Made in Italy giapponese
ITALIANA A discapito delle credenze e delle
aspettative popolari,
tra i grandi costruttori italiani si annovera, oggi, un noto
marchio
giapponese: la Honda. Eh già, appare un controsenso, ma nella
realtà dei fatti è proprio così. Infatti, la Honda Italia, filiale italiana
del colosso Giapponese Honda Motor Co., rivendica sempre più la sua
autonomia
giuridica, ma più che altro intellettuale, in un crescendo di
progetti e di prodotti, che scaturiscono ex novo dalla mete dei
progettisiti impiegati all'interno dello stabilimento italiano di
Atessa (CH). La storia è cominciata nel '78 ed oggi, nel 2007, sta
avendo un seguito con la produzione CBF 1000, iniziata nell'anno 2006,
e con la nuova Honda Hornet 600, versione 2007, totalmente
concepita ad Atessa, sia nel disegno, che nella produzione. Si potrebbe,
quasi, definire la Hornet 600 una moto totalmente italiana di proprietà
giapponese.
QUALITA' La nuova Hornet è stata fortemente voluta dal management
italiano della Honda, ma è stata costruita secondo gli standard
di qualità giapponesi, ai quali corrisponde il concetto di total
quality, una filosofia secondo la quale deve essere prestata una cura
praticamente maniacale verso la preparazione di ogni dettaglio. Ciò
implica che non vi siano sprechi e, nel contempo, non venga trascurato
nulla: tutto deve funzionare alla perfezione, tutto deve ssere pensato
in modo tale che possa continuare a funzionare anche nel caso in
cui si dovesse verificare un problema o si trovasse a dover lavorare in
condizioni particolari. Insomma, al metodo di lavoro giapponese non
sfugge veramente nulla.
CULTURE Il prodotto Hornet è quindi un'interessante interpolazione
di due differenti culture: il metodo giapponese, per quanto
concerne la parte industriale dell'opera, ed il bello italiano
per quanto riguarda lo stile e quel modo romantico di pensare
al lavoro, originatosi nelle officine artigianali che hanno fatto la
storia della cultura italiana dell'arte dei mestieri e delle corporazioni
e che ha avuto il suo culmine nell'Italia industriale del Dopoguerra, grazie
al quale, seppur all'interno di una catena di montaggio ed in grande numero,
le moto nascono e vengono preparate dagli operai come un pezzo unico,
quasi fossero figlie della loro inventiva.
Motociclismo ha provato su strada ed al banco la nuova Hornet 600
Il progetto
FIDUCIA Da dove arriva questa grande fiducia di Honda
giapponese
verso la filiale italiana? La risposta è stata fornita dal
VicePresidente
Silvio Di Lorenzo in base al principio della massima
qualità
secondo i dettami e la filosofia Honda. Il Project Leader
rimane
un giapponese (Wakita), ma nel team di progettazione c’è un
responsabile
europeo, Paolo Cuccagna che ci racconta i motivi per cui è stata
scelta l’Italia: “La Hornet è il modello piu’ importante
del mercato
europeo e la maggior parte delle unità sono vendute da sempre in Italia.
Per questo la HGA (l’R&D della Honda Motor Co., ndr) ha
pensato
sin dall’inizio di affi darla alla HRE-I (Ricerca e sviluppo della
sede italiana, ndr)”. Possiamo quindi definire la nuova Honda Hornet 600
un “orgoglio italiano”? "Perchè no, in fondo,
l’unica
parte che arriva dal Giappone è il motore".
CAMBIAMENTO Da quest'anno la nuda più venduta della Casa dell’ala
dorata abbandona il “vecchio” motore a carburatori a favore
dell’ultima
evoluzione del 4 cilindri a iniezione elettronica. La novità della
Hornet 2007 è però il telaio in alluminio. Per rendere la moto
immediatamente
riconoscibile la forma è simile alla vecchia ed è chiamata “back
bone” (spina dorsale). Il nuovo telaio in lega leggera quasi
non si vede perché nascosto dal serbatoio. Nella realtà, la sostanza
della moto è cambiata alla radice. Il progetto è partito nel 2003,
ma già dal 2001, quando la naked iniziò a essere prodotta in Italia, si
cominciò a pensare a come sarebbe dovuta essere l’erede.
