una famiglia povera, diventò quasi subito orfano e venne adottato da uno zio manesco che, già a nove anni, lo mise a lavorare nella sua bottega di fabbro, picchiandolo e sottoponendolo a una vita di fatiche, privazioni e umiliazioni. Sul lavoro si ferì a una caviglia, che si infettò e gli venne la carie ossea. Andava a lavare le piaghe alla fonte del paese, Riparossa, ma gli abitanti lo scacciavano, temendo che la infettasse. Un altro zio, scoperta la situazione, lo portò a vivere nel Maschio Angioino di Napoli, dove visse come un eremita, in una stanza spoglia, insegnando catechismo e, pare, facendo miracoli. Ma l'infezione era incurabile e lui morì a soli 19 anni. Nel 1890 è stata eretta una chiesa in suo ricordo proprio dove si trova la fonte di Riparossa. Nel 1964 Nunzio è stato nominato santo e protettore dei giovani e degli operai; infine, nel 1990 è terminata la costruzione di un santuario a lui dedicato, sempre a Riparossa.

La prima montagna

Dopo Pescosansonesco (come diavolo si chiamano i suoi abitanti?) si sale per la prima volta in alto, scavalcando il Monte Pietra Corniale (1.155 m) che fa parte delle estreme propaggini meridionali del Gran Sasso. Arrivo al punto di valico, a quota 980 m e mi fermo per scattare la solita foto, ma neanche adesso arriva qualcuno. Aspetto un sacco, niente. Siamo al km 74, non ci sono stati punti difficili (guado a parte) e siamo già dispersi? O sono già così in fondo? Ah, amato schiavo, quanto mi manchi. Controllo il GPS: sono in traccia. Sarà successa una delle cose che ipotizzavo prima? Finalmente arriva un partecipante: si ferma, è preoccupato, dice che sono chilometri che non vede nessuno e ha paura di essere fuori traccia. Lo tranquillizzo: siamo in traccia, magari però sono soltanto morti tutti.

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Poi arrivano altri due. Da qua si vedono di nuovo la Majella e il Morrone insieme.

Scendiamo in fondovalle e risaliamo il corso del Tirino, un fiume lungo appena 16 km che dicono sia il più pulito d'Europa: è molto adatto a gite in canoa di quelle facili, senza rapide per intenderci. Passiamo dalla provincia di Pescara a quella di L'Aquila, giriamo intorno alla sorgente del Tirino (il lago di Capodacqua) e raggiungiamo il borgo medioevale di Capestrano.

Il primo altopiano

Una delle caratteristiche paesaggistiche che adoro degli Appennini sono gli altopiani. Possono essere di due tipi: o montagne che in cima sono piatte oppure ciotole, spesso di origini carsiche, i cui bordi sono monti che le chiudono da tutte le parti. I più famosi sono Campo Imperatore (AQ) sul Gran Sasso e il Pian Grande di Castelluccio di Norcia (PG) sui Sibillini. Altri abbastanza noti sono quello del Rascino (RI) per via del suo lago "tentacolare", i due attigui di Cascina/Prati di Cinno (AQ, dove si trovano percorsi fuoristrada bellissimi) e il Femmina Morta a oltre 2.400 m di quota, sulla Majella. Quello di Montelago (MC) è famoso per ospitare, ogni mese di agosto, un raduno celtico da oltre 20.000 persone. Le Alpi ne hanno molti di meno, mentre sugli Appennini ce ne sono a miliardi. Un po' mi piace scoprirli da me, un po' partecipare a questi eventi in Centro Italia dove ne salta sempre fuori qualcuno di cui ignoravo l'esistenza. E in questa tappa ne scoprirò ben tre!

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Il primo altopiano è la vetta piatta di un monte alto 920 m di cui non sono riuscito a sapere il nome. Si trova tra Capestrano e Collepietro, esattamente al centesimo km di tappa. Le pietre in primo piano sono quelle di un rifugio di pastori collassato.

