22 February 2007

Honda Hornet 600 2007, la vera potenza.

Made in Italy giapponese




ITALIANA
A discapito delle credenze e delle aspettative popolari, tra i grandi costruttori italiani si annovera, oggi, un noto marchio giapponese: la Honda. Eh già, appare un controsenso, ma nella realtà dei fatti è proprio così. Infatti, la Honda Italia, filiale italiana del colosso Giapponese Honda Motor Co., rivendica sempre più la sua autonomia giuridica, ma più che altro intellettuale, in un crescendo di progetti e di prodotti, che scaturiscono ex novo dalla mete dei progettisiti impiegati all'interno dello stabilimento italiano di Atessa (CH). La storia è cominciata nel '78 ed oggi, nel 2007, sta avendo un seguito con la produzione CBF 1000, iniziata nell'anno 2006, e con la nuova Honda Hornet 600, versione 2007, totalmente concepita ad Atessa, sia nel disegno, che nella produzione. Si potrebbe, quasi, definire la Hornet 600 una moto totalmente italiana di proprietà giapponese.

QUALITA'
La nuova Hornet è stata fortemente voluta dal management italiano della Honda, ma è stata costruita secondo gli standard di qualità giapponesi, ai quali corrisponde il concetto di total quality, una filosofia secondo la quale deve essere prestata una cura praticamente maniacale verso la preparazione di ogni dettaglio. Ciò implica che non vi siano sprechi e, nel contempo, non venga trascurato nulla: tutto deve funzionare alla perfezione, tutto deve ssere pensato in modo tale che possa continuare a funzionare anche nel caso in cui si dovesse verificare un problema o si trovasse a dover lavorare in condizioni particolari. Insomma, al metodo di lavoro giapponese non sfugge veramente nulla.

CULTURE
Il prodotto Hornet è quindi un'interessante interpolazione di due differenti culture: il metodo giapponese, per quanto concerne la parte industriale dell'opera, ed il bello italiano per quanto riguarda lo stile e quel modo romantico di pensare al lavoro, originatosi nelle officine artigianali che hanno fatto la storia della cultura italiana dell'arte dei mestieri e delle corporazioni e che ha avuto il suo culmine nell'Italia industriale del Dopoguerra, grazie al quale, seppur all'interno di una catena di montaggio ed in grande numero, le moto nascono e vengono preparate dagli operai come un pezzo unico, quasi fossero figlie della loro inventiva.

Motociclismo
ha provato su strada ed al banco la nuova Hornet 600

Il progetto





FIDUCIA
Da dove arriva questa grande fiducia di Honda giapponese verso la filiale italiana? La risposta è stata fornita dal VicePresidente Silvio Di Lorenzo in base al principio della massima qualità secondo i dettami e la filosofia Honda. Il Project Leader rimane un giapponese (Wakita), ma nel team di progettazione c’è un responsabile europeo, Paolo Cuccagna che ci racconta i motivi per cui è stata scelta l’Italia: “La Hornet è il modello piu’ importante del mercato europeo e la maggior parte delle unità sono vendute da sempre in Italia. Per questo la HGA (l’R&D della Honda Motor Co., ndr) ha pensato sin dall’inizio di affi darla alla HRE-I (Ricerca e sviluppo della sede italiana, ndr)”. Possiamo quindi definire la nuova Honda Hornet 600 un “orgoglio italiano”? "Perchè no, in fondo, l’unica parte che arriva dal Giappone è il motore".

CAMBIAMENTO
Da quest'anno la nuda più venduta della Casa dell’ala dorata abbandona il “vecchio” motore a carburatori a favore dell’ultima evoluzione del 4 cilindri a iniezione elettronica. La novità della Hornet 2007 è però il telaio in alluminio. Per rendere la moto immediatamente riconoscibile la forma è simile alla vecchia ed è chiamata “back bone” (spina dorsale). Il nuovo telaio in lega leggera quasi non si vede perché nascosto dal serbatoio. Nella realtà, la sostanza della moto è cambiata alla radice. Il progetto è partito nel 2003, ma già dal 2001, quando la naked iniziò a essere prodotta in Italia, si cominciò a pensare a come sarebbe dovuta essere l’erede.

