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di Mario Ciaccia
13 March 2023

Yamaha Ténéré 700: cinque versioni e una storia infinita

La T7, come la chiamiamo per fare prima, vanta origini illustri ma è anche una moto un po' strana, se guardiamo il mercato. Oggi è disponibile in cinque versioni, ma potrebbe non essere facilissimo districarsi nella scelta del modello giusto. Anche perché ciascuna ha qualcosa che fa gola alle altre

Perché "moto un po' strana"? Perché la Storia ci insegna che alla gente piacciono le moto avventurose ma poi, una volta che sono in commercio, le versioni successive si addolciscono. Ovvero: il primo impatto dev'essere tosto, la moto deve fare paura, deve promettere avventure vere, ma poi arrivano le versioni più comode e stradali. Nel caso della T7, però, non è ancora successo. Nata single e già piuttosto sbilanciata verso il fuoristrada, per essere quello che è (una bicilindrica inserita in un filone di moto usate soprattutto su asfalto), nel corso degli anni è stata declinata in varianti ancora più estreme. Per capire come mai ciò non ci dispiaccia, guardiamo la sua storia.

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1983, il mercato conosce la prima Ténéré. Questa è quella bianca con la striscia a quadroni rossi, ispirata alle moto della squadra italiana, la Yamaha Belgarda, che correva alla Dakar.

La Yamaha XT600Z Ténéré 34L nasce dalla congiuntura astrale del mito già consolidato della Dakar con la passione per le traversate sahariane: è di serie così, sembra uno scherzo, i motociclisti sbavano, dicono "ma esiste veramente?". È una moto cafonissima, monocilindrica, raffreddata ad aria, con l'avviamento a pedale e basta. Alta, sospensioni a lunga escursione, serbatoio immenso da 30 litri. Ignoranza allo stato puro, spingi in fondo il suo lungo pedale e lei fa PUM!

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La parentela con i mezzi ufficiali usati alla Dakar è raccapricciante. Questa è la 600 del 1984.

Lei fa PUM e ti dice di non portarla al bar, ma direttamente all'albero del Ténéré, in Niger. La massa di quelli che la comprano, però, ci vanno al bar. In centro città. Ricordiamo bene le scene anni Ottanta del fighetto gellato che esce dall'ape e accende la moto a pedale, come un vero maschio, osannato dalle folle con lo spritz in mano. Alla luce di ciò, Yamaha decide di evolvere questa moto in una direzione più stradale. Arrivano l'avviamento elettrico, la carena, la sella più comoda per due. Aumentano i pesi, ma la moto in fuoristrada resta sempre molto valida.

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Nel 1985 arriva un modello tutto nuovo, la 1VJ. La modifica più importante è l'adozione dell'avviamento elettrico. Poi viene migliorata la posizione di guida, scavando il serbatoio, che scende da 30 a 23 l. Scende anche nel senso che arriva più in basso, per cui viene montata una pompa a depressione. La sella è più lunga e il peso, sulla bilancia di Motociclismo, sale da 143 a 161 kg. Diciamo che, così, la moto è più pratica, ma è un po' meno affascinante della prima.

Con l'arrivo della 3YF da 660 cc, nel '91, ci incazziamo proprio. Alla Dakar 1988-89 Yamaha ha schierato una 750 raffreddata a liquido a cinque valvole (due volte seconda con Franco Picco), degna risposta alla Honda NXR780 e la sua ricaduta commerciale... è questa. "Ma cos'è 'sta roba?". Rispetto alle precedenti è molto più sbilanciata verso l'utilizzo stradale. Estetica anonima, motore più complicato (raffreddamento a liquido, 5 valvole), serbatoio ridotto a 20 l, sospensioni con meno corsa, cerchio posteriore da 17", peso che arriva a 194 kg. 50 kg più della prima, assurdo.

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Diventa così logico domandarsi perché non comprarsi direttamente la Super Ténéré 750, che pesa poco di più, ma va molto più forte.

