A IFMA (l’odierno Intermot) le Katana non passano inosservate, suscitando reazioni contrastanti. La GSX 650 S/ED-1 è interessante ma piuttosto anonima se paragonata all’altro prototipo che la affianca. Il suo 4 cilindri bialbero con testa ad otto valvole ha la trasmissione ad albero cardanico che contrasta con l’indole sportiva della motocicletta. La sua linea aggressiva sfoggia una colorazione e degli abbinamenti cromatici squisitamente teutonici, che vanno dal serbatoio e fianchetti in grigio metallizzato abbinati ad una sella bicolore rosso/nera, a cerchi in lega verniciati di bianco e a pinze freno rosse. Così come sono rosse anche le molle degli ammortizzatori posteriori e la campanatura dei dischi freno. L’ED-1 appare già molto curata nei particolari, quasi un esemplare di pre-serie definitivo. E infatti entrerà in produzione solo con lievissime modifiche rispetto al prototipo esposto a Colonia. La GSX1100S è invece ancora un mock-up allestito sul motore e la ciclistica della GSX1100E presentata meno di un anno prima e con cui si è ampliata la gamma GSX. Con questo modello, la nuova maxi condivide il 4 cilindri bialbero a 16 valvole con camere di scoppio tipo TSCC a doppio vortice, di cui la Suzuki ha comprato i brevetti dall’ingegnere italiano Vincenzo Piatti. In questa versione è stato leggermente “pepato” (1.075 cc; 101 CV/8.500 giri; 9,34 kgm/6.500 giri; 243 kg) per consentire alla Katana di superare i 230 km/h dichiarati dalla Casa. Quello che colpisce è però la linea del secondo prototipo, molto più aggressiva e proiettata verso la grossa ruota anteriore da 19” rispetto alla 650. Dietro invece troviamo una ruota in lega da 17”, un diametro che nessuno ha mai montato su una supersportiva e nemmeno su di una moto da GP.
SENZA COMPROMESSI
In poche parole la Katana è senza compromessi: la si ama o la si odia. Infatti, proprio l’ingegner Piatti, interpellato in merito, ne dà sulle pagine di Motociclismo un giudizio profeticamente negativo: “La Suzuki Katana è stata affidata a degli stilisti che ce l’hanno messa tutta, concentrando i loro sforzi sulla parte alta della moto che appare appesantita. Magari avrà sicuramente successo, ma a me non è piaciuta. E mi domando se l’aumento della superficie nelle parti alte, esposte al vento laterale per esempio, non sia nocivo ai fini della stabilità”. Il cupolino, privo di qualsiasi unghia protettiva in plexiglas (che si può però aggiungere), ha forme spigolose mai viste, ed è sormontato da un faro rettangolare, sovrastato a sua volta dalla strana e compatta strumentazione che è vincolata al manubrio. Il manichino ha lo scarico 4 in 1 e la forcella priva di impianto antiaffondamento, particolari che verranno modificati una volta avviata la produzione. Secondo le intenzioni della Suzuki, il primo modello ad inaugurare le linee di montaggio della serie Katana dovrebbe essere la 650, mentre per la 1100 si parla addirittura del 1982. Il condizionale è d’obbligo, perché l’enorme interesse suscitato dal prototipo di maggior cilindrata convince la Casa di Hamamatsu a metterli entrambi in produzione già nei primi mesi del 1981. La GS650G Katana (673 cc, 65 CV) viene destinata però al solo mercato giapponese, sostituita in Europa da una versione di minor cilindrata, chiamata GS550EM che sfrutta interamente la meccanica della GSX 550 ed è esteticamente identica al prototipo pre-serie ED-1 esposto a Colonia, ma con un’importante modifica tecnica: la trasmissione finale a catena. La 1100 invece subisce qualche ritocco estetico e meccanico prima di raggiungere la rete di vendita.