Mini moda
Sul finire degli anni Sessanta si
accende l’interesse per i mini ciclomotori, originali, pratici e
divertenti.
Quasi tutte le Case si lanciano nel
nuovo settore, con interpretazioni anche curiose. Pochi modelli, tra quelli
a marce, hanno però successo. Tra questi Benelli e Fantic.
Negli
anni Sessanta il mercato dei
ciclomotori è la vera forza trainante
dell’industria italiana a
due ruote. Per necessità o per divertimento, il
cinquantino
diventa
nel giro di pochi anni uno dei grandi protagonisti della società
conoscendo
un
successo straordinario. Le vendite vanno a gonfie vele, così
si sente la necessità di esplorare
nuovi segmenti, di ampliare
l’utenza
conquistandola con proposte anche originali e innovative. Uno dei fenomeni
che accompagna gli ultimi anni Sessanta è rappresentato dai
motorini
a ruote piccole (da 8 o da 10 pollici) che reinventano il classico
concetto del ciclomotore.
Nascono così modelli interessanti, in genere di prezzo abbordabile, a
volte
fantasiosi, che comunque piacciono anche ai genitori che li vedono
più
pratici e meno pericolosi in mano ai propri figli.

Bisogna
però fare una distinzione perché all’interno del fenomeno
mini vi sono
varie
interpretazioni.
Si parte da quelli tradizionali con motore
monomarcia per finire
a quelli con motore provvisto di
cambio e di immagine più
motociclistica.
E’ di questi ultimi che vogliamo occuparci in questo servizio
perché rappresentano
la parte più evoluta e divertente del segmento.
Non tutti, bisogna dirlo, hanno avuto successo, in diversi hanno raccolto
le simpatie del mercato, solo qualcuno è diventato un vero successo,
commerciale
ma anche di immagine. Possiamo dire che i più significativi prodotti del
settore mini sono stati proposti da
Benelli/MotoBi e
Fantic Motor.
Benelli-MotoBi
Tocca ad una Casa tutto sommato tradizionalista
“inventare” la mini-moto. Nel 1967 infatti la
Benelli presenta
il Mini Bike. “Nato da un’idea
americana” (parole riprese
da un depliant dell’epoca) è un insolito ciclomotore da 50
cc caratterizzato
da misure estremamente ridotte (1 metro e 35 centimetri di
lunghezza,
52,5 kg di peso, ruote da 10 pollici “ciccione”), dal
cambio
a 3 marce a manopola e dalla linea a dir poco originale.
L’immagine
è simpatica, la praticità a tutta prova, le dimensioni così
compact che lo si può riporre un po’ ovunque, anche in
automobile.
Il motore, unità apprezzata e ben collaudata su altri ciclomotori
della Marca (costruito in quasi mezzo milione di esemplari), è appeso ad
un telaio essenziale e robusto. La linea è caratterizzata dallo
scarico alto (derivato dal Trial della stessa Benelli), dal manubrio
a corna di bue piegabile velocemente per limitare l’ingombro, dalla
sella enorme (se paragonata al resto) e dal piccolo serbatoio
da 4 litri (analogo a quello dell’Export). Un adulto, al suo fianco,
sembra un gigante ma una volta in sella non si sta scomodi. La
maneggevolezza,
chiaramente, è il miglior pregio di questo Benelli, che permette di dribblare
il traffico caotico che comincia a popolare le città.
Motociclismo, esaltandone le doti durante la prova del 1969,
lo definisce come la “barchetta di salvataggio” per non
affogare
nel traffico cittadino. C’è poi un altro vantaggio: arrivati a
destinazione,
lo si può “parcheggiare” in uno spazio veramente ristretto.
Nel 1969 questo ciclomotore guadagna
il cambio a pedale a 4 rapporti. Vi è però un’altra novità degna
di nota: dal 1971 al 1973 nel listino Benelli/MotoBi è presente una variante
ancor più simpatica di questa motoretta in miniatura: è il Mini
Cross.
