Test: a Misano con la nuova Bimota DB7
Particolarmente curata e già interessante al primo assaggio
Arte italiana
Il mercato vuole cavalli, e Bimota
li porta in strada. Così la settima figlia dell’unione tra motore Ducati
e telaio Bimota vanta per la prima volta un’unità della serie quattro
valvole con raffreddamento a liquido, il Testastretta 1098 da 160
CV
e la ciclistica fatta a mano per 170 kg di tecnologia italica.
L’iniezione Walbro è sviluppata da Bimota, mentre lo
scarico 2-in-1
basso prevede un grande compensatore che aiuta a riempire i bassi regimi,
dove al banco si sono trovati fino a 8 CV in più e una grande
regolarità
che forse permetterà di fare a meno della valvola sullo scarico, risparmiando
altro peso. La DB7 conserva la filosofia del telaio composito in
alluminio e acciaio, ma il traliccio ha ora un tubo ovale da 50x20 mm e
spesso 1,5 mm anziché 2 mm, il che ha portato a un risparmio di 2 kg.
La piastra inoltre impiega il motore in funzione portante, fissandolo in
2 punti anziché 3: la parte anteriore del telaio è ora completamente svincolata
dal forcellone.
Il mono posteriore è un Estreme Tech che lavora non più con lo schema
cantilever della DB5 ma con un link tutto sul forcellone, vincolato al
carter motore tramite un telaietto in alluminio che supporta anche il
leveraggio:
una soluzione insolita per un motore Ducati. Sulla DB7 non c’è un pezzo
che non sia di alluminio dal pieno o di carbonio, tranne il serbatoio:
Bimota, fin dalla SB8 del 1997, fu la prima a mandare in produzione telaietto
reggisella e parte del telaio in fibra di carbonio. C’è insomma di che
leccarsi i baffi anche se, come per tutte le Bimota, l’esclusività si
paga: 27.000 euro c.i.m.
In pista
A MISANO...
L’esclusivo test della DB7 si è svolto sul circuito di Misano
Adriatico
e sulle strade limitrofe, ma le pessime condizioni climatiche (aveva piovuto
a dirotto, faceva un gran freddo e si stava presentando la nebbia) non
hanno consentito di portare la moto al limite. Le impressioni del primo
assaggio, sono state comunque positive. In sella la triangolazione
sella-pedane-manubrio
è un giusto mix tra sportività e comfort di marcia, e il piano
di
seduta offre ampio spazio di arretramento per le staccate in pista.
Dal muretto box ci sentono chiudere il primo giro col motore che muggisce
come un toro, ma sono sguardi delusi quelli che ci accolgono quando una
goffa impennata buca il muro di nebbia: la Conti Race Attack
190/55
pattina sull’asfalto gelido (3° C) e l’avantreno singhiozzando, si
alza
e torna a terra con risposte composte, grazie all’ammortizzatore di
sterzo.
La ruvidità di erogazione ai bassi regimi, anticipataci dai tecnici, ci
conferma che la mappatura non è quella definitiva; tuttavia sopra i 5.000
giri la situazione migliora nettamente, preannunciando per il modello definitivo
una spinta ai medi regimi straordinaria. Percorrendo in souplesse le
insidiosissime
curve umide, la DB7 si lascia apprezzare per l’avantreno reso rassicurante
da una gomma che attacca bene e da un’inclinazione del cannotto di sterzo
molto “stradale”.
L’impianto frenante è sì potente, ma non altrettanto modulabile né
all’anteriore né al posteriore. Per di più, negli ingressi in curva, si
sente che il serbatoio è meno stretto e svasato di quanto ci si aspetti,
e nei tratti rettilinei la protezione aerodinamica appare certamente inferiore
a quella offerta dalla DB5.
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