Scesi da Collepietro attraversiamo l'altopiano di Navelli e affrontiamo un percorso che scorrazza in lungo e in largo per un piccolo gruppo montuoso, quello dell'Offerno (1.303 m), dal quale scenderemo poi nella Valle dell'Aterno. Dopo San Benedetto in Perillis, verso il km 109 c'è una sterrata molto piacevole con una pozza piena di Nutella liquefatta. Mi piazzo col tele per fare una foto abbastanza panoramica, ma con moto dentro la Nutella quando mi ti arrivano due partecipanti che, per far rispettare la dieta alle gomme, aggirano la pozza passando al di là di un albero. Sono indignato. "Ma come! Ieri abbiamo passato la giornata nelle fangaie e adesso mi schifate una piccola pozza? E io cosa ho tirato fuori il teleobiettivo a fare?". "Ah, ma tu sei Mario Ciaccia - risponde uno dei due, Yari Giorgi- allora torno indietro e ti faccio uno spruzzo" .

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Grazie, Yari!

Il secondo altopiano

Anche il secondo dei tre altopiani a me sconosciuti non ha un nome o, almeno, non sono riuscito a scoprirlo. Si trova al km 118, tra la Chiesa Montana di Sant'Eugenia e il lago di Turri. Le chiese di montagna abruzzesi hanno un fascino enorme, perché erano luoghi di dimora di eremiti che vivevano isolati, in zone remote. Un misto tra chiese, celle monastiche e stalle ed erano oggetto di visite da parte dei fedeli del luogo. Purtroppo ho scoperto l'esistenza di questa chiesa solo dopo esserci passato (dalle immagini che ho trovato in rete è un rudere e non ha più il tetto), quindi non ho scattato foto che la raccontino, ma posso mostrare due esempi di edifici di questo genere, anch'essi inizianti con Eu.

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Qui siamo sull'altopiano di Filetto (AQ) e quello è il tempietto di Sant'Eusanio, risalente al XVI Secolo. Fino al 1994 era sfruttata come stalla, poi è stata restaurata.

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Torno allo Sterrare è Umano Trophy. La sterrata che sale alla chiesa di Sant'Eugenia è il tipico tappetone di sassi smossi che miete vittime: chi si pianta, chi zampetta, chi va spinto, chi casca e chi sale bello come un cavaliere, senza problemi.

Il percorso adesso è davvero intrigante. Siamo sempre sull'Offerno. C'è pochissimo asfalto, troviamo sterrati molto lunghi e scorrevoli che salgono e scendono da colline erbose, senza paesi. Mi ricorda il Carpat Rally in Romania, cui partecipai 20 anni fa. Al km 139 attraversiamo una prateria erbosa dove ci starebbero bene dei cow boy al galoppo, magari pistolettandosi tra loro. Vedo arrivare, da una strada perpendicolare alla mia, una coppia in sella a una Honda CL500: sono Vettor e compagna. Loro fanno la traccia Soft, che taglia a 90° la Medium. Mi fermo per scattare foto, ma non arriva nessuno. Passa un sacco di tempo e, finalmente, chi ti arriva?

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Beh, che lo dico a fare? Ѐ Marco Manzoni, no? Credevo che fosse in fuga, ma l'ho detto, abbiamo la stessa velocità media e le soste fotografiche sfasate. Visto che ho parlato di cow-boy e visto che lui ha una splendida giacca Dainese che sembra di pelle, non ci starebbero bene delle frange attaccate alle maniche in questa foto?

Al km 140, scollinando, mi si parano davanti dei ruderi che hanno un'aspetto più raffinato rispetto al solito capanno di pastori collassato. Sono i resti di una città del 50 a.C. dei Vestini, che era un popolo abruzzese sottomesso ai Romani. Si chiama Peltuinum e la sua rovina è arrivata nel 443 d.C. sotto forma di un terremoto. Ѐ bellissima! E io sono un ignorante, perché non ne sapevo niente, eppure è un posto suggestivo, con ancora tanti resti - teatro, case, cisterne - ovviamente piazzato su un altopiano, che lo dico a fare?

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Peltuinum: a giudicare dalla posa di quel Tenerista, ho il dubbio che si sia reso conto che lo sto fotografando.