Eppure, se guardata con i criteri di giudizio moderni, anche la 660 è una grandissima moto. Rispetto alle 600 è più comoda e veloce su strada, più adatta ai viaggi. Il motore è robustissimo: uno dei pochi monocilindrici che superano i 100.000 km senza bere olio. E in fuoristrada, nonostante tutto, va ancora bene. Tanto che Belgarda pensa bene di realizzare un kit per permetterle di partecipare alla Dakar nella categoria Marathon, quella delle moto strettamente derivate dalla serie: è composto da due serbatoi Acerbis anteriori verticali da 20 l ciascuno, due posteriori da 20 l totali, una scatola filtro posta tra i due anteriori, cerchi più robusti col posteriore da 18", un ammortizzatore più sofisticato, diverse molle forcella, un serbatoio per l'acqua e un impianto di scarico più libero. Si può comprare in blocco o solo i pezzi che interessavano. Con 60 l, facendo 20 km/l, si possono percorrere 1.200 km con un pieno: stiamo parlando di altri tempi. Oggi, alla Dakar, si trovano rifornimenti ogni 250 km.

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A pensarci adesso è un'iniziativa fantastica, di cui compare la pubblicità sulle riviste. All'epoca fa meno scalpore, perché la Dakar è molto seguita e certe cose sembrano normali. Una moto così si presta non solo a partecipare a quella gara, ma anche ad affrontare viaggi dalla durata infinita, nei posti più remoti della Terra, anche oltre Gaggino Faloppio.

Intorno al 1998 la Ténéré 660 e la Super Ténéré 750 escono di produzione. La Dakar non interessa più le folle, le enduro stradali neanche. Rimangono però molti appassionati, quelli veri, che si divertono ad affrontare lunghi giri che comprendano sia asfalto, sia sterrato: si sentono orfani. Un po' tutte le Case abbandonano il filone dakariano; Honda resisterà fino al 2002, con l'Africa Twin. Le dual sport monocilindriche spariscono di scena, le bicilindriche diventano molto più grosse, potenti e stradali. Solo KTM va controcorrente, con la sua 950 Lc8 Adventure. Tra il 2006 e il 2007, però, avviene una sorta di rinascimento, perché BMW, Yamaha e KTM presentano una serie di enduro stradali con forti connotati fuoristradistici. BMW ne propone tre (G 650 Xchallenge, F 800 GS e HP2), KTM due (690 Enduro e 950 Superenduro) e Yamaha due (WR250R e XT660Z Ténéré). Il mito della Dakar è molto sbiadito (o meglio, continua ad appassionare i veri appassionati, ma al bar a prendere l'ape adesso ci si va con le naked), ma sono i primi semi di un nuovo fenomeno che vedrà la gente desiderare moto on-off non per sognare il Lago Rosa, ma per poterle usare veramente per quello che sono. Tra il 2006 e il 2009 nascono eventi specificatamente dedicati alle maxienduro, come la Sette Guadi e la Hardalpitour. Soprattutto la Hat farà nascere il boom di questo genere di manifestazioni, che verranno catalogate dalla FMI sotto il termine Adventouring e daranno un senso concreto alle maxienduro.

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La Ténéré 660 è un graditissimo ritorno, anche se, all'inizio, siamo scettici. La moto, infatti, arriva poco dopo la XT660R, che ha deluso i fuoristradisti per via di alcuni particolari come lo scarico che passa sotto al motore, la carrozzeria con rivetti in plastica al posto delle viti, il tubo del radiatore dell'acqua che sembra quasi studiato apposta per agganciarsi ai rami. 