E’ sempre Cuccagna a raccontarci della genesi della Hornet: “Dopo aver stabilito la direzione, gli schizzi sono cominciati nel novembre 2003 e uno di questi (realizzato proprio da Paolo Cuccagna, ndr) è stato subito scelto e accettato dalla HGA (R&D Giappone). Successivamente è stato ottenuto il benestare del Sales Manager italiano, Vito Cicchetti, entuasiasta del progetto e direttamente coinvolto sin dall’inizio nella realizzazione del concept. Nei primi mesi del 2005 è cominciato il modello in clay(pasta per modellare, ndr)”. Impossibile pensare di stravolgere un best seller, perché “squadra che vince non si cambia”. Allora ecco che il progetto, durato ben 4 anni, ha avuto come filo conduttore la coesione di una linea che ricordasse, anche solo marginalmente, lo stile Hornet, ma con contenuti tecnologici da riferimento. La moto, disponibile a da gennaio, è prodotta anche in versione dotata di Abs.

SPORTIVA
Il test che troverete in coda a questo mega-servizio è stato fatto proprio sulla versione con sistema antibloccagio dei freni. La differenza di prezzo tra le due versioni è di circa 600 euro. Guardando i primi bozzetti usciti dalla matita di Paolo Cuccagna, si scopre un progetto incentrato sulla sportività, linee tese, ma non spigolose e uno scarico basso come va di moda oggi. Il richiamo della MotoGP, come massima espressione della sportività a due ruote, è irresistibile per qualunque prodotto che punti, anche in chiave stradale, al concetto racing. Le foto della nuova MotoGP 800 di Honda ci mostrano un impianto di scarico completamente interno alla carena, dove due sole feritoie ne rivelano la presenza.

I vincoli dati dal contenimento della rumorosità e delle emissioni (la moto è Euro 3 e ha ben due catalizzatori) obbliga ad avere delle pance sullo scarico, volumi sempre più importanti che fanno fare un giro sempre più articolato ai gas di scarico, prima di arrivare al piccolo silenziatore a vista. Quest’ultimo è solo lo stadio finale di abbattimento dei dB: tutto il resto rimane sotto il motore. La Hornet è la prima nuda ad adottare una soluzione di questo genere e il risultato ci pare azzeccato, anche grazie al preziosismo dell’impianto totalmente realizzato in inox. Ma veniamo all’altro elemento chiave della nuova moto, il telaio. Viene realizzato dalla Verlicchi, sfruttando l’esperienza della fonderia del Gruppo Marzocchi, ed è costituito da tre elementi fusi per gravità.

HI-TECH "Riuscire a convincere i giapponesi a lasciare la realizzazione del telaio all'Italia"
ci racconta il presidente di Honda Italia Di Lorenzo, “è stata una guerra, ma alla fine hanno ceduto”. Le fasi di realizzazione del telaio si possono così riassumere: fusione, trattamento termico, sabbiatura e lavorazioni meccaniche. Poi i tre componenti giungono allo stabilimento di Atessa, dove vengono saldati da saldatrici CNC (a filo continuo); il telaio viene poi messo sulla maschera di controllo per la verifica dimensionale e quindi verniciato. Secondo quanto dichiarato, il telaio pesa ha lo stesso peso di quello in acciaio, perché dotato di spessori maggiori e nervature interne, ma risulta molto più rigido.

Continue verifiche ai raggi X hanno permesso di modificare nel dettaglio i processi di lavorazione. Fare una moto ex-novo lasciando invariato o quasi il prezzo finale di acquisto, significa avere una grande esperienza nel campo della produzione, perché è solo attraverso un processo produttivo perfetto, dove gli sprechi di materiale, ore macchina e ore lavoro sono ridotti al minimo, che si ottiene il miglior risultato. Gli italiani di Atessa, in questo, sono molto giapponesi. Questa è l'ottica di unificazione degli standard produttivi di Honda nei suoi vari stabilimenti sparsi per il mondo e di ricerca della qualità totale. Il risultato di questo modo di operare all’interno dell’azienda è un prodotto che può davvero competere, a livello qualitativo, con le migliori realizzazioni giapponesi.

Come va





SGUARDI
Sempre lei. Cambia in tutto, però la riconosci a colpo d’occhio. Cambia in tutto, ma non nel modo di essere così amichevole e facile fin da quando ti ci siedi in sella. Prima impressione: è una moto tutta nuova. Seconda impressione: è una Hornet, te ne accorgi subito da quel serbatoio. Terza impressione: il cupolino non convince, ma lo scarico è da urlo. Ed ecco che come  i bambini davanti all’albero di natale, abbiamo scartato il regalo che ci hanno fatto ad Atessa, scoprendo che il nuovo giocattolo ci piace, e molto.

Anche perché, nonostante solo l’esemplare color oro sia definitivo (quello rosso che vedete in foto è uno degli ultimi prototipi dello sviluppo, per cui non ha le saldature e altri particolari definitivi), la qualità delle finiture è di alto livello. Ha l'aria della moto nuova, a cominciare da quel motore lasciato orgogliosamente a vista e tutto nuovo: sembra un 400, tanto che in Honda giurano che il 250 cc 4 cilindri che circola in Giappone non è molto diverso, negli ingombri… Siamo di fronte a tanta tecnologia, elettronica, meccanica e a un design che tutto sommato convince già al primo sguardo. Bel risultato.

IMPRESSIONE
Non resta che salire in sella. L’ergonomia a bordo è tipica dei prodotti Honda. Tutto è al suo posto, la sella correttamente imbottita dista il giusto dalle pedane (non troppo arretrate) e dal manubrio. Il busto flette moderatamente in avanti, per una postura di guida di compromesso tra lo sportivo e il comodo, così si può stare in sella anche molte ore. Il pulsante di avviamento dà il via alla sinfonia del 4 cilindri 600 più evoluto della storia Honda. Qui la differenza, tecnologica e di immagine prima di tutto, è abissale rispetto al "vecchio" modello: in luogo del pur valido motore a carburatori della CBR600F del ’97, c’è l’unità della CBR600RR 2007 con corpi farfallati da 36 mm.

Dieci anni di progresso, tutti in una volta
. L’avviamento è pronto e lo scarico rilascia un alito di dB al minimo: solo da 7.000 giri la tonalità diventa appagante per gli animi sportivi. Frizione morbida, ma non particolarmente modulabile nelle partenze e cambio rapido e preciso nella migliore tradizione nipponica. Crescono i giri e cresce senza strappi e con una bella progressione anche la spinta del propulsore. I tecnici Honda hanno lavorato sulla messa a punto del motore per dare maggior coppia ai medi regimi rispetto alla versione che si trova sulla CBR, accreditata di quasi 20 CV in più. Encomiabile la fluidità di marcia ai regimi bassissimi, si può spalancare da 1.500 giri senza avvertire rifiuti, salgono lentamente i giri fino a una leggera flessione nella curva di coppia intorno ai 2.500 giri (che sia il regime di omologazione per la Euro 3?), per poi riprendersi con discreto vigore. La spinta comincia a 4.000 giri e poi è un crescendo costante che appaga e permette di viaggiare senza sforzo fino ai 7.000 giri.

Qui inizia qualche vibra zione alle pedane, non particolarmente fastidiosa e la spinta si fa sentire mentre l’ago del contagiri schizza a 10.000 giri. Oltre la spinta si fa furiosa, tanto che la potenza dichiarata a 12.000 giri (il limitatore è posto 1.000 giri più in su) è di ben 102 CV. Il serbatoio appare più largo del precedente specialmente nella parte anteriore e infatti vengono dichiarati 2 litri in più di capacità: ora sono 19, anche se rimane la forma a "doppia sacca" data dall’incavo per il passaggio del telaio centrale, fatto che sul vecchio modello non consentiva un pescaggio ottimale dell’ultimo paio di litri di riserva. I cerchi in lega sono ora a 5 razze e non più a tre, mentre rimangono inalterate le misure degli pneumatici 120/70 anteriore e 180/55 posteriore (Michelin Pilot Power o Bridgestone BT-012), così come il peso dichiarato di 179,3 kg (184,3 per la versione con Abs), ma ciò che si avverte spostando la moto da fermi è un maggior peso della nuova moto. Sensazione che svanisce alla prima curva, che si imposta davvero col pensiero.

Lo sforzo di discesa in piega è minimo, così come è ottima la rapidità nei cambi di direzione. Purtroppo non abbiamo potuto provare la moto sul veloce, per cui rimandiamo le considerazioni sulla stabilità alla prossima prova completa. L’impianto frenante differisce parecchio tra la versione con Abs (da noi provata) e quella senza. La prima ha pinze anteriori a tre pistoncini, la seconda a due. Nella versione Abs la frenata, di tipo combinato (frenando dietro si ha un leggero aiuto anche davanti) si è rilevata un po’ spugnosa, col risultato di un effetto non molto diretto tra la pressione alla leva e la forza decelerante. Buona, invece, la potenza dell’impianto e strepitoso il funzionamento dell’Abs. Il comando del freno posteriore ha una corsa limitata e "mura" presto, riducendo la sensibilità e obbligando a delegare all’Abs il compito di gestire l’aderenza. La forcella rovesciata è la stessa di prima, ma ha una taratura leggermente più sportiva che assicura il necessario sostegno in frenata e nella guida sportiva, anche se copia meno bene le piccole asperità del fondo. Molto buono anche il comportamento del "mono" posteriore, regolabile nel precarico della molla e privo di leveraggi come prima, infulcrato su un nuovo forcellone in alluminio fuso.

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