Per approfondire l'argomento abbiamo intervistato il dott. Michele Zasa, Responsabile della Clinica Mobile.
Dott. Zasa, si tratta di una patologia recente oppure anche i piloti del passato soffrivano di arm pump?
“A mio parere il problema c’è sempre stato, solo non veniva reso noto. Pur lavorando da molti anni con la Clinica Mobile non c’ero 40 anni fa, ma penso che anche Freddie Spencer soffrisse di un problema agli avambracci che all’epoca non era stato specificato e che credo fosse molto simile a quello osservato oggi. Alcuni dicono sia dovuto alla crescente necessità di usare il fisico per gestire le potenze delle moto, ma sarebbe un discorso da fare solo per la MotoGP. Moto2 e Moto3 sono più abbordabili eppure i piloti si presentano da noi con lo stesso problema”.
Se la componente “moto” non è del tutto indicativa, su cosa occorre puntare la lente di ingrandimento?
“Su moltissimi aspetti. Noi della Clinica Mobile abbiamo svolto e pubblicato studi specifici sull’argomento, scoprendo che si tratta di un problema multifattoriale. C’è la pista: i tracciati stop-and-go mettono a dura prova le braccia. C’è la componente relativa alla temperatura: con il freddo i piloti soffrono maggiormente a causa di una rigidità muscolare più alta. Ci sono le vibrazioni: maggiori sono, più il problema si presenta. C’è la componente ergonomica: un corretto posizionamento, anche delle leve, riduce l’arm pump. C’è l’abbigliamento: una tuta troppo stretta sugli avambracci riduce la possibilità del muscolo di espandersi in modo naturale e aumenta il rischio. Riguardo alla moto c’è da dire sicuramente che i crossisti sono i più colpiti da questa patologia, è uno dei motivi per cui è sconsigliato ai piloti del Motomondiale l’allenamento nei crossodromi. E poi c’è la componente soggettiva”.
Quali sono i fattori di rischio soggettivi? Prendiamo ad esempio Valentino Rossi: ha corso per ventisei anni e non ne ha mai sofferto. Come mai?
“Non abbiamo mai fatto uno studio genetico e dunque non è possibile dire con certezza se ci siano o meno delle caratteristiche oggettive che rappresentano un fattore protettivo. Nella nostra esperienza possiamo però dire che lo stile di guida rappresenta senza dubbio una differenza importante. Alcuni piloti guidano facendo molto sforzo sulle braccia: mi vengono in mente un paio di piloti come Pedrosa, che a causa del fisico minuto era costretto a fare molta fatica con le braccia; oppure Crutchlow, che sfruttava molto la fisicità. Valentino Rossi guidava molto più con il corpo, spostando il bacino; e faceva altri movimenti e sovraccaricava meno. Rossi è stato anche un pilota intelligente ed esperto: metodico, cercava di evitare il bisturi correndo ai ripari non appena aveva sentori di affaticamento. Ciò non toglie che in alcune gare richiedeva l’intervento del fisioterapista per alleviare l’indurimento muscolare a carico degli avambracci. Nella questione soggettiva c’è anche da tener conto della forma fisica. Rossi è longilineo ad esempio, mentre uno come Crutchlow che ha una massa muscolare più sviluppata, aveva un rischio maggiore dal punto di vista dell’ipertrofia”.
La sindrome compartimentale si manifesta senza alcun segnale? Ricordiamo che durante il GP di Spagna del 2021, Quartararo sembrava esser stato colpito all’improvviso dal dolore.
“Con Quartararo è stata davvero una sorpresa. Non aveva alcun problema nei giorni prima della gara. Di solito ci sono avvisaglie, ma non sempre è così. Ricordo qualche anno fa, ad Austin, quando il week end era filato liscio fino al warmup; quella domenica tanti piloti di tutte le classi si sono presentati con indurimento degli avambracci. Diciamo che si tratta di un problema più frequente in gara che in altri momenti del weekend, proprio perché durante prove e qualifiche il ritmo non è forsennato per così tanti giri consecutivi. In più c’è tensione emotiva, cosa che spesso irrigidisce il corpo anche se non se ne è ha coscienza”.
I piloti sembrano voler correre sotto ai ferri per risolvere il problema velocemente. Esistono altre soluzioni? Come procedete nell’interesse della salute del pilota?
“Ci sono tante cose da fare prima di un’operazione chirurgica. La prima è fare una diagnosi corretta. Nella zona di avambraccio e polsi sono tanti i problemi che possono infastidire i piloti. Dunque cerchiamo sempre di capire se si tratta di arm pump piuttosto che di una patologia legata al tunnel carpale o un’epicondilite. Ora tutti vogliono andare in sala operatoria, ma noi consigliamo l’intervento solo dopo aver provato a risolvere senza. Certamente è possibile sfruttare la fisioterapia per fare un lavoro mirato. La nostra politica va più nella direzione di una soluzione conservativa. Poi ci sono casi dove non si può fa altro che operare e allora non si hanno molte scelte, ma va specificato che un intervento non cancella il rischio che il problema si riproponga in futuro. Lecuona (ora pilota della Superbike, n.d.r.) ad esempio è un pilota giovane, ma ha già subito tre interventi. Analogamente Quartararo ha subito due interventi”.
Dopo un intervento chirurgico, quali sono i tempi di recupero? È corretto tornare in sella in una settimana?
“La Clinica Mobile, per antonomasia, rimette in sella i piloti nei tempi più rapidi possibili. A tutto, però, c’è un limite. I tempi fisiologici vanno rispettati per far si che la guarigione termini al meglio. Idealmente per un’operazione al braccio come quella richiesta con l’arm pump servono tre settimane di recupero. Questo accade in un mondo ideale. Ma il Motomondiale ha tempi diversi e malgrado sia sconsigliato da noi, i piloti scelgono di tornare in sella praticamente subito. Al di là del dolore, il tornare in sella troppo in fretta può produrre un effetto sulla ferita chirurgica. Le sollecitazioni potrebbero creare una fibrosi, con il rischio di risolvere un problema e crearne uno peggiore”.
Quali consigli date ai piloti?
“Oramai i piloti sono sempre più professionisti anche dal punto di vista atletico. Si allenano molto e pongono attenzione a ogni aspetto relativo alla forma fisica. Spesso non occorre indirizzarli, ma quel che consiglio sempre è di evitare l’allenamento delle braccia. Non occorre fare pesi o ingrossare i muscoli, bensì rendere le braccia elastiche e pronte. In più, lavoriamo con ognuno dei piloti in griglia: grazie alla fisioterapia diamo sollievo alle braccia dopo che hanno lavorato con un massaggio di scarico. Teniamo molto alla questione e ne parliamo anche ai più giovani, per sensibilizzarli”.