Percorrere il tratto di Aurelia che collega la città di Chiavari a quella di Camogli, passando per Portofino, in sella ad un Vespone. L’antica strada romana abbraccia le due località balneari e regala emozioni, quando si aprono panorami sugli scorci di mare. Con l’Aurelia si giunge in luoghi ricchi di storia, poesia e antichi piaceri per il palato e con una buona vita mondana SEGUE…
Da Portofino a Santa Margherita
DA PORTOFINO A SANTA MARGHERITA Meta nota al turismo internazionale
è Portofino. Il promontorio crea due golfi, assai noti: il Tigullio a est,
il Paradiso a ovest. Da qui ci tuffiamo sulla nostra Vespa 250 verso Santa
Margherita Ligure, capitale del jet-set estivo negli anni a cavallo tra
i ’70 e gli ’80. Da queste parti incrociava perfino il Nabila di Kashoggi:
lo sceicco fece il miracolo di far navigare sulle acque una specie di autosilo.
Nelle calde sere di agosto era tutto un fiorire di Ferrari, Porsche e
Lamborghini.
Poi questa sorta di movida nostrana si spostò alla riscoperta della Versilia
e delle varie isole e isolette del Mediterraneo, ma da qualche anno ci
sono segni di risveglio. A zonzo dentro Santa Margherita, alla scoperta
di palazzi liberty e vicoli tipici, nella