Va detto che, nel frattempo, noi appassionati delle dual sport siamo frustrati e sfiancati dalla scomparsa di quelle leggere, a favore di motone sempre più grosse, per cui siamo diventati meno pretenziosi. Nel 1990, quando è stata presentata la Ténéré 660, abbiamo commentato con uno stizzito: "Maledizione, pesa quasi 200 kg". Nel 2007, quando compare la nuova versione, diciamo: "Ottimo! Pesa meno di 200 kg". Nel frattempo, in Italia è nata una corrente razzista verso i motori monocilindrici, accusati di essere inadatti ai lunghi viaggi per via delle prestazioni modeste e delle vibrazioni. Lo afferma persino chi non ne ha mai guidato uno in vita sua, specialmente quelli che non sono mai andati in moto ma che hanno l'idea che sotto ai 100 CV non sia possibile vita sulla Terra. Nonostante ciò, la Ténéré ha un discreto successo e chi la possiede i lunghi viaggi ce li fa veramente, senza alcun problema. Ed anche questo motore, come il precedente 660, passa i 100.000 km senza problemi. Tuttavia, già nel corso del 2014, quando esce la Yamaha MT-07, girano voci che il suo motore da 690 cc equipaggerà la Ténéré del futuro. Si noti: non la Super Ténéré, che era nata da 750 cc: questa moto è tornata in vita nel 2010, ma con una cilindrata di ben 1.200 cc. Perché i tempi si sono fatti moderni e quella che un tempo era una maxi adesso è una media. Girano anche voci relative a una Super Ténéré equipaggiata con il tre cilindri della Tracer 9.

Si capisce che la Ténéré 660 non avrà un gran futuro quando nel 2014 esce la versione con ABS, ma non viene importata in Italia. 

In effetti, nel 2016 la simpatica pompona esce di scena. Ci piace molto, perché il suo mono pulsa come i vecchi pentoloni anni 80. Sensazioni antiche. Forse troppo antiche, per i motociclisti di oggi, per i quali i motori devono avere non meno di due cilindri. Sicché, nel 2016 siamo in attesa che succeda qualcosa. Ed è brevissima perché, ad Eicma dello stesso anno, Yamaha presenta, a sorpresa, un concept strabiliante.

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Di nuovo ci esce la frase "Cos'è 'sta roba?" detta a proposito della prima 660 ma, questa volta, è in termini di pura esaltazione.

La moto si chiama T7 e si pensa subito alla contrazione di Ténéré 700. Siamo ipnotizzati da quel grosso serbatoio in alluminio spazzolato, dalla generosa corsa delle sospensioni, dallo splendido look da moderna dakariana 450 ma con motore bicilindrico (è proprio quello della MT-07, come si vociferava). Saliviamo. Vogliamo sapere se andrà in produzione o se sarà soltanto un mero esercizio di stile, ma siamo scettici, temiamo che sia vera la seconda ipotesi. Ci sono cose che non tornano: è troppo estrema per poter essere plausibile di un'entrata in produzione. La cosa che meno ci convince è il motore stradale della MT-07, per via della coppa profonda piazzata in basso. In generale, i motori da strada l'hanno in quella posizione perché è il modo più pratico di mettere l'olio (c'è il contributo della forza di gravità e poi abbassa il baricentro). Ma rendono più sviluppato un propulsore in senso verticale. Dato che sulle enduro serve avere tanta luce a terra, mettere a tanti cm dal suolo un propulsore già alto di suo non è la migliore delle soluzioni. La coppa piatta costringe a cercare un altro posto dove mettere l'olio e anche a un superiore lavoro delle pompe, ma KTM l'ha adottata per i suoi bicilindrici 790/890 proprio perché, oltre che sulle stradali Duke, sarebbero finiti anche sulle enduro Adventure. Moto Guzzi ne ha realizzata una meno sporgente verso il basso per la sua V85 TT. Aprilia, addirittura, nel progettare il suo 660 bicilindrico ha messo la coppa profonda sulle stradali RS e Tuono e quella piatta nella Tuareg. Stranamente, Honda ha scelto la coppa profonda sulla sua Transalp.

