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"L'ultimo pensiero prima del semaforo verde era: dove cenerò stasera?”

In un'intervista esclusiva Kevin Schwantz ci racconta alcuni aneddoti della sua carriera, la rivalità con Doohan e quella con Rainey, il sorpasso della vita, le gioie e i dolori della sua carriera…
1/38 Kevin Schwantz nel 1994, alla guida della mitica Suzuki RGV Gamma 500 XR84 Lucky Strike con cui tentò di difendere il titolo iridato vinto l'anno precedente.
Ti è mai capitato di avere paura durante le gare?
“Solo nel 1995, (l’anno del suo ritiro dalle corse, ndr). Direi che non è corretto parlare di paura, semplicemente prestavo attenzione a cose che in precedenza mi erano indifferenti. Per esempio la vicinanza dei guardrail. Avevo visto Rainey ferirsi gravemente a Misano nel ’93, e nel ‘94 avevo subìto io stesso degli infortuni; avevo timore di farmi male di nuovo. Già in Giappone sul bagnato venivo passato da un sacco di piloti che in altri momenti non avrei avuto difficoltà a lasciarmi alle spalle. Ho provato per qualche gara, poi ho detto basta”.

A cosa hai pensato nel 1993 quando Doohan, cadendo, ti ha letteralmente falciato?
“Purtroppo sono cose che possono capitare in gara. In quel momento, mentre rotolavo, sentivo dolore, pensavo di essermi fatto male sul serio. Sono rimasto lì seduto sull’asfalto qualche istante, poi ho pensato bene di togliermi di mezzo e mettermi al sicuro, cosa che Mick stava già facendo saltellando e zoppicando per i postumi del suo bruttissimo incidente del ’92”.

Qual è il tuo sorpasso della vita?
“Hockenheim 1991. (Domanda banale: Kevin sorride, ma ha la faccia di chi… ha risposto un milione di volte al quesito, ndr)”.

Chi è il pilota più forte con cui ti sei mai battuto?
“Wayne Rainey”.

Vi odiavate tu e Rainey?
“Wayne ed io, alla nostra stagione di esordio nel 1987 (Kevin aveva corso qualche gara nelle stagioni ’86 e ’87, ma non con continuità, ndr) imparammo a rispettarci: io vinsi la prima gara a Suzuka, replicai al Nürburgring, lui vinse a Donington. In seguito mi disse che quei primi mesi di Mondiale furono i peggiori della sua vita; la mia vittoria a Suzuka lo aveva destabilizzato, gli avevo reso la vita più difficile. C’era ostilità, persino odio, inutile negarlo”.

Qual è stata la gara più difficile della tua carriera?
“Quando Wayne si infortunò (Misano 1993, ndr); certo, durante il Gran Premio non sapevo che si fosse ferito in maniera così grave. Sembrava assolutamente una scivolata banale e senza conseguenze. Poi, al termine della gara, mi fu detto che non avrebbe mai più potuto correre. Mi sembrava talmente inverosimile che arrivai a pensare ad una assurda strategia di Yamaha, una bufala, per farmi deconcentrare in vista della gara successiva a Laguna Seca dove, tra l’altro, Wayne mi ha sempre battuto. Purtroppo non era così”.
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Quanto condizionò l’incidente di Rainey la tua scelta di abbandonare le gare?
“Dopo l’incidente di Wayne ero scosso, ma dissi a Suzuki che avrei comunque fatto del mio meglio (Kevin vinse il titolo mondiale, ndr). Nel ‘94 vinsi un paio di gare, a Suzuka e Donington Park, ma il binomio Honda-Doohan era veramente al top”.

Com’è nata l’idea di correre col suo casco alla 8 Ore di Suzuka?
“Beh, il rientro nelle competizioni dopo tanti anni mi sembrava l’occasione giusta per fare un tributo al mio storico rivale. Arai non ne fu affatto felice, (Kevin è uomo immagine da sempre di Arai, ndr), io sì”.

Qual era il tuo ultimo pensiero prima del semaforo verde?
“Il mio era: dove cenerò stasera? Dove si festeggerà dopo la gara? In genere il mio approccio con le gare è sempre stato molto easy. Giusto concentrarsi e lavorare sodo, ma anche svagarsi e scherzare all’interno del paddock era il mio modo di fare. Altri piloti, come lo stesso Rainey, non volevano essere avvicinati da nessuno e restavano concentrati tutto il weekend”.

Hai sempre corso per Suzuki: ti ha mai contattato un’altra Casa?
“Alla fine della stagione ’89 scrissi ad Agostini dicendo che avrei voluto correre per Yamaha, ma solo nel caso avesse potuto garantirmi una moto ufficiale. Mi rispose che Kenny Roberts e i suoi piloti (Lawson e Rainey, ndr) avrebbero ottenuto moto e supporto totale; i vertici Yamaha furono onorati della mia richiesta, ma gli accordi con Roberts e i suoi piloti erano cosa fatta. Honda aveva già Gardner e Doohan, quindi rimasi in Suzuki. Ci fu un’altra occasione in cui mi guardai intorno: era la fine del 1991 e parlai con Erv Kanemoto per guidare una Honda, ma non si arrivò a nulla”.

C’è qualche decisione presa che, col senno di poi, cambieresti?
“No, direi di no. Forse un paio di gare che ho buttato via, ma scelte importanti no”.

Avevi un idolo?
“Barry Sheene è stato colui che mi ha spinto a salire su una 500 da Gran Premio, ma da ragazzo seguivo prevalentemente il cross. I miei genitori avevano una concessionaria Yamaha e mi capitò di incontrare Kenny Roberts: guidava davvero come un astronauta! Era un pilota formidabile”.
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