Test Borile Prototipo
Umberto ne ha combinata un'altra...
Introduzione
E’ l’ultima follia dell’estroso padovano. In
bilico tra lo stile
di una vecchia inglese e quello di una moto moderna tutta
plastica
e alluminio. Ha un motore 4T fatto in casa,
la ciclistica
di un’Honda CR e tanti particolari realizzati con la cura di un maestro
orafo.
Il genio dei colli Euganei fa ancora notizia. In meno di ottanta
ore si è costruito una “stilosissima” Enduro anni Sessanta
interpretandola
in chiave moderna.
Per Borile dare vita a un prototipo è come la linfa per le piante:
non può farne a meno. Appena entrati nel suo atelier la vista viene rapita
dal luccichio di un’infilata di café racer con ruote da 17”
pronte
per la consegna.
“Non è stata progettata sul tecnigrafo come le altre café
racer”,
dice Borile, “ma è un mix di pezzi recuperati qua e là di moto
da fuoristrada innestati tra loro con lo scopo di ottenere uno stile
anglosassone”.
Il motore è un Borile a quattro tempi inserito in una ciclistica
Honda CR500 del 1988 plurimodificata per i maggiori ingombri del
corsa lunga di Borile. Anche il forcellone è di derivazione Honda
ma è modificato con un leveraggio in stile PDS.
Guardandola da ferma sembra un ordigno da fuoristrada a metà
strada tra una moto inglese anni Sessanta e una moderna tutta
plastica e alluminio.
La vista d’insieme gli dà armonia e personalità ma, nonostante
abbia un’estetica così marcatamente dichiarata, non mancano contenuti
e riferimenti tecnologici che servono a determinare una moto moderna
e sicura.
“E’ da un po’ che ci stavo pensando”, spiega
Borile. “La nuova
Enduro”, continua, “nasconde piccoli particolari fatti con la
lima,
come le moto di un tempo, e non esiste la standardizzazione”.
Difficile costruire una moto così?
“Bellissimo e impegnativo al tempo stesso: costruire un motore
dà moltissime soddisfazioni ma anche tante amarezze per quanto
riguarda il lato economico”.
Quanto costa?
“Non so: la moto è un pezzo unico, un prototipo e non ho ancora
deciso per la sua industrializzazione”.
Come va
La moto non ha il bottone e nemmeno gli
automatismi per facilitare
l’avviamento. Quindi bisogna avvalersi di una buona dose di
malizia
e un piede rodato per avviarla. Superato lo scoglio
dell’avviamento
inizia il concerto: lo scoppiettio sordo del corsa lunga entra
nelle
vene, inebria i sensi. Fatico a sentirla tra le gambe: è leggerissima,
praticamente non ha peso. A ben guardare, la posizione di guida è tutto
sommato simile alle moto d’ultima generazione. Ma la
differenza
c’è, ed è il serbatoio a tracciarne il confine concedendo poco
spazio ai movimenti del corpo verso l’avantreno.
In definitiva si sta meglio se ci si alza sulle pedane. Una
volta capito come va guidata l’euforia non si placa, anzi aumenta. Di
sostanza ce n’è fin troppa e bisogna agire dolcemente con la
manopola
del gas, altrimenti si va in crisi. Le marce sono ben spaziate,
ma i rapporti finali, sembrano un po’ troppo lunghi per un percorso
lento misto di salite e discese.
E’ incredibilmente agile e leggera e le fai fare quello che vuoi.
La taratura piuttosto dura delle sospensioni non consente,
specialmente sul lento, di esprimere totalmente la sensazione
di stabilità e la corretta trazione. Sul veloce invece ti aiuta a stare
dentro, a sentirti l’avantreno in mano. La frenata, tutto sommato, è
sincera
ed efficace. Quindi bravo Umberto. L’assoluto l’hai già fatto:
sia per la singolare idea che per la realizzazione finale della
moto in meno di ottanta ore.
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