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Umbria

Perduti tra i monti rRatini e sSibillini

Terni-Castelluccio


Alla ricerca di spettacolari punti di passaggio negli Appennini centrali fino alla piana di Castelluccio, per poi scavalcare il Terminillo.

Come punto fermo di questo tour è bene considerare la Piana di Castelluccio, oggettivamente uno dei punti fissi per chiunque decida di attraversare la parte centrale della penisola. Il punto di partenza è Terni, vista la sua vicinanza a grandi arterie di comunicazione facilmente raggiungibili da qualsiasi punto cardinale, anche se noi abbiamo fatto base a Bacugno. Le vie per giungere a Spoleto sono due: naturalmente scegliamo la più lunga, passando da Acquasparta, per avere, subito dopo, il primo, corposo, denso preludio di quello che sarà un percorso votato alla ricerca di strade poco trafficate sì, ma abbondanti di curve.
La strada collinare corre immersa fra campi di girasoli e Spoleto si avvicina con un colpo d’occhio niente male. Ogni anno durante l’estate (esattamente in giugno e luglio), fa da palcoscenico al Festival dei 2 mondi.
La visita è volutamente breve, forse troppo, ma sappiamo che ci attende una giornata “bestiale” tra curve e tornanti. La Forca di Cerro di un solo fiato, per “planare” verso la Valnerina e la sua SS 209, una specie di coltello malese che si insinua in questo solco formato dal fiume Nera e dai suoi affluenti. Le guide definiscono la zona tra le più affascinanti dell’Italia centrale e la strada è assolutamente all’altezza: lo conferma l’abbondante traffico motociclistico, soprattutto nei fine settimana.
A Triponzo decido di farli soffrire ancora un po’, i Sibillini incombono ma prima c’è da visitare Norcia, con la sua antica cinta muraria a forma di cuore e la sua splendida piazza.
Ne approfittiamo per acquistare formaggi, in previsione di uno spuntino in quota.
Da qui, il Piano Grande può essere aggredito in diversi modi. Per dare continuità all’itinerario, la strada ci riporta verso nord, a Visso, da cui la scalata comincia alla volta del passo di Gualdo, punto di accesso al Piano Perduto, non egualmente spettacolare come l’Inghiottitoio, dal quale abbandoneremo questo gioiello degli Appennini ma che in breve ci permette di arrivare a Castelluccio che, dall’alto dei suoi 1.452 metri, è uno dei più impervi paesi d’Italia e domina questa vallata di 13 km quadrati.
La valle è brulla, desolata, solcata da un’unica strada accompagnata da pali segnaneve a monito di come possono essere gli inverni da queste parti.
Ormai completamente inseriti nello scenario, complice anche una splendida giornata estiva, una volta giunti nella piazza, prestiamo poca, anzi, nessuna attenzione ad una delle caratteristiche locali che vuole commentati i fatti altrui, con enormi scritte di gesso sui muri che si affacciano sul piccolo centro del villaggio: ci piazziamo al sole ad uno dei tavolini delle rivendite di generi alimentari, sfoderando i formaggi precedentemente acquistati ed ordinando una robusta porzione di affettati locali, specialità della zona insieme alle lenticchie ed all’agnello. La sosta si prolunga ben oltre ogni ragionevole logica.

Verso Bacugno



Scendiamo ed attraversiamo questo che sembra un campo di atterraggio per qualche film di fantascienza. La piana è stupenda nel mese di giugno, quando la valle è in fiore, semplicemente bellissima negli altri periodi dell’anno.
La strada la taglia in due per 7 km, ma è nel momento in cui comincia a risalire verso i 1.257 m dell’Inghiottitoio che bisogna cominciare a voltarsi indietro - meglio se prima si parcheggia il mezzo - anche perché lo spettacolo è davvero affascinante: su una guida qualche tempo fa ho letto che questa è una delle visioni più alte che la natura possa riservarci in Italia centrale, “una purissima cattedrale del nulla”.
Ed ora? Con gli occhi pieni di tanto niente si scende cercando di concentrarci nella guida, nel tentativo di dimenticare il “nulla”.
Al primo bivio in salita giriamo a destra verso Forca Canapine e poi giù in un roller coaster di curve verso la Salaria. La strada è bellissima, il panorama mantiene gli stessi identici connotati di fantastica meraviglia a cui ormai siamo assuefatti. Unico cruccio: dopo l’apertura del tunnel che mette in comunicazione la SS 4 con Norcia, assolutamente inutile a cavallo di una 2 ruote, il fondo stradale non è più all’altezza di tanta bellezza.
La Salaria non è gran che e neanche il collegamento per giungervi, di circa 7 km, quindi appena si imbocca il cavalcavia che sulla destra vede la galleria, buco nero delle strade panoramiche, scendendo a valle, bisogna andare subito a destra, ancora, per Tufo.
In questo modo si potrà imboccare la strada a valle ad Accumoli per un trasferimento di circa 25 km fino a Bacugno, dove in un locale che non è un locale, nello splendido anonimato della campagna circostante, potrete assaggiare la più gioiosa, splendida amatriciana della vostra vita. Noi decidiamo di pernottare anche nell’unico albergo del paese, ideale punto di sosta dell’itinerario (ma con tutto quello che abbiamo mangiato e bevuto era sicuramente l’unica soluzione ragionevole).

Bacugno-Terni



Gli ultimi 100 km del viaggio prevedono il rientro a Terni, ma a Posta prendiamo per Leonessa, che nella sua storia è figurata anche come dono di nozze di Carlo V alla figlia naturale Margherita, vedova di Alessandro de’ Medici e promessa sposa a Ottavio Farnese e da lì su per il Terminillo lungo la Vallonina.
Il tratto fino al passo, bellissimo, richiede una certa attenzione per l’asfalto non in ottime condizioni, ma una volta valicati i 1.614 m della famosa stazione sciistica un circuito con un asfalto da urlo permette di arrivare in un attimo alle porte di Rieti, città che meriterebbe più attenzione di quanto siamo disposti a concedergliene, ormai in piena trance agonistica.
La direzione Piediluco indica che ormai siamo alla fine dell’itinerario, ma è un degno epilogo: la SS 79 è al livello delle precedenti. Il lago di Piediluco, tranquillo e suggestivo, incastonato fra montagne e gole, lungo le cui rive i pioppi sembrano chiamare alla quiete ed al riposo, subisce la stessa sorte della bella Rieti: una completa, assoluta irrimediabile indifferenza da parte nostra, ed è solo al cospetto della cascata delle Marmore che ci fermiamo per ammirarne lo scenografico effetto, anche perché siamo in perfetto orario per l’apertura delle chiuse che regolano il flusso delle acque, da quando questa è stata deviata per scopi idroelettrici.
Ma l’intervento dell’uomo aveva già avuto un importante peso nella storia della zona: una fine per così dire predestinata se si considera che la cascata fu creata artificialmente dai Romani per bonificare la piana reatina.
Comunque, una volta in funzione i 3 salti, di 165 m complessivi, che permettono alle acque del Velino di tuffarsi in quelle del Nera, lo spettacolo è senza dubbio uno dei più affascinanti nel suo genere che l’Italia centrale possa offrire. Da qui, l’arrivo a Terni e al raccordo autostradale è un niente.
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