E’ sempre Cuccagna a raccontarci della genesi della Hornet:
“Dopo
aver stabilito la direzione, gli schizzi sono cominciati nel novembre 2003
e uno di questi (realizzato proprio da Paolo Cuccagna, ndr) è stato
subito scelto e accettato dalla HGA (R&D Giappone). Successivamente
è stato ottenuto il benestare del Sales Manager italiano, Vito Cicchetti,
entuasiasta del progetto e direttamente coinvolto sin dall’inizio nella
realizzazione del concept. Nei primi mesi del 2005 è cominciato il modello
in clay(pasta per modellare, ndr)”. Impossibile pensare di stravolgere
un best seller, perché “squadra che vince non si cambia”. Allora
ecco
che il progetto, durato ben 4 anni, ha avuto come filo conduttore
la coesione di una linea che ricordasse, anche solo marginalmente, lo stile
Hornet, ma con contenuti tecnologici da riferimento. La moto, disponibile
a da gennaio, è prodotta anche in versione dotata di Abs.
SPORTIVA Il test che troverete in coda a questo mega-servizio è stato
fatto proprio sulla versione con sistema antibloccagio dei freni. La differenza
di prezzo tra le due versioni è di circa 600 euro. Guardando i primi bozzetti
usciti dalla matita di Paolo Cuccagna, si scopre un progetto incentrato
sulla sportività, linee tese, ma non spigolose e uno scarico basso
come va di moda oggi. Il richiamo della MotoGP, come massima espressione
della sportività a due ruote, è irresistibile per qualunque prodotto
che punti, anche in chiave stradale, al concetto racing. Le foto della
nuova MotoGP 800 di Honda ci mostrano un impianto di scarico completamente
interno alla carena, dove due sole feritoie ne rivelano la presenza.
I vincoli dati dal contenimento della rumorosità e delle emissioni (la
moto è Euro 3 e ha ben due catalizzatori) obbliga ad avere delle pance
sullo scarico, volumi sempre più importanti che fanno fare un giro
sempre più articolato ai gas di scarico, prima di arrivare al piccolo
silenziatore
a vista. Quest’ultimo è solo lo stadio finale di abbattimento dei
dB: tutto il resto rimane sotto il motore. La Hornet è la prima nuda ad
adottare una soluzione di questo genere e il risultato ci pare azzeccato,
anche grazie al preziosismo dell’impianto totalmente realizzato in
inox. Ma veniamo all’altro elemento chiave della nuova moto, il
telaio.
Viene realizzato dalla Verlicchi, sfruttando l’esperienza della fonderia
del Gruppo Marzocchi, ed è costituito da tre elementi fusi per gravità.
HI-TECH "Riuscire a convincere i giapponesi a lasciare la realizzazione
del telaio all'Italia" ci racconta il presidente di Honda
Italia Di Lorenzo, “è stata una guerra, ma alla fine hanno
ceduto”.
Le fasi di realizzazione del telaio si possono così riassumere: fusione,
trattamento termico, sabbiatura e lavorazioni meccaniche. Poi i tre
componenti giungono allo stabilimento di Atessa, dove vengono saldati da
saldatrici CNC (a filo continuo); il telaio viene poi messo sulla maschera
di controllo per la verifica dimensionale e quindi verniciato. Secondo
quanto dichiarato, il telaio pesa ha lo stesso peso di quello in acciaio,
perché dotato di spessori maggiori e nervature interne, ma risulta
molto più rigido.
Continue verifiche ai raggi X hanno permesso di modificare nel dettaglio
i processi di lavorazione. Fare una moto ex-novo lasciando invariato o
quasi il prezzo finale di acquisto, significa avere una grande esperienza
nel campo della produzione, perché è solo attraverso un processo produttivo
perfetto, dove gli sprechi di materiale, ore macchina e ore lavoro
sono ridotti al minimo, che si ottiene il miglior risultato. Gli italiani
di Atessa, in questo, sono molto giapponesi. Questa è l'ottica di
unificazione
degli standard produttivi di Honda nei suoi vari stabilimenti sparsi
per il mondo e di ricerca della qualità totale. Il risultato di
questo modo di operare all’interno dell’azienda è un prodotto che
può davvero competere, a livello qualitativo, con le migliori
realizzazioni
giapponesi.
Come va
SGUARDI Sempre lei. Cambia in tutto, però la riconosci a colpo
d’occhio.
Cambia in tutto, ma non nel modo di essere così amichevole e facile
fin da quando ti ci siedi in sella. Prima impressione: è una moto tutta
nuova. Seconda impressione: è una Hornet, te ne accorgi subito da quel
serbatoio. Terza impressione: il cupolino non convince, ma lo scarico
è da urlo. Ed ecco che come i bambini davanti all’albero di
natale, abbiamo scartato il regalo che ci hanno fatto ad Atessa, scoprendo
che il nuovo giocattolo ci piace, e molto.
Anche perché, nonostante solo l’esemplare color oro sia definitivo (quello
rosso che vedete in foto è uno degli ultimi prototipi dello sviluppo, per
cui non ha le saldature e altri particolari definitivi), la qualità
delle finiture è di alto livello. Ha l'aria della moto nuova, a cominciare
da quel motore lasciato orgogliosamente a vista e tutto nuovo: sembra
un 400, tanto che in Honda giurano che il 250 cc 4 cilindri che circola
in Giappone non è molto diverso, negli ingombri… Siamo di fronte a
tanta tecnologia, elettronica, meccanica e a un design che tutto sommato
convince già al primo sguardo. Bel risultato.
