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I cavalli non sono tutto: dalla teoria alla pratica

Honda CX 500 contro Ducati Pantah 500, un giovane motociclista contro una vecchia volpe del Bracco. La strada insegna, con una dura lezione di vita, che la potenza non è tutto...

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Zoff, Bergomi, Cabrini e via dicendo. L’Italia aveva appena vinto i Mondiali di calcio del 1982 quando piombarono in casa, un po’ per caso, quei giornali. Una collezione di Motociclismo degli Anni 70. Avevo 12 anni e mi si aprì un mondo. C’erano il motoalpinismo, c’erano le mirabolanti Kawa tre cilindri due tempi, c’erano le pubblicità con le donne nude, c’era Don Vesco sui siluri del lago salato, c’era Kenny Roberts con la Yamaha gialla e nera. Nelle prove si scriveva delle italiane capricciose negli impianti elettrici, ma dai telai magistrali. L’opposto delle jap, grandiose nei motori ma incerte nella ciclistica. Leggevo e rileggevo quei giornali, li imparavo a memoria. Il danno era fatto: mi ero ammalato di moto. Arrivò il cinquantino, arrivò il 125 e poi arrivò pure il momento che me la dovevo cavar da solo: se volevo la moto grande, me la sarei dovuta comprare con i miei soldi. Eravamo ormai nel 1990, avevo vent’anni. Facevo i miei lavoretti da studente di quinta liceo, ma mai mi sarei potuto permettere una CBR600 o una GSX-R750, desideratissime a quei tempi. 


prendere la paga

Andai a ritirare fuori quei vecchi giornali. E iniziai a studiare, letteralmente a studiare, le altrettanto vecchie moto degli Anni 70. Non le voleva più nessuno in quel periodo, te le tiravano dietro. E con un milioncino di lire si poteva fare l’affare. Quagliava con il mio budget. Interi fogli a quadretti venivano ordinatamente compilati, in tabelle suddivise per dati e colonne. Annotavo potenze massime, cilindrate, regimi, pesi, dotazioni, ma anche pregi e difetti espressi dai tester. Al contempo, mi recavo con metodica frequenza in edicola, per comprare Secondamano. Alla fine, acquistai una Honda CX 500 del 1978: due proprietari, 14.000 chilometri, 1.200.000 lire, dodici cambiali da centomila. Comoda, poderosa, affidabile, col cardano: per me che volevo partire all’esplorazione dell’Europa, era quella giusta.
La comprai. E col tempo sviluppai anche un certo feeling con quella bestiona. Dicevo la mia e tra le curve ne tenevo molti dietro. Arrivarono le vacanze di Pasqua, non rammento se 1991 o 1992. Ma ricordo che ero sul Bracco. Arrivavo da La Spezia, direzione Genova. Ero in giro da solo, con i bagagli e la tenda. A un certo punto si materializzò negli specchietti un Ducati Pantah 500.
Fu un attimo. Come un calcolatore elettronico, ritornai mentalmente a quei fogli a quadretti: Honda CX 500 47 cavalli alla ruota. Ducati Pantah 500 48 cavalli alla ruota. “Me la posso giocare”, mi dissi. Mi diedi una scrollata, giù una marcia e via, pronto a vender cara la pelle. Quello che nella mia testa era un rivale mi sorpassò pulito, con maestria ed educazione. Al primo tornante a destra in salita lo smanettone locale mise giù il ginocchio (era in tuta di pelle) e si involò, con la sua Pantah bella assettata, mentre la mia giuggiolona CX 500 rimbalzava sugli ammortizzatori posteriori. Due curve e non lo vidi più. In quella comparativa durata giusto il tempo di un tornante, avevo imparato molte cose. Anche il significato di “prendere la paga”.

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