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Bimota: dalla Tesi 400 alla TERA

L’esclusivo progetto Bimota, nato nel 1983 con la Tesi 400, trova una nuova strada con la TERA presentata alla scorsa edizione di Eicma. Ripercorriamo la storia di una famiglia di moto sempre capaci di stupire, dai primi modelli spinti da motori Honda V4, passando per il prototipo con il “20 valvole” Yamaha 750, per poi immergerci in un tripudio di bicilindrici Ducati e approdare a un Kawasaki sovralimentato

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La Bimota Tesi 400 sotto i riflettori al Salone di Milano del 1983. A fianco c’è la KB2 550, al tempo uno dei modelli di punta della Casa riminese. Le soluzioni tecniche esclusive e la linea avveniristica della Tesi rendono obsoleti tutti gli altri modelli in commercio all’epoca: è l’inizio di una lunga storia, che continua ancora oggi.

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Sembrava difficile riuscire ad andare oltre. Cosa mai poteva proporre Bimota dopo la stupefacente Tesi H2 svelata a Eicma 2019, che innestava un quattro in linea sovralimentato da 231 CV nella famosa ciclistica del progetto Tesi? La risposta è arrivata all’ultima edizione del Salone di Milano, lo scorso novembre, e ha preso le sembianze di una crossover. Già questo ha suscitato clamore, perché vedere una Bimota con valigie in alluminio e plexi da turismo non è certo cosa di tutti i giorni. Ma la TERA, questo il nome della nuova moto, ha portato una rivoluzione nella già rivoluzionaria sospensione del progetto Tesi: la TERA sfodera ora un sistema a sviluppo verticale, composto da un link e da due biellette che permettono di mantenere il manubrio direttamente collegato alla ruota anteriore; la foto grande nella pagina qui a fianco vale più di tante parole. Il raggio di sterzata cresce a 35° per lato: rispetto alla Tesi H2 sono 8° in più, sempre per lato.

Il nome TERA significa TEsi con Regolazione dell'Altezza: controllo variabile dell’affondamento in frenata e baricentro ad altezza variabile (fino a 30 mm) ottimizzeranno il comportamento complessivo del sistema, dichiarano da Bimota. L’obiettivo è anche offrire più sensibilità sulla ruota anteriore, soprattutto sui fondi irregolari e in frenata, uno degli aspetti migliorabili mostrati dai precedenti sistemi.
Dalla Tesi H2 viene ripreso anche il telaio a piastre laterali in alluminio ricavate dal pieno, leggermente modificate anche in virtù di nuovi attacchi del motore su carter e cilindri. Messo tutto insieme, questa ennesima evoluzione del concetto di telaio Tesi offre una distribuzione del peso sull’avantreno pari al 52,5%, valore che gli ingegneri riminesi
ritengono ottimale per una “performance crossover”, come viene definita in Bimota. Il motore resta il 4 in linea sovralimentato della famiglia H2 di Kawasaki, qui capace di “soli” (si fa per dire) 200 CV a 11.000 giri. Un motore che è anche il simbolo più evidente dell’asse Akashi-Rimini formalizzato nel 2019, quando Kawasaki Heavy Industries acquisì il 49,9% della Casa riminese, per poi completare l’acquisizione: oggi Kawasaki Motor Europe N.V. detiene il 100% delle quote di Bimota.

Artefici della nuova TERA sono Pierluigi Marconi e Andrea Acquaviva, rispettivamente Direttore Operativo e Project Manager di Bimota. Lo ricordiamo, Marconi è stato anche il “papà”, assieme a Roberto Ugolini, della prima Tesi equipaggiata con il quattro cilindri a V della Honda VF400F, presentata al Salone del Ciclo e del Motociclo di Milano nel novembre del 1983. Un progetto visionario, così in anticipo sui tempi da richiedere uno sviluppo complesso e laborioso durato anni. Alla Tesi 400 sono seguite infatti altre tre versioni da competizione - con motori Honda, Yamaha e Ducati - e diversi prototipi stradali intermedi prima di vedere la Tesi 1D, spinta dal bicilindrico Desmoquattro della Ducati 851, entrare finalmente in produzione all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso. All’epoca le difficoltà economiche della Bimota (fallita nel 2001 e poi risorta) hanno però rallentato lo sviluppo e complicato la vita di questo modello, impedendole di raggiungere il successo che meritava e facendo migrare l’ingegner Marconi verso altri “lidi professionali”. Prima lavorando alla Benelli e poi aprendo uno studio di progettazione e consulenze tecniche di sua proprietà.

La Tesi è però sempre rimasta nel cuore di Marconi, che ha continuato a studiare come migliorare il progetto anche quando ha smesso di occuparsene professionalmente. E quando all’orizzonte è comparsa Kawasaki si è fatto trovare pronto, tornando al lavoro con bene in testa quello che si doveva fare per correggere i difetti che hanno accompagnato tutte le Tesi: avere maggior neutralità dello sterzo e quindi un feeling più sincero con la ruota anteriore in frenata e in percorrenza curva e sperimentare nuove soluzioni, anche strutturali, allo schema dei due bracci anteriori uniti a una parte centrale in fibra di carbonio per incollaggio, utilizzando le più recenti tecniche aeronautiche. ​Ma come e perché ha preso forma la Tesi 400 nel 1983? E quanto è stata determinante nel destino dell’azienda? Per scoprirlo è necessario fare un passo indietro e tornare all’inizio degli anni Ottanta, quando la Bimota sta per festeggiare i primi dieci anni di vita, arrivando però in vista dell’importante “traguardo” con il fiato corto. All’epoca la piccola Casa riminese deve infatti affrontare una crisi di identità dovuta ad una serie di fattori concomitanti. Massimo Tamburini e Giuseppe Morri - i due fondatori della Bimota assieme a Valerio Bianchi, da tempo uscito di scena - non condividono più la stessa visione imprenditoriale ed il primo è anche in procinto di lasciare l’azienda. Il motivo dei contrasti va ricercato nella flessione delle vendite: gli ultimi modelli progettati da Tamburini (HB2-HB3-KB3-SB4), dotati della stessa ciclistica ma con motorizzazioni diverse, non sono stati accolti con lo stesso entusiasmo dei precedenti. Con i giapponesi che hanno ormai imparato a costruire i telai, se la Bimota vuole sopravvivere sul mercato degli anni Ottanta deve orientare la produzione verso moto esclusive, dotate di soluzioni all’avanguardia che nessun altro può offrire e con le quali giustificarne l’elevato prezzo di vendita.

Proprio mentre Tamburini sta preparando le valigie entrano in scena Pierluigi Marconi e Roberto Ugolini, due studenti di ingegneria meccanica appassionati di motociclette che contattano la Bimota per farsi consigliare un argomento con cui sviluppare la tesi di laurea al Politecnico di Bologna. 
Viene suggerito di concentrarsi sull’avantreno, dove nessuno nel campo della produzione di serie ha ancora proposto delle valide alternative alla tradizionale forcella teleidraulica. E dove c’è quindi ancora molto spazio per la sperimentazione. Opportunamente seguiti ed indirizzati, i due terminano gli studi e la loro tesi, che ha per oggetto una sospensione anteriore a forcellone oscillante: servirà poi a Marconi per farsi assumere in Bimota, presso l’Ufficio tecnico, alle dipendenze dell’ingegner Federico Martini, che nel frattempo ha preso il posto di Massimo Tamburini.

La prima applicazione della sospensione anteriore a forcellone oscillante di Marconi e Ugolini si trova sulla Tesi 400 presentata, come anticipato, al Salone del Ciclo e del Motociclo di Milano 1983, dove lascia a bocca aperta pubblico ed addetti ai lavori. “Per mantenere la prerogativa di Costruttore di moto esclusive - scrive Motociclismo nel suo articolo sulla rassegna milanese - la Bimota nel decimo anniversario della sua fondazione ha presentato questa straordinaria ‘sperimentale’ che con le sue soluzioni avveniristiche apre un discorso nuovo nel settore delle due ruote. L’adozione provvisoria del motore Honda VF400F ha semplificato il progetto iniziale della moto. In seguito saranno adottati propulsori di maggior cilindrata. Per il telaio si è ricorsi ad una scocca in materiale composito in fibra di carbonio e honeycomb di alluminio incollati. Forcelloni, il bilanciere posteriore ed i silenziatori sono in Peraluman; sospensione anteriore ed accessori in Avional. Sterzo indiretto idraulico, un quadrilatero articolato che sostituisce la tradizionale forcella, il tutto unito da una linea spaziale, completano il quadro di questo esemplare unico. Peso contenuto in 142 kg. La Tesi entrerà orientativamente in produzione nel 1985”.

Inizialmente la Tesi doveva montare il quattro cilindri in linea frontemarcia raffreddato ad aria Kawasaki già utilizzato sulla KB2, ma Morri in persona era intervenuto dicendo che una moto così innovativa non poteva utilizzare un motore desueto come quello, suggerendo l’adozione del piccolo V4 Honda, per via delle forme compatte e delle prestazioni di cui è capace. Ma più che al tipo di motore ed al telaio in materiali compositi, gli occhi di tutti sono puntati sulla sospensione anteriore, dove al posto della tradizionale forcella telescopica, sulla Tesi c’è un forcellone oscillante, scatolato in alluminio e infulcrato al telaio, che lavora con un ammortizzatore Marzocchi regolabile, collocato in posizione orizzontale sotto al motore e fissato al forcellone tramite opportune biellette. La ruota è montata su un mozzo speciale che integra il sistema di sterzo; questo mozzo consente di far sterzare la ruota al massimo di 30° per ogni lato. Un secondo perno perpendicolare fissa il perno ruota al mozzo, facendo da asse dello sterzo della moto, perché variando la propria inclinazione sul piano longitudinale ne determina l’avancorsa. Il movimento della ruota sul mozzo avviene tramite due braccetti comandati da altrettanti pistoncini oleodinamici. Il primo è collegato alla ruota da uno snodo sferico, il secondo invece è fissato alla testa dello sterzo.

L’impianto idraulico è mantenuto in pressione da due pompe. La prima manda in pressione l’olio inviandolo alla seconda, che lo invia poi a sua volta ai pistoncini. La seconda pompa è a doppio effetto: quando il manubrio viene ruotato a sinistra l’olio viene aspirato e poi mandato in circolo nell’impianto, mentre quando si ruota lo sterzo verso destra il pistoncino comprime l’olio. Il sistema per funzionare deve mantenere sempre una pressione dell’olio costante, sufficiente ad azionare i pistoncini idraulici e a consentire in questo modo alla moto di sterzare.

Il sistema è complesso e macchinoso, ma sulla carta offre innumerevoli vantaggi: “Lo sterzo indiretto fa sterzare meglio la moto - spiega Martini nelle interviste - Da un punto di vista teorico la soluzione a parallelogramma articolato presenta solo dei vantaggi rispetto alla convenzionale forcella telescopica. Anzi, è una soluzione pensata per eliminare gli insormontabili problemi di fondo della forcella. Noi volevamo una moto che in curva, in frenata, in accelerazione, insomma in ogni possibile condizione di funzionamento, garantisse il mantenimento dei parametri fondamentali su cui si basa l’equilibrio del sistema moto più pilota: l’avancorsa e l’inclinazione dello sterzo. E con la Tesi l’abbiamo ottenuto”.
A completare un quadro innovativo c’è poi il telaio, formato da due gusci compositi in fibra di carbonio e honeycomb d’alluminio con rivestimento in Kevlar, uniti fra loro con una colla speciale di derivazione aeronautica, che abbracciano inferiormente il motore e collegano i forcelloni. Nella parte anteriore i due gusci sono vincolati fra loro per ospitare lo sterzo con le relative piastre e per fare anche da supporto al radiatore dell’acqua. Al posteriore un telaietto reggisella in tubi d’acciaio, fissato ai gusci in materiali compositi, regge il codone assieme a uno degli scarichi.

L’essere troppo innovativa si rivela però un’arma a doppio taglio per la Tesi, innanzitutto perché quando viene ipotizzata la sua imminente messa in produzione le vendite crollano definitivamente, dato che il resto della gamma appare desueto di fronte alla nuova arrivata e nessuno è più interessato a comprare una “vecchia” Bimota. “Se hanno costruito una moto del genere, chissà quali altre novità bollono in pentola. Tanto vale aspettare i nuovi modelli delle altre cilindrate mentre si iniziano a vendere le prime Tesi”, è l’opinione diffusa fra i motociclisti dei primi anni Ottanta. Peccato però che la Tesi 400 tradisca le aspettative e non venga costruito nemmeno un esemplare perché la Bimota è costretta a malincuore a fare marcia indietro abbandonando lo sviluppo per l’impossibilità di trovare la corretta messa a punto di un avantreno così complesso.

Subito dopo l’uscita di scena della 400 nasce però un secondo prototipo con motore Honda VF750F che la Bimota sviluppa nelle gare di Endurance con il collaudatore Maurizio Rossi e con Davide Tardozzi, senza raccogliere alcun risultato, anzi sollevando diverse perplessità circa la reale efficacia del sistema di sterzo indiretto a comando idraulico. “È necessario un periodo di messa a punto, da parte nostra, di tutto il sistema - si affretta a spiegare l’ingegner Martini - Questo cinematismo da un punto di vista teorico è la soluzione a tutti i problemi della vecchia forcella telescopica, ma questo non significa che, una volta stretto l’ultimo bullone della motocicletta si possa pretendere di mettere in moto e partire a tutta velocità sperando di avere una moto perfettamente a punto. Dopo il progetto e la costruzione esiste anche la sperimentazione. In fondo sulla forcella telescopica hanno lavorato per più di mezzo secolo per arrivare alla precisione e alla maneggevolezza di oggi!”. I

n realtà lo sterzo indiretto comandato idraulicamente sembra essere più un costoso e complicato esercizio tecnico che un effettivo vantaggio rispetto al comportamento di una tradizionale forcella teleidraulica, più economica e più facile da mettere a punto. Mentre il telaio in fibre composite è difficile da realizzare perché all’inizio degli anni Ottanta sono poche le aziende italiane che possiedono le conoscenze e la tecnologia necessarie per fare dei pezzi del genere e tutte sono impegnate quasi a tempo pieno con le scuderie di F1. A Rimini però proseguono per la loro strada: lo sterzo indiretto è il valore aggiunto della Tesi e il progetto continua ad essere sviluppato fino alla commercializzazione nel 1991 della Tesi 1D 851 a motore Ducati, firmata da Pierluigi Marconi, sacrificando però lungo la strada alcune soluzioni, come il telaio in materiali compositi - sostituito da piastre laterali in lega leggera ricavate dal pieno - e il comando idraulico dello sterzo - al suo posto ne viene montato uno meno complicato a comando meccanico - incompatibili con la produzione di serie. La 1D 851 e le varianti successive 1D 904 e 1D SR sono state costruite complessivamente in 291 esemplari in quattro anni. A questi si devono aggiungere 75 esemplari della 1D ES del 1993, anch’essa di Marconi, che chiude il primo ciclo della Tesi. Il secondo, quello della Tesi 3D del 2006 firmata da Enrico Borghesan, è stato ancora più effimero. Il terzo, avviato nel 2019 sotto l’ala protettrice di Kawasaki, è in pieno svolgimento.

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