IMPRESSIONE Non resta che salire in sella. L’ergonomia a bordo
è tipica dei prodotti Honda. Tutto è al suo posto, la sella correttamente
imbottita dista il giusto dalle pedane (non troppo arretrate) e dal manubrio.
Il busto flette moderatamente in avanti, per una postura di guida di compromesso
tra lo sportivo e il comodo, così si può stare in sella anche molte ore.
Il pulsante di avviamento dà il via alla sinfonia del 4 cilindri 600 più
evoluto della storia Honda. Qui la differenza, tecnologica e di immagine
prima di tutto, è abissale rispetto al "vecchio" modello: in
luogo del pur valido motore a carburatori della CBR600F del ’97, c’è
l’unità della CBR600RR 2007 con corpi farfallati da 36 mm.
Dieci anni di progresso, tutti in una volta. L’avviamento è pronto
e lo scarico rilascia un alito di dB al minimo: solo da 7.000 giri
la tonalità diventa appagante per gli animi sportivi. Frizione morbida,
ma non particolarmente modulabile nelle partenze e cambio rapido e preciso
nella migliore tradizione nipponica. Crescono i giri e cresce senza strappi
e con una bella progressione anche la spinta del propulsore. I tecnici
Honda hanno lavorato sulla messa a punto del motore per dare maggior coppia
ai medi regimi rispetto alla versione che si trova sulla CBR, accreditata
di quasi 20 CV in più. Encomiabile la fluidità di marcia ai regimi
bassissimi,
si può spalancare da 1.500 giri senza avvertire rifiuti, salgono lentamente
i giri fino a una leggera flessione nella curva di coppia intorno ai
2.500 giri (che sia il regime di omologazione per la Euro 3?), per
poi riprendersi con discreto vigore. La spinta comincia a 4.000 giri e
poi è un crescendo costante che appaga e permette di viaggiare senza sforzo
fino ai 7.000 giri.
Qui inizia qualche vibra zione alle pedane, non particolarmente fastidiosa
e la spinta si fa sentire mentre l’ago del contagiri schizza a 10.000
giri. Oltre la spinta si fa furiosa, tanto che la potenza dichiarata
a 12.000 giri (il limitatore è posto 1.000 giri più in su) è di ben 102
CV. Il serbatoio appare più largo del precedente specialmente nella
parte anteriore e infatti vengono dichiarati 2 litri in più di capacità:
ora sono 19, anche se rimane la forma a "doppia sacca" data
dall’incavo
per il passaggio del telaio centrale, fatto che sul vecchio modello non
consentiva un pescaggio ottimale dell’ultimo paio di litri di riserva.
I cerchi in lega sono ora a 5 razze e non più a tre, mentre rimangono
inalterate le misure degli pneumatici 120/70 anteriore e 180/55 posteriore
(Michelin Pilot Power o Bridgestone BT-012), così come il peso dichiarato
di 179,3 kg (184,3 per la versione con Abs), ma ciò che si
avverte spostando la moto da fermi è un maggior peso della nuova moto.
Sensazione che svanisce alla prima curva, che si imposta davvero
col pensiero.
Lo sforzo di discesa in piega è minimo, così come è ottima la rapidità
nei cambi di direzione. Purtroppo non abbiamo potuto provare la moto
sul veloce, per cui rimandiamo le considerazioni sulla stabilità alla prossima
prova completa. L’impianto frenante differisce parecchio tra la versione
con Abs (da noi provata) e quella senza. La prima ha pinze anteriori a
tre pistoncini, la seconda a due. Nella versione Abs la frenata,
di tipo combinato (frenando dietro si ha un leggero aiuto anche davanti)
si è rilevata un po’ spugnosa, col risultato di un effetto non molto
diretto
tra la pressione alla leva e la forza decelerante. Buona, invece,
la potenza dell’impianto e strepitoso il funzionamento
dell’Abs.
Il comando del freno posteriore ha una corsa limitata e "mura"
presto, riducendo la sensibilità e obbligando a delegare all’Abs il
compito
di gestire l’aderenza. La forcella rovesciata è la stessa di prima, ma
ha una taratura leggermente più sportiva che assicura il necessario sostegno
in frenata e nella guida sportiva, anche se copia meno bene le piccole
asperità del fondo. Molto buono anche il comportamento del "mono"
posteriore, regolabile nel precarico della molla e privo di leveraggi come
prima, infulcrato su un nuovo forcellone in alluminio fuso.
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