Al km 156, quindi manco a metà, arriviamo all'Agriturismo La Villa, di Villa Sant'Angelo (AQ), nella valle del fiume Aterno. Qui ci aspetta il pranzo ufficiale, compreso nel prezzo di iscrizione (550 euro per le tre tappe). Molti si scandalizzano per i prezzi di queste manifestazioni (cui aggiungere alberghi, benzina, viaggio per arrivarci) ma per farle bene devi avere tutti i permessi di transito (che costano) e pagare le persone dello staff (che sono tante e fanno un lavoro indispensabile). Anche gli scouting del percorso, che durano tutto l'anno, costano parecchio, tra benzina e alberghi.

Quando fai fuoristrada in moto ti viene fame e il pranzo prevede una bella pastasciutta, ma l'antipasto non scherza: in particolare io vado ghiotto per la bruschetta con i fegatini che si vede a destra.

Dopo pranzo bisogna scegliere. Al briefing, Simone ha spiegato che il percorso Expert sale direttamente all'Altopiano delle Rocche affrontando una mulattiera sassosa a tornanti. "Ma se prendete gli altri due - raccontava - farete un percorso panoramico che passa per dei paesi molto belli". Uno di questi è Fossa, noto per essere il "luogo delle Beatitudini", sia perché è il luogo di nascita del Beato Bernardino e di San Cesidio, sia perché in zona si trovano eremi e monasteri ad alto tasso di spiritualità. Così decido di andare a Fossa.

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Ma a Fossa non ci si può arrivare: è blindata dal terremoto del 2009, che ha provocato gravi danni e cinque morti.

L'altopiano delle Rocche si trova a 1.300 m di quota e si chiama così perché ai suoi estremi si trovano i paesi di Rocca di Mezzo e Rocca di Cambio.

Il monte che si vede in foto è il Rotondo (2.061 m) e lassù c'è una stazione sciistica con 13 impianti. Io non so cosa fare: deviando di 10 km, tra andata e ritorno, potrei farmi il selfie col cartello d'ingresso del paese di Colle Ciaccio, ma siamo appena al km 181, ne mancano ancora 151 e sono già le tre del pomeriggio. Tiro dritto ma, per tutta la vita, verrò lacerato dai rimorsi per non essermi scattato un selfie di così fondamentale importanza.

Paesi fin troppo fantasma

Durante il pranzo, Simone Romano mi mette in guardia: "Dopo Terranera inizia uno sterrato di 12 km che porta a Tione degli Abruzzi. Incontrerai una serie di paesi fantasma, cioè abbandonati, tutti chiamati Pagliare e qualcosa. Fermati a fotografarli, perché sono notevoli. Specie le loro fontane". Parto, faccio tutti e 12 i km, arrivo a Tione ma non vedo neanche una casa... La sterrata scorre dentro un bosco per tutto il tempo, con salite e discese poco ripide e tante curve. C'è un numero incredibile di una Transalp che perde aderenza e la recupera miracolosamente, ma io sono dietro, per non tamponarla inchiodo alla morte sulla ghiaia e l'ABS della BMW fa un lavoro egregio. Se lo avessi disattivato, probabilmente avrei centrato la Honda o mi sarei sdraiato.

In serata, guardando la mappa, capisco: i paesi erano tutti discosti dalla strada. Avrei dovuto prendere delle deviazioni per arrivarci. Peccato, mi piacciono i paesi fantasma. Si chiamano tutti Pagliare, in effetti, seguiti da: di Fagnano, di Fontecchio e di Tione.

Siamo comunque al giro di boa: riattraversiamo il fiume Aterno e puntiamo verso la costa adriatica, arrampicandoci di nuovo sul Monte Offerno. C'è un waypoint curioso, "VEGETAZIONE ALTA", che è stato messo per sbaglio oltre il paese di Succiano (AQ). Al briefing, Simone aveva spiegato che si tratta di una zona con cespugli molto alti, all'interno dei quali c'è un sentiero. In realtà questa cosa si trova prima, tra Santa Maria del Ponte e Succiano, al km 200.

Spettacolo: è un canalone in mezzo ai cespugli. Mi apposto per sparare al primo che passa e chi è? Ma Marco Manzoni!

