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Una special turbo con meno di 1.000 euro

Sembra uscita da un film della saga Mad Max questa streetfighter postatomica: rude e villana, è sovralimentata da una turbina di derivazione automobilistica. Questa special su base Suzuki GS1100EF è costata meno di 1.000 euro
1/23 Special Suzuki GS1100EF Turbo by Marco Sizzi
A sentirla arrivare da lontano non sapresti mai dire di cosa si tratta. Il rombo è inconfondibilmente quello di una quattro cilindri; ma c'è una nota stridula, quasi cacofonica, di sottofondo. Una specie di fischio che non sai a che cosa attribuire. Ci si presenta così questa special. Grezza, opaca, postatomica: sembra uscita dalla saga di Mad Max. E così l'ha voluta Marco Sizzi, proprietario e preparatore, che ha persino messo il logo dell'ultima pellicola - un teschio in fiamme - sul serbatoio. Di ritorno da Wheels and Waves - la kermesse che ogni anno si tiene a Biarritz e che raduna le nuove tendenze in tema di customizzazioni - e incuriosito dal gran numero di special elaborate con turbine e compressori, si è detto: "Perché non posso averne una anche io?". Così ha preso la sua malconcia Suzuki GS1100EF vecchia di trent'anni e l'ha stravolta, utilizzando quasi unicamente pezzi usati o costruiti su misura con flessibile e saldatore. Spesa totale per materiali e verniciatura: 700 euro.

Motore elastico e coppia in basso

Quello della GS1100EFE era uno dei motori più potenti della sua categoria, a metà anni Ottanta, ed è godibilissimo ancora oggi. Oltre cento CV "veri" alla ruota sfruttabilissimi: il quattro cilindri di Hamamatsu è capace di dolci andature senza strattoni come di grintose riprese e fulminanti accelerazioni. Marco non ha voluto stravolgerlo, ma anzi ne ha esaltato le caratteristiche del sedici valvole aggiungendo una nota unica: quella del turbo. Non esistendo nulla di preconfezionato per questa moto, ha fatto un po' di tentativi. Il primo, con una turbina di una Mini, non ha dato i frutti sperati: ci vuole troppa pressione per farla funzionare e poi interviene solo ad alti regimi. La scelta è dunque ricaduta su una turbina Mitsubishi prelevata da un furgone Iveco Turbo Daily diesel. La pressione di funzionamento è di soli 0,5 bar e la geometria della chiocciola è studiata in modo da funzionare ai medi. E infatti il "calcio" del turbo, benché non eccessivamente vigoroso, si avverte nettamente tra i 3.500 e i 5.000 giri/ min. La lancetta del contagiri arriva a pizzicare quota 10.000, ma già a 6.000 la spinta si esaurisce. Però, fino a quel punto, che goduria! Il motore esprime vigore taurino, ma senza strappi: rimane fluido e progressivo come e più dell'originale. Avere più Nm ai medi regimi, ovvero nel range di maggiore utilizzo, rende godibile la Suzuki anche quando la si utilizza in maniera "normale", senza cioè cercare solo accelerazioni brucianti, ma guidandola quasi in souplesse tra le curve. Frizione rinforzata in kevlar e verniciatura nero opaco concludono la lista delle modifiche al propulsore.

Comfort? Non so che cosa sia

Ma l'elaborazione non si limita al motore: interventi importanti sono stati fatti al telaio, un po' camuffato da una verniciatura a polvere nero opaco, come il quattro cilindri. L'unità di serie, una doppia culla in tubi tondi e quadrati molto rigida, mantiene originale solo la parte inferiore, quella del cannotto di sterzo e del pivot del forcellone. La porzione posteriore è tutta tagliata via: non c'è più un codone imponente da sostenere, ma solo un'esile sella singola - se così si può chiamare il fazzoletto in neoprene su cui si appoggia il sedere - a cui bastano tre profilati in ferro per farle da base. In quello centrale è annegata anche una piccola luce a LED, che funziona da stop. Tutta la parte sopra è barbaramente segata via: al serbatoio di serie viene sostituito un contenitore squadrato che contiene 6 soli litri di benzina e che si ispira, nell'idea, ai sottocanna degli anni Venti del secolo scorso. Ci sono anche dettagli steampunk, come il tappo in ottone di derivazione idraulica e la cannetta esterna per vedere il livello di carburante. Ma il grosso del lavoro è concentrato sulla "schiena" del telaio, ricostruita da zero con tubi a sezione quadra, in un groviglio il più possibile lineare e semplice - per non complicarne la realizzazione, oltre che per una questione estetica - ma anche sufficientemente robusto - per non indebolire la struttura generale del telaio - ed in parte scomponibile, per poter inserire o smontare il motore, all'occorrenza, in maniera abbastanza agile. In tutto questo, Marco non utilizza alcun disegno, né dima: taglia e salda direttamente, come uno scultore senza modello. L'idea di come dovrà essere la moto ce l'ha chiara in testa, e questo basta.
Le quote ciclistiche della moto di serie sono state mantenute, per quanto possibile, e non sono proprio sveltissime: la scheda tecnica della GS del 1984 riporta una inclinazione del cannotto di sterzo molto aperta (29°), un'avancorsa generosa (116 mm) e un interasse da cruiser (1.540 mm). Eppure, nonostante queste misure, accompagnate da un peso non indifferente (242 kg rilevati a secco all'epoca), la Suzuki era stabile sul veloce e si comportava bene anche nelle curve strette. Mettendo mano alle sospensioni, Marco ha modificato la dinamica di questa special, che preferisce la stabilità alla maneggevolezza. Tutta la moto è abbassata: l'ammortizzatore posteriore è accorciato e il retrotreno risulta più basso di ben 6 cm. Anche la forcella è sfilata nelle piastre e gli steli tagliati. L'assetto non cambia, ma ora la luce a terra è più scarsa e la Suzuki turbo risulta più acquattata sull'asfalto. La maneggevolezza perduta è ripristinata, in parte, con un maggiore carico dell'avantreno: la distribuzione dei pesi, eliminata tutta la porzione posteriore del telaio, è sbilanciata sulla ruota davanti (di serie, da 16"). Con il pilota in sella poi, questo sbilanciamento è accentuato: il piano di seduta è quasi alla stessa altezza dei semimanubri (dei pregiati Bimota recuperati in fondo al garage e verniciati di nero) e questo porta a caricare i polsi. Senza contare che il serbatoio sottocanna non offre un punto dove chiudere le gambe e stringere le ginocchia. Risultato: in sella ci si sente un po' appollaiati, non proprio inseriti nella moto. Una ergonomia non certo impostata al comfort, ma alla guida aggressiva. Il prossimo step è un manubrio drag-bar, bello largo, per avere maggiore controllo. E poi, chissà: il lavoro di un biker non è mai finito...
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