In ogni caso, Yamaha dichiara che la T7 non è un esercizio di stile, ma un concept destinato alla produzione di serie.

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Nel 2017 la Hardalpitour è giunta alla nona edizione ed è uno dei più carismatici eventi europei dedicati alle maxienduro. Per questo Yamaha la elegge palcoscenico ideale per presentare di nuovo la sua T7, nella cornice del teatro del casinò di Sanremo.

Due mesi dopo, ad Eicma 2017, viene presentato il prototipo di quella che sarà la moto di serie. Anche se buona parte delle sovrastrutture sono in fibra di carbonio, ha un aspetto molto meno radicale e... sì, sembra una moto di produzione, adesso. La cosa strana è il serbatoio da appena 16 l: come fa una moto che si chiama Ténéré a non avere una cisterna?

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L'aspetto è molto diverso: più snella, più bassa. Meno affascinante, ma comunque bella e personale. Cambia anche il telaio: è un doppia culla che è stato realizzato in diverse versioni, alla ricerca della massima resistenza. Si nota subito come per avere un'adeguata luce a terra, compatibilmente con la coppa profonda, per contenere l'altezza da terra della sella quest'ultima è poco imbottita. E il grosso dislivello tra lei e il serbatoio conferma che c'è tanta massa messa in alto. Le discussioni di sprecano, ma la moto affascina parecchio.

Passa un altro anno e la moto definitiva non viene presentata ancora. C'è grande attesa per Eicma 2018, Pochi giorni prima, girano i video di un evento promozionale a tappe, in giro per il Mondo, che si chiama come la moto: Ténéré 700 World Raid.

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La prima tappa vede il pilota dakariano ufficiale Yamaha Rodney Faggotter, australiano, percorrere 1.200 km nella sua terra, da da Hervey Bay a Dubbo, in compagnia di un gruppo di appassionati di Ténéré, ciascuno in sella a mezzi delle generazioni precedenti.

Per me che sto scrivendo tutta 'sta spataffiata, però, la fase più interessante è sicuramente quella europea. 1850 km, dalla Gran Bretagna all'Italia, con in sella cinque testimonial, tra piloti e grandi viaggiatori: Nick Sanders, Herbert Schwartz (da non confondere con Kevin Schwantz), Cristòbal Guerrero, Alessandro Botturi e David Frétigné. Perché dico che è la più interessante? Perché Botturi e Fretigné, ex enduristi passati alla Dakar, come World Raid devono affrontare la Hardalpitour. Confesso che, per come la vivo io, facendo la Extreme da 850 km dormendo 3 ore su 48, non sono esaltato da come venga affrontata dai dakariani moderni. Per me è la Dakar dei poveri, quindi mi ci impegno tanto, non avendo i soldi e l'abilità per fare quella vera; per loro è un evento promozionale, lo fanno perché ce li mandano, affrontano solo la Classic (550 km) e dormono in albergo anziché farsi tutta la notte in sella. Mi si pone così il problema se seguire il cuore (fare la Extreme) o la testa (fare la Classic, tagliando pezzi, in modo da fotografare Botturi e Fretigné in sella alla Ténéré: è la prima volta che la si vede in azione in Italia). Scelgo il cuore e faccio bene, perché il Destino mi dà una grossa mano.

Casinò di Sanremo, venerdì sera, briefing della Hat: la Ténéré è ancora l'ospite speciale. Botturi e Fretigné si fanno un selfie.

Succede che, se Botturi e Fretigné fanno la Hat Classic a cannone, arrivano a Sestriere così presto che possono permettersi di riposare un po', mangiare e poi, nel pomeriggio della domenica, salire sul Col Basset per fare foto in azione per conto della campagna di lancio di Yamaha. Se, invece, Mario Ciaccia fa la Hat Extreme, fermandosi continuamente per fare le foto, arriva ultimissimo sul Col Basset, così tardi da beccare Botturi e Fretigné che fanno lo shooting per Yamaha. Non ci posso credere. Dalla parte opposta del passo mi vedo arrivare una moto aliena, a schioppo, con un frontale mai visto e un pilota che guida come un demonio. "Mr Alessandro Botturi, I suppose". Mi riconosce e dice: "Se vuoi fare qualche scatto, fa' pure". Botturi è un grande, come pilota e come uomo.

