Anche se sono un nomade digitale, ho una moto e un’anima novecentesca, analogica e offline (
una Moto Guzzi California EV del 1997, comprata di terza mano e soprannominata da lui TR: Telaio Rotto, ndr). Gli strumenti che uso sono modernissimi, ma il cuore è d’epoca. Devo a
Bettinelli,
Terzani,
Cacucci,
Chatwin e
Kapucinsky molto della mia visione del mondo come frontiera con nuove storie e nuove vite possibili, sono loro e non gli Steve Jobs che insegnano ad aprire la porta, innamorarsi dell’Altrove e partire. Fanno capire che prima della moto viene la strada, il mondo e i suoi racconti. È questo che differenzia un viaggiatore da chi fa tanti km e usa il Mondo solo come pista per smanettare. Questi scrittori, viaggiatori e giornalisti mi hanno trasmesso l’etica del viaggiare e il dovere di raccontare. Ma, a un certo punto, bisogna smettere di inseguirli, sopratutto quando a noi, non a loro, sono toccati i decenni più umilianti dell’economia nazionale ma anche le incredibili possibilità della new economy. Comunque, dopo quelle letture classiche mi sono successe altre cose: un viaggio in Marocco, mentre leggevo “Brum Brum” (libro di Bettinelli), ha acceso la miccia della partenza; un gruppo di Guzzisti ha accolto questa decisione con un entusiasmo clamoroso; un filibustiere mi ha venduto un California incidentato senza dire nulla, un concessionario della Brianza mi ha reso capace di fargli la manutenzione. E sono partito.