Il terzo altopiano

Ѐ il più bello: si trova al km 207 ed è una spianata sotto la vetta dell'Offerno, a 1.160 m di altezza. Arrivo e mi trovo nella tipica situazione in cui un posto mi piace un sacco, così vorrei fotografarlo, ma non so da dove cominciare e mi viene l'ansia da bambino con le scatole del Lego davanti. Si tratta di una cresta piatta con al centro la solita chiesa da eremita che inizia con la E (Sant'Erasmo Vescovo). A destra c'è il monte Sirente, a sinistra il Gran Sasso, entrambi sono innevati. Qua, tutti mi fotografano.

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Il Mostruoso Corradini mi immortala con il Corno Grande sullo sfondo: la massima elevazione degli Appennini (2.914 m). Io sono esaltato da come va la BMW F 900 GS, mi sto divertendo un sacco, la trovo fantastica ma Alessio mi stronca con un "Sei molto impacciato con questa moto, non la guidi bene come la Ténéré". 

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Oltre ai panorami è bella anche la strada che attraversa questo altopiano.

Passata Civitaretenga (AQ) tocca di nuovo al gruppo montuoso che avevamo attraversato dopo Capestrano, ovvero dove c'era il primo degli altopiani per me nuovi.

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C'è questo passo roccioso, spettacolare, a 740 m di altezza, al km 222. Faccio copia e incolla di quello che ho scritto già diverse volte: aspetto il primo che passa e arriva Marco Manzoni.

Capestrano. Sono le 17 e mancano poco più di 100 km all'arrivo: bisogna fare delle scelte. Faccio tutto il percorso e salto il briefing e magari pure la cena? Taglio pezzi (Simone, sapendo che questa tappa era interminabile, ha inserito una traccia di rientro veloce su asfalto)? Provo a fare tutto il percorso senza scattare foto, visto che ormai le Grandi Montagne sono finite? Tento quest'ultima ipotesi e segue una corsa senza sosta per 50 km, durante i quali sono sempre vicino a Marco Manzoni. Neanche lui scatta foto, ma capita spesso che quando uno dei due è davanti sbagli strada e l'altro prenda quella giusta. Non ci aspettiamo, perché questo gioco della stessa velocità media casuale ci sta divertendo.

A Brecciarola, al km 276, questa strada bianca mi piace troppo, non resisto e la fotografo.

Adesso siamo in provincia di Chieti. Da Brecciarola in poi il percorso non è niente di che come paesaggio, ma è esaltante come guida. Sentierini che salgono e scendono colline, talvolta con pendenze bestiali. Faccio un lunghissimo tratto davanti a Marco, sempre facendo questo gioco, ma poi lui lo rovina perché io sbaglio strada, finisco in fondo a una discesa fangosa e lui mi aspetta. Torno indietro e lo vedo fermo in mia attesa. "Noooo, hai rovinato tutto, perché mi hai aspettato?". "Eri fuori traccia, se ti fosse capitato qualcosa là in fondo sarei stato l'unico a poterti aiutare". Caspita, non ci avevo pensato. Marco è un vero amico, un vero endurista. Altro che i due stronzi che ci hanno ricoperto di sassi il giorno prima, ad Acquaratola... Dopo questo tirone ormai siamo certi che riusciremo a finire la tappa senza tagliare pezzi e in tempo per il briefing. Adesso che il gioco della "stessa velocità media casuale" è finito, abbiamo reazioni diverse: io penso che potremmo rilassarci e farci gli ultimi km davvero insieme, come due amici, mentre lui apre il gas e se ne va in fuga, "perché volevo batterti".

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Lo perdo definitivamente quando mi fermo a fare le foto ai calanchi che si trovano dalle parti di Tomassoni (CH).

Finisce che concludo la tappa in 12 ore, esattamente come il giorno prima, ma con 100 km in più. Manca ancora la terza.

Simone spiega la terza tappa, che sarà la più corta. Questa sera è contento: pare che nessuno sia finito in ospedale.

Chiudo con la gallery delle montagne della seconda tappa.

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La Majella vista da Castellana (PE). Da sinistra: monti Acquaviva (2.737 m), Rotondo (2.658 m) e Amaro (2.793 m), seconda vetta appenninica.

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