Dotato di ruote più “aggressive”, piastra paracolpi per
riparare
il motore nei possibili contatti in fuoristrada e doppia corona
posteriore per accorciare i rapporti nel caso si vogliano affrontare le
salite più impegnative.
Un mezzo ancor più divertente non solo per gli americani che li
utilizzano per scorrazzare nelle vicinanze del luogo scelto per il pic-nic
e raggiunto con le loro mastodontiche quattro ruote. Proprio per il mercato
USA (ma non solo) non vanno dimenticati gli altri mini di casa
Benelli,
che creano una vera e propria gamma in questo settore sul finire degli
anni 60 (e dunque prima del passaggio della Casa in mano a De Tomaso).
Nascono il City Bike, il Buzzer e i vari Dynamo Compact,
Hornet, Hurricane, tutti modelli simili al Mini Cross ma
con motore portato a 65 cc di cilindrata.
Non mancano due modelli destinati più ai bambini che agli adulti: il chopper
Shopper e il Mini sidecar. A conclusione della gamma
“mini”,
almeno per dimensione, vi è il Volcano, dotato di propulsore portato
a ben 180 cc.
Fantic Motor
Parlando di Fantic, invece, non
si può fare a meno di accennare ancora una volta la storia della Casa di
Barzago, nata proprio per produrre mini moto. Henry Keppel,
allora
alla Garelli, venne inviato in America per organizzare le filiali di vendita.
Tornò con una richiesta di 50mila mini moto! La Garelli
realizzò
il Bat ma poi si tirò indietro. Non volendo perdere un così interessante
affare, Mario Agrati, uno dei figli di Antonio Agrati, e lo stesso Keppel
danno vita alla Fantic Motor, la fabbrica di veicoli
ricreativi.
Iniziano così a costruire questi strani motorini per il tempo libero.
Nel 1971, ad ampliare la gamma in questo settore (dove
era
già presente il cinquantino TX6 cross a 4 marce, con tanto di freno a disco
anteriore, il TX7 kick automatico, per non parlare del TX1 e del TX2 dotati
di motore con avviamento a strappo rispettivamente di 148 e 127 cc) la
Fantic presenta il Diablo Cross e il Super Rocket, entrambi
da 50 cc. Rispetto ai modelli appena citati, le misure non sono mini-mini
(specie per il secondo) cosicché si possono utilizzare praticamente come
un comune ciclomotore, con tanto di passeggero (vietato) se capita.
Insomma, non un micro due ruote di fortuna o da usare in giardino, ma un
cinquantino a tutti gli affetti adatto anche ai nostri gusti.
Il Diablo Cross adotta la ruota posteriore artigliata, in onore
al nome, ed il “vecchio” Minarelli P4S (con testa
“record”,
per la versione export); il secondo invece una gomma particolarmente larga
e con battistrada ideale anche per viaggiare sulla sabbia, ed il più moderno
Minarelli P4SP a carter squadrati (con testa e cilindro Regolarità
- 6,8 CV a 8.800 giri - per la versione export).
Particolare del Super Rocket
di questo ciclomotore è il telaio, un doppia culla chiuso che integra
il basamento della sella. Quest’ultima è formata da una
imbottitura
e da una copertura che si abbottona sul telaio. Grazie alla maggior
lunghezza rispetto al Benelli (1,57 contro 1,38 m), la posizione di guida
non è sacrificata (cosa peraltro non riscontrata più di tanto neanche sul
Mini Cross) ed il divertimento è assicurato. La stessa Fantic definirà
il Super Rocket come il jolly di casa, che piace a tutti:
a lei, che si sente più sportiva, a lui, che si sente più giovane, ai ragazzi,
che lo trovano “pazzescamente divertente”. Disinvolto
nel
traffico di città, infaticabile sul terreno pesante.