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Quindi questo è Alessandro Botturi, un campione che non ha bisogno di presentazioni...

Insomma, siamo sempre lì a farci le pugnette, "Eh ma ha la coppa profonda, è troppo alta di baricentro, sarà inguidabile" poi vedi come guidano i supermanici e ti vergogni. Alla fine è sempre una questione di polso destro. E ancora, in questa fase, dobbiamo vedere i devastanti video di Ivan Boano che fa cose turche, con questa moto... Il problema è che il mio polso destro, così come quello di un sacco di appassionati che conosco, non è così valido. Per cui sì, anche se Boano e Botturi fanno numeri pazzeschi, io so che per me le cose non sono così facili e, quindi, le perplessità sulla T7 restano. La moto definitiva viene presentata ad Eicma 2018 ed è identica a quella guidata da Alessandro alla Hat, ma con la plastica al posto della fibra di carbonio e con lo scarico silenziato.

Ovviamente non dormiamo, la notte, all'idea di guidarla. I primi colleghi che partecipano alle presentazioni ufficiali tornano con due diverse opinioni, a seconda della loro inclinazione per il fuoristrada: si va da un "è una figata pazzesca" a "andrebbe molto meglio se non fosse così sbilanciata verso il fuoristrada". L'occasione per provarla tutti quanti insieme è rappresentata dalla comparativa per maxienduro del luglio 2019 in Carnia, una delle più belle mai realizzate.

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A bocce ferme: esteticamente siamo tutti d'accordo, è bellissima e originale, niente da dire. I pregiudizi prima di arrampicarci sulla sua groppa si vedono tutti in questa foto: la sella poco imbottita, il motore sviluppato troppo in verticale e la gran massa piazzata in alto, con la benzina posta parecchio più su della sella.

Torniamo dalla Carnia con la certezza che la nuova Ténéré sia una moto davvero strana, fuori dal branco. Esaltante da tantissimi punti di vista, ma carente in altri. Nella sua categoria le moto sono più equilibrate, più di compromesso. Eppure viene da perdonarle di tutto, compresa la scarsa dotazione elettronica, che le permette di costare meno delle rivali. Niente ride-by-wire, niente cruise control, niente control traction, niente mappature motore, niente riding mode, niente controllo freno motore, niente aiuto partenze in salita, niente anti wheeling, niente strumentazione TFT, niente connessione con lo smartphone. L'ABS funziona benino, ma non è allo stato dell'arte come quello delle KTM, che è molto meno invasivo. Inoltre si può escludere completamente, ma non parzialmente, quando sarebbe molto meglio poterlo escludere dietro ma non davanti. Solo che, mentre con le altre impazziamo ogni volta che spegniamo il motore, perché poi tutti i controlli si resettano da zero e in fuoristrada vanno tolti, qua si fa tutto serenamente: bisogna ricordarsi soltanto di escludere l'ABS in fuoristrada, per il resto è una moto all'antica. Sbagliamo, siamo dei vecchi matusa che rifiutano il progresso? Forse. Ma spippolare su tre o quattro tasti tutte le volte che si riaccende un motore fa uscire di testa. I cerchi non sono tubeless, cosa normale sulle moto da fuoristrada.

Nel settembre 2019 Yamaha organizza una Hardalpitour per giornalisti, dove mettere alla frusta la Ténéré. Ovviamente si tratta di una Hat ingentilita, a misura stampa: niente trasferimenti autostradali, percorso Classic e notte in albergo. Io però chiedo di poterla fare come sempre, cioè partendo e tornando da/a Milano e facendo il percorso Extreme, con le due notturne di fila. Come già spiegavo parlando delle Honda CRF300, si tratta della prova migliore per valutare una moto in ottica dual sport.

