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Ducati Pantah 500

In principio era il desmo.

La nascita


Chi oggi guida una Ducati, molto deve a questa bella sportiva di nome Pantah.
I moderni bicilindrici a “elle” della Casa di Borgo Panigale, con comando della distribuzione a cinghie, nacquero con lei. Ecco la storia di un successo senza fine.


Negli anni Sessanta le Case giapponesi avevano già cominciato a ruggire proponendo modelli potenti, veloci e curati nelle finiture. A quei tempi Ducati era un marchio blasonato ma industrialmente una struttura medio-piccola.

In gamma c’erano pochi modelli, le bicilindriche 750-860 con distribuzione comandata da coppie coniche, le monocilindriche e la pessima bicilindrica parallela GTL 350 e 500 lanciata nel 1975. L’affidabilità di quest’ultima lasciava molto a desiderare, tanto che in Ducati la soprannominarono “Demonio”.

A capo dell’ufficio tecnico c’era l’Ingegner Fabio Taglioni e nello staff, tra gli altri, un promettente neoassunto, il tecnico e disegnatore Gianluigi Mengoli.
Leonardi, a capo della Ducati a metà degli anni Settanta, voleva trovare un’alternativa a quel “demonio” della GTL 350-500, disastro tecnico e di conseguenza commerciale.
Chiese allora all’Ufficio Tecnico di trovare un rimedio e, ovviamente, pensare a nuove soluzioni per il futuro.

Taglioni pensò subito al bicilindrico a V di 90 gradi longitudinale, soluzione già usata per la 750-860 e per la GP 500 dei primi anni Settanta. Nonostante nell’archivio dei progetti Ducati non mancassero configurazioni motoristiche diverse, Taglioni aveva già deciso e “buttò giù” la prima bozza di un nuovo bicilindrico a “elle”.

I problemi



Renzo Neri
era uno dei migliori disegnatori dell’Ufficio Tecnico ed insieme a Gianluigi Mengoli doveva trasformare quella bozza in progetto e completare i disegni dato che Taglioni aveva solo definito le caratteristiche fondamentali del nuovo motore, tra queste, alesaggio x corsa di 74x57,8 mm, due valvole per cilindro e distribuzione desmodromica.

Era il 1976 e nessuno poteva immaginare cosa avrebbe significato quel motore per il futuro della Ducati. Il progetto rispettava le direttive della Direzione: una media sportiva dal costo industriale non elevato ma completamente nuova per cancellare l’insuccesso della bicilindrica parallela. Il cambio era tradizionale e non in presa diretta, l’avviamento era elettrico, i carter motore contenevano una quantità ridotta di olio e l’albero a gomito era monolitico supportato da bronzine (anziché composito su cuscinetti). Per ottenere silenziosità meccanica si scelse la trasmissione primaria a catena Morse e per la prima volta il comando della distribuzione a cinghia dentata, da sempre osteggiata da Taglioni che dovette così rinunciare alle sue amate coppie coniche.

Dopo aver definito tutti i dettagli, alla fine del 1976 il prototipo della Pantah era pronto al primo avviamento. Come primo risultato ottennero… la fusione delle bobine! La Ducati Energia era nei capannoni a fianco e lì Taglioni scomparve per tre giorni, tornando con la soluzione: dei distanziali in alluminio per ovviare al problema, legato a questioni di masse e smaltimento.

Il motore cominciò così a girare ma comparvero gli inevitabili problemi di gioventù: i cilindri con riporto al nichel-silicio a volte grippavano e qualche accensione saltava. C’erano problemi anche con i tenditori delle cinghie dentate ma era soprattutto la trasmissione primaria l’ostacolo maggiore per deliberare il motore. La decisione di passare dagli ingranaggi alla catena Morse era dettata dal desiderio di ridurre la rumorosità meccanica ma la soluzione si rivelò peggiore del problema: la catena Morse faceva più rumore di una primaria ad ingranaggi!

La "pantera"



Dietro front, bisognava ridisegnare tutto il basamento, un lavoro impegnativo perché significava invertire i sensi di rotazione interni al motore. Il tempo passava e prima di arrivare a definire tutti i componenti passò anche il 1977. Nel frattempo il motore era tornato al banco sviluppando, senza cassa filtro e con silenziatori piuttosto liberi, la lusinghiera potenza di 48 CV all’albero.

Il lavoro non era però ancora finito e per risolvere i problemi di accensione ci si rivolse alla Bosch. Intanto in officina Farné preparava il telaio, seguendo la prassi Ducati di allora: prima se ne realizzava fisicamente uno che funzionasse bene e poi lo si quotava sul tecnigrafo a campione. Nacque una ciclistica leggera e maneggevole, in linea con le caratteristiche ricercate in una media cilindrata.

La forma delle sovrastrutture e la veste estetica fu opera di Marco Cuppini, un giocatore di basket appassionato di moto e con la “mano felice” per il disegno. Anche la scelta del nome fu opera sua. Per la nuova Ducati 900 era stato scelto il nome Darmah ispirandosi alla razza di tigri Malesi del popolarissimo telefilm Sandokan. Cuppini scelse per la nuova 500 “Pantah”, contrazione di “pantera”.

Alla fine del 1978 era pronto il primo prototipo marciante ma ci volle ancora un anno di messa a punto prima di procedere all’omologazione, datata 13 ottobre 1979. La Pantah poteva essere consegnata e cominciarono le vendite. Nel corso della sua storia commerciale, nelle cilindrate 350, 500, 600 e 650, ne costruirono 8.488, non tantissime se misurate con parametri moderni ma fondamentali per la storia del motociclismo. Una pagina importante nel DNA delle moto Ducati era stata scritta ed ancora oggi gli appassionati del marchio di Borgo Panigale, cavalcano un po’ quella “pantera”: i basamenti dei motori Ducati attuali sono stati tutti riprogettati ma il disegno originale è ancora e comunque quello del Pantah.
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