Le prime versioni adottano lo
scarico alto a espansione, i cerchi a raggi. Con gli anni
però (il Super Rocket è rimasto in listino fino al 1984) i vari aggiornamenti
che interessano lo scarico (basso), le fiancatine, i fari, la sella ed
i cerchi (in lamiera stampata stile Vespa e poi in lega leggera) renderanno
la linea di questo “piccolo” meno originale. La storia delle mini
moto
andrà avanti ancora per qualche anno. Ma l’evoluzione costante del settore
ciclomotore porterà ad altre strade. Con rare eccezioni (vedi il Moto Guzzi
Magnum) il fenomeno andrà a sgonfiarsi lentamente fino a sparire del tutto,
almeno a livello italiano. Continua invece in Giappone, grazie
soprattutto
alla Honda che da oltre 30 anni produce con successo il Monkey.
Basta provarci
L’ambiente motociclistico, o ciclomotoristico che dir si voglia, nella
seconda metà degli anni 60 è in pieno
fermento. Il filone
dei mini è agli albori, ma sembra interessante e così in molti ci provano.
Per quanto riguarda le proposte con le marce, Leopoldo Tartarini
“sforna”
l’Italjet Go-Go. Caratterizzato da una linea a dir poco
originale,
con tanto di “occhi” sul serbatoio “a pallone”,
quest’ultimo montato
sul canotto di sterzo, manubrio a corna di bue, sellino più consono ad
un ciclomotore da “sparo” e scarico alto, il Go-Go
sfoggia misure
di ingombro limitate e soprattutto ruote da 10”.
Con carburatore da 19 mm, è in grado
di raggiungere i 95 km/h! Tremendo, potrebbe obiettare qualcuno,
al pensiero di quelle ruotine poco rassicuranti in velocità e sui tombini,
per non dire nelle buche. A rivederlo oggi, sembra di essersi imbattuti
nel “nonno” del Dragster della stessa Italjet. Ma non è il solo.
Anzi.
Vere e proprie moto in miniatura nascono in poco tempo.
La Peripoli propone il cinquantino
America. Il nome è una garanzia per gli amanti delle
“chincaglierie”:
manubrio stile custom, tubo paracolpi, frecce, doppio clacson. Per
le ruote ci si affida a una via di mezzo: 12 pollici.
Simile a quest’ultimo ma leggermente più sobrio nella linea,
l’Aprilia
Amico. Queste tre motorette appena citate, provate da Motociclismo
nel 1967 e nel 1968, risultano piacevoli e comode da
utilizzare.
Ma il variegato mondo delle piccole due ruote non si ferma qui. Vi sono
veri e propri mezzi quasi artigianali, come la vigevanese Rondine Speedy,
realizzata da Angelo Copeta, conosciuto ed apprezzato pilota dgli anni
50, ed i modelli costruiti dalle blasonate Case, che accorrono al richiamo
di questo nuovo settore.
Ne è un esempio la Mondial con
il Mini, caratterizzato dai cerchi in lamiera stampata da 8 pollici,
il Garelli Mini-Bat, anch’esso con cerchi stampati (da 10” però).
Ci prova anche la Motom (con una motorettina con ruote a raggi da
12” e motore a 4 tempi) che però non andrà in produzione, la Moto
Guzzi,
con lo Zip, dotato di motore del Dingo a 4 marce, telaio rigido, manubrio
pieghevole e ruote da Cross da 10”, anch’esso mai entrato in
produzione;
successivamente sarà invece prodotto con buon successo il Magnum.
Non possiamo infine dimenticare uno degli ultimi nati: il bolognese Victor
50 della All Cars, caratterizzato da gomme extralarge (5.00-10”).
Scheda Benelli
Caratteristiche tecniche Benelli Mini Cross
Motore:
Benelli, monocilindrico a 2 tempi inclinato in avanti,
testa in alluminio,
cilindro in ghisa,
alesaggio per corsa 40x39 mm,
cilindrata 49 cc,
rapporto di compressione 6:1,
distribuzione regolata dal pistone,
potenza 1,5 CV a 4.000 giri.
Raffreddamento ad aria.
Alimentazione: miscela al 5% (6% per i primi 1.000 km).
Capacità serbatoio litri 4.
Un carburatore Dell’Orto SHA 14/12 con filtro aria, getto massimo 54.
Accensione: a volano magnete: alternatore 6V-18W.
Anticipo 28° prima del PMS.
Distanza tra i contatti 0.4 millimetri.
Candela Marelli CW240 L, distanza tra gli elettrodi 0,6 mm.
Lubrificazione: 400 grammi di olio motore Sae 30.
Trasmissioni: primaria a ingranaggi elicoidali, secondaria a catena.
Frizione: a dischi multipli in bagno d’olio.
Cambio: a ingranaggi, a quattro rapporti comandati a pedale sul lato sinistro.
Rapporti totali:
29,09 in prima,
20,07 in seconda,
14,52 in terza,
10,76 in quarta.
Telaio: monotrave in tubo d’acciaio.
Sospensioni:
anteriore forcella telescopica;
posteriore a forcellone oscillante con due ammortizzatori telescopici.
Freni:
a tamburo centrale, diametro 103 mm ant e post.
Ruote:
cerchi in acciaio da 2,50x10” ant e post.
Pneumatici da 3,50-10 ant e post.
Pressioni di gonfiaggio 1.25 bar ant e post.
Impianto elettrico:
alimentazione a volano magnete 6V-18W;
faro anteriore con lampada 6V-15W per luce anabbagliante e 6V-5W per luce
città;
una lampada 6V-3W nel fanalino post.
Dimensioni (in mm) e peso:
lunghezza massima 1.350,
interasse 935,
larghezza manubrio 700,
altezza massima 930,
altezza sella 690,
altezza minima da terra 100.
Peso a vuoto 52,5 kg.
Scheda Fantic
Caratteristiche tecniche Fantic Motor Super Rocket
Motore:
Minarelli, monocilindrico a 2 tempi inclinato in avanti,
alesaggio per corsa 38,8x42 mm,
cilindrata 49,6 cc,
testa in alluminio,
cilindro in ghisa,
distribuzione regolata dal pistone,
rapporto di compressione 8:1,
potenza 1,5 CV a 6.000 giri.
Alimentazione:
miscela al 5%.
Capacità serbatoio litri 5.
Un carburatore Dell’Orto SHA 14/12 con filtro aria, getto massimo 57.
Accensione: a volano magnete: alternatore 6V-18W.
Anticipo 17° prima del PMS.
Distanza tra i contatti 0,4 mm.
Candela Bosch 260, distanza tra gli elettrodi 0,5 mm.
Lubrificazione: 900 grammi di olio motore Sae 40.
Trasmissioni:
primaria a ingranaggi elicoidali, secondaria a catena.
Frizione: a dischi multipli in bagno d’olio.
Cambio: a ingranaggi, a 4 rapporti comandati a pedale sulla sinistra.
Rapporti totali:
15,22 in prima,
9,55 in seconda,
6,64 in terza,
5,34 in quarta.
Telaio:
a doppia culla chiusa in tubi di acciaio.
Sospensioni:
anteriore forcella teleidraulica;
posteriore a forcellone oscillante con 2 ammortizzatori telescopici.
Freni:
a tamburo centrale, diametro 90 mm ant e post.
Ruote:
cerchi in acciaio da 2.10x12 ant e 2.10x10 post.
Pneumatici da 3.00-12 ant e 4.00-12 post.
Pressioni di gonfiaggio 1,5 bar ant e 1,8 post.
Impianto elettrico:
alimentazione a volano magnete 6V-18W;
faro anteriore con lampada 6V-15W per luce anabbagliante e 6V-5W per luce
città;
una lampada 6V-5W nel fanalino post.
Dimensioni (in mm) e peso:
lunghezza massima 1.570,
interasse 1.100,
larghezza manubrio 740,
altezza 950,
altezza sella 660,
altezza min da terra 190.
Peso 54,5 kg.
© RIPRODUZIONE RISERVATA