a cura della redazione - 27 July 2018

"L'ultimo pensiero prima del semaforo verde era: dove cenerò stasera?”

In un'intervista esclusiva Kevin Schwantz ci racconta alcuni aneddoti della sua carriera, la rivalità con Doohan e quella con Rainey, il sorpasso della vita, le gioie e i dolori della sua carriera…

Quanto condizionò l’incidente di Rainey la tua scelta di abbandonare le gare?
“Dopo l’incidente di Wayne ero scosso, ma dissi a Suzuki che avrei comunque fatto del mio meglio (Kevin vinse il titolo mondiale, ndr). Nel ‘94 vinsi un paio di gare, a Suzuka e Donington Park, ma il binomio Honda-Doohan era veramente al top”.

Com’è nata l’idea di correre col suo casco alla 8 Ore di Suzuka?
“Beh, il rientro nelle competizioni dopo tanti anni mi sembrava l’occasione giusta per fare un tributo al mio storico rivale. Arai non ne fu affatto felice, (Kevin è uomo immagine da sempre di Arai, ndr), io sì”.

Qual era il tuo ultimo pensiero prima del semaforo verde?
“Il mio era: dove cenerò stasera? Dove si festeggerà dopo la gara? In genere il mio approccio con le gare è sempre stato molto easy. Giusto concentrarsi e lavorare sodo, ma anche svagarsi e scherzare all’interno del paddock era il mio modo di fare. Altri piloti, come lo stesso Rainey, non volevano essere avvicinati da nessuno e restavano concentrati tutto il weekend”.

Hai sempre corso per Suzuki: ti ha mai contattato un’altra Casa?
“Alla fine della stagione ’89 scrissi ad Agostini dicendo che avrei voluto correre per Yamaha, ma solo nel caso avesse potuto garantirmi una moto ufficiale. Mi rispose che Kenny Roberts e i suoi piloti (Lawson e Rainey, ndr) avrebbero ottenuto moto e supporto totale; i vertici Yamaha furono onorati della mia richiesta, ma gli accordi con Roberts e i suoi piloti erano cosa fatta. Honda aveva già Gardner e Doohan, quindi rimasi in Suzuki. Ci fu un’altra occasione in cui mi guardai intorno: era la fine del 1991 e parlai con Erv Kanemoto per guidare una Honda, ma non si arrivò a nulla”.

C’è qualche decisione presa che, col senno di poi, cambieresti?
“No, direi di no. Forse un paio di gare che ho buttato via, ma scelte importanti no”.

Avevi un idolo?
“Barry Sheene è stato colui che mi ha spinto a salire su una 500 da Gran Premio, ma da ragazzo seguivo prevalentemente il cross. I miei genitori avevano una concessionaria Yamaha e mi capitò di incontrare Kenny Roberts: guidava davvero come un astronauta! Era un pilota formidabile”.

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