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Per il terzo anno di fila, una Ténéré finisce sul palco del briefing della Hat. Questa volta è la moto di serie e a presentarla c'è addirittura Franco Picco, in assoluto uno dei dakariani più leggendari.

Ovviamente un'esperienza così permette di conoscere una moto molto meglio che durante una comparativa. Nel caso di queste, infatti, saltare al volo da una moto all'altra ti permette di cogliere i tratti peculiari e le differenze rispetto alle altre ed è giusto che sia così. Ad una Hat, invece, ti assuefai alla moto, adattandoti ai difetti. Ma capisci veramente se potrai amarla, addirittura comprarla. Allora lo dico: "Ragazzi, Yamaha è pazza a mettere in commercio una moto così. La compreranno all'inizio, poi si lamenteranno che è alta, scomoda e senza elettronica. Tempo un anno e uscirà quella bassa, pesante e complicata. Compriamola prima che sia troppo tardi!". I fatti mi smentiranno. Io decido di comprarla perché la voglio proprio così: ignorante, spartana e senza elettronica. Anche se il serbatoio da 16 l mi sembra oltraggioso: una Ténéré se ne merita almeno venti! Ma non mi decido sulla livrea. Nera, blu/grigia, bianca/rossa, non mi convince nessuna tra le tre. Allora succede una cosa che mi spinge a rompere il porcellino di porcellana.

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Già, succede che, durante l'estate 2020, Yamaha presenta la versione Rally Edition, con gli stessi colori delle Yamaha Sonauto che correvano alla Dakar fin dagli anni Ottanta, con la livrea celeste delle sigarette Gauloises. 

E poi, ecco, a essere sincero: livrea a parte, di rallystico c'è poco. Rispetto alla T7 "normale", il paramotore è migliore, la sella è in un unico pezzo, gli indicatori di direzione sono più compatti. C'è il costosissimo scarico Akrapovic in titanio, che pesa di meno ma non offre prestazioni migliori: parola del nostro banco. La moto è leggermente più silenziosa. Tuttavia, lo scarico in titanio si rivelerà una manna, perché decido di montare i telaietti reggisella e scelgo i Givi per un motivo preciso: sono compatibili con un portapacchi Givi che permette di ospitare al volo un lucchetto Abus di quelli fighi che, per puro caso, è già in mio possesso. Ma tali telaietti finiscono troppo vicini allo scarico. Se fosse quello di serie, mi si scioglierebbero le borse. Invece è in titanio e non si scalda. In ogni caso, io a una Ténéré Rally avrei messo un serbatoio da almeno venti litri, sospensioni più sofisticate e un portatarga più robusto. Altre modifiche: monto cerchi Excel Takasago, li trasformo in tubeless, faccio aggiungere una pompa elettrica dell'acqua perché con quella di serie sono sempre a 109° (code ai semafori, fuoristrada) e faccio eseguire la modifica alla centralina per ingrassare la carburazione ed eliminare l'on off (che però resta tale e quale). Ah, sostituisco anche il portatarga di serie con quello specifico da fuoristrada presente nel catalogo degli accessori: ma spiegatemi perché, tra i miei amici, l'unico ad averlo montato sono stato io... e sono pure l'unico fesso che ha perso la targa. Quello di serie sembra più robusto...

Un'altra cosa che vorrei fare è montare un parafango alto, perché con quello basso, se c'è fango argilloso, la ruota anteriore si blocca e io casco per terra. Ma non è facile montare un vero parafango alto, perché va rivisto anche il percorso dei tubi idraulici dei due freni a disco anteriori. C'è chi lo fa, però.

