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22 December 2003

Test Borile Prototipo

Umberto ne ha combinata un'altra...

Introduzione



E’ l’ultima follia dell’estroso padovano. In bilico tra lo stile di una vecchia inglese e quello di una moto moderna tutta plastica e alluminio. Ha un motore 4T fatto in casa, la ciclistica di un’Honda CR e tanti particolari realizzati con la cura di un maestro orafo.

Il genio dei colli Euganei fa ancora notizia. In meno di ottanta ore si è costruito una “stilosissima” Enduro anni Sessanta interpretandola in chiave moderna.
Per Borile dare vita a un prototipo è come la linfa per le piante: non può farne a meno. Appena entrati nel suo atelier la vista viene rapita dal luccichio di un’infilata di café racer con ruote da 17” pronte per la consegna.
“Non è stata progettata sul tecnigrafo come le altre café racer”, dice Borile, “ma è un mix di pezzi recuperati qua e là di moto da fuoristrada innestati tra loro con lo scopo di ottenere uno stile anglosassone”.  

Il motore è un Borile a quattro tempi inserito in una ciclistica Honda CR500 del 1988 plurimodificata per i maggiori ingombri del corsa lunga di Borile. Anche il forcellone è di derivazione Honda ma è modificato con un leveraggio in stile PDS.
Guardandola da ferma sembra un ordigno da fuoristrada  a metà strada tra una moto inglese anni Sessanta e una moderna tutta plastica e alluminio.

La vista d’insieme gli dà armonia e personalità ma, nonostante abbia un’estetica così marcatamente dichiarata, non mancano contenuti e riferimenti tecnologici che servono a determinare una moto moderna e sicura.  
“E’ da un po’ che ci stavo pensando”, spiega Borile. “La nuova Enduro”, continua, “nasconde piccoli particolari fatti con la lima, come le moto di un tempo, e non esiste la standardizzazione”.

Difficile costruire una moto così?
“Bellissimo e impegnativo al tempo stesso: costruire un motore dà moltissime soddisfazioni ma anche tante amarezze per quanto riguarda il lato economico”.
Quanto costa?
“Non so: la moto è un pezzo unico, un prototipo e non ho ancora deciso per la sua industrializzazione”.

Come va




La moto non ha il bottone e nemmeno gli automatismi per facilitare l’avviamento. Quindi bisogna avvalersi di una buona dose di malizia e un piede rodato per avviarla. Superato lo scoglio dell’avviamento inizia il concerto: lo scoppiettio sordo del corsa lunga entra nelle vene, inebria i sensi. Fatico a sentirla tra le gambe: è leggerissima, praticamente non ha peso. A ben guardare, la posizione di guida è tutto sommato simile alle moto d’ultima generazione. Ma la differenza c’è, ed è il serbatoio a tracciarne il confine concedendo poco spazio ai movimenti del corpo verso l’avantreno.

In definitiva si sta meglio se ci si alza sulle pedane.  Una volta capito come va guidata l’euforia non si placa, anzi aumenta. Di sostanza ce n’è fin troppa e bisogna agire dolcemente con la manopola del gas, altrimenti si va in crisi. Le marce sono ben spaziate, ma i rapporti finali, sembrano un po’ troppo lunghi  per un percorso lento misto di salite e discese.


E’ incredibilmente agile e leggera e le fai fare quello che vuoi.  La taratura piuttosto dura delle sospensioni non consente, specialmente sul lento, di esprimere totalmente  la sensazione di stabilità e la corretta trazione. Sul veloce invece ti aiuta a stare dentro, a sentirti l’avantreno in mano. La frenata, tutto sommato, è sincera ed efficace.  Quindi bravo Umberto. L’assoluto l’hai già fatto: sia per la singolare idea che per la realizzazione finale della moto in meno di ottanta ore.
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