Le mie previsioni sullo scarso successo che avrebbe avuto questa moto risalgono al 2019. Quattro anni dopo, direi di essere stato pienamente smentito. La moto si vende molto bene, eppure è sempre alta e scomoda. La maggior parte di chi la compra ci fa le stesse cose che farebbe con la Tracer7, ma la usa anche tanta gente brava in fuoristrada. Se ne vedono tantissime alle varie manifestazioni per bicilindriche: Hardalpitour, Transitalia Marathon, Queen Trophy, Mille Sassi, Magnifica del Garda, CR22, Sterrare è Umano, Swank Rally e tante, tante altre.

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Pol Tarres, nipote del sette volte Campione del Mondo di trial Jordi Tarres, è nipote d'arte e anche lui ha fatto trial, prima di passare all'enduro estremo. Poi è stato ingaggiato da Yamaha per dimostrare che razza di prodezze si possano fare con la Ténéré... se ne sei capace. 

Nel corso del 2022 si aggiungono delle rivali davvero toste, come l'Aprilia Tuareg 660, l'Husqvarna Norden e la Ducati Desert X: altrettanto valide in fuoristrada, ma molto più complete dal punto di vista dei componenti e dell'elettronica. Inoltre, KTM ha rimpiazzato le sue 790 con le 890, molto più potenti ai bassi regimi. Quindi la domanda è: che farà Yamaha? E la risposta è destinata a spiazzare.

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La risposta si chiama World Raid ed alza ancora di più l'asticella in direzione del fuoristrada. Apparentemente è la moto da viaggio, equipaggiata con un doppio serbatoio da 23 l che, finalmente, onora la reputazione del nome che ci sta scritto sopra. Ma a quello aggiunge un nuovo reparto sospensioni con corsa maggiorata, rivestimento Kashima per migliorare la scorrevolezza, taratura più sostenuta e maggiori possibilità di regolazione. Ammortizzatore di sterzo, pedane più larghe, ABS escludibile anche soltanto dietro, nuova strumentazione TFT connettibile allo smartphone, protezione aerodinamica maggiorata. Stupisce il paramotore: al posto di quello molto protettivo della Rally si preferisce aggiungere due estensioni a quello di serie.

Quindi che moto è questa World Raid? Per com'è fatta, secondo noi è questa che andava chiamata Rally Edition ed è a lei che andavano dedicate le livree evocative (alla celeste del 2020 s'è sostituita la bianca e rossa del 2022). Inoltre, le sue novità vanno in tre direzioni: una verso prestazioni superiori in fuoristrada (le sospensioni, le pedane, l'ammortizzatore di sterzo), una verso i viaggi (parabrezza più protettivo, serbatoio maggiorato), mentre la terza via è quella dell'aggiornamento di freni e strumentazione. che andrebbe esteso a tutta la gamma. Cosa che, in effetti, succede sulla base e sulla Rally Edition presentate ad Eicma 2022. Fin da subito, però, ci domandiamo se abbia senso abbinare per forza le sospensioni a lunga escursione al serbatoione. La World Raid fa gola sia ai viaggiatori che vorrebbero toccare bene per terra, sia a chi fa fuoristrada impegnativo ma non ha bisogno di raggiungere i 500 km di autonomia. Mentre ci domandiamo tutto ciò, arriva la notizia che aspettavamo da anni. Come ben sapete, alla Dakar prima hanno vietato le bicilindriche, poi le moto oltre i 450 cc, snaturando parecchio il fascino di una competizione che viveva sulla sfida delle motone da deserto. Per cui, saggiamente, alla sua grande rivale - l'Africa Eco Race - questi limiti non li hanno messi e così si sono già visti piloti molto forti gareggiare con maxienduro: Paolo Ceci uber alles, con la Honda Africa Twin.

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Nel 2022 però Yamaha si rivela la prima a schierare nei rally un team ufficiale basato soltanto su moto bicilindriche. Nel 2022 ha corso la sua ultima Dakar con le 450, poi ha annunciato il ritiro. Il suo ragionamento è che le 450 sono dei prototipi che non hanno collegamenti con la produzione di serie, mentre le maxienduro sono le moto più vendute in molti Paesi. Il team è composto da Alessandro Botturi e Pol Tarres. 

C'è grande fermento. Sembra di tornare agli anni Ottanta, quando c'erano le bicilindriche che battagliavano per arrivare prime a Dakar. A Yamaha s'è aggiunta Aprilia, che correrà l'Africa Eco Race con Jacopo Cerutti e Francesco Montanari. Pensate se dovessero entrare anche Ducati, Honda, Triumph, KTM/Husqvarna, MV Agusta, Suzuki, Kove...

Ma veniamo all'oggi: pochi giorni fa Yamaha ha presentato le ultime versioni della Ténéré 700, ovvero la Extreme Edition e la Explore Edition.

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La Extreme Edition è la risposta alla domanda "per avere le sospensioni fighe devo per forza sposare anche il serbatoione?". No: adesso c'è questa, che in pratica è una Ténéré base equipaggiata con le sospensioni fantastiche della World Raid. In più ci sono le pedane maggiorate in titanio.

La Explore Edition è, invece, la Ténéré destinata a chi vuole affrontare lunghi viaggi in terre lontane, quindi un fuoristrada finalizzato non al divertimento puro o alle gare, ma al raggiungimento di posti meravigliosi.

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Sostanzialmente è una moto che ha, di serie, il kit di abbassamento sella + sospensioni, che perdono 20 mm di escursione. Il mono posteriore, come sulle sorelle, adesso permette la regolazione del precarico da remoto.

Quindi oggi abbiamo cinque moto in gamma, ciascuna con cose che farebbero gola alle altre. I prezzi sono aumentati parecchio, di recente. La versione base costa 11.250 euro chiavi in mano e potrebbe subire la concorrenza della nuova Honda XL700 Transalp, che ha un'impronta un po' più stradale, è più potente, ha un'elettronica completa e costa un po' di meno. La Suzuki V-Strom 800DE è un'altra rivale formidabile: ciclistica orientata al fuoristrada, motore più potente, comparto elettronico ricco e prezzo di poco superiore. Poi c'è la sua rivale diretta, l'Aprilia 660 Tuareg, ben più dotata dal solito punto di vista delle chicche elettroniche: ma costa mille euro in più, la differenza inizia a farsi significativa. Ci piace che le Ténéré abbiano un'elettronica semplificata al massimo, ma il controllo di trazione renderebbe la moto più sicura, per cui lo metteremmo. La Rally Edition ha due cose che anche le altre possono avere, a richiesta (paramotore e scarico in titanio) ma la livrea che si ispira alle Dakar anni 80 ce l'ha solo lei. A questo punto, noi elimineremmo questa moto dalla gamma ed estenderemmo la sua livrea a tutte le sorelle. Costa 12.750 euro. La Explorer Edition è la più bassa (ma il kit di abbassamento c'è anche per base e Rally Edition) ed è l'unica con il quick shifter di serie, che le altre possono avere a richiesta. Perché sia ancora più da viaggio di com'è adesso, però, vorremmo una sella più comoda e il serbatoione della World Raid. Prezzo 12.050 euro. La Extreme Edition è centrata: è una base con le sospensioni a lunga escursione. Ovviamente ci piacerebbe ancora di più se venisse equipaggiata con un vero parafango alto, il paramotore della Rally Edition e il quick shifter di serie. Costa 12.150 euro. Infine, la World Raid è la Rolls-Royce della casa, con le sospensioni della Extreme, il serbatoio maggiorato e l'ammortizzatore di sterzo; costa 13.350 euro. Visto che si tratta del top di gamma, sarebbe bello se avesse anche il paramotore della Rally, il quick shifter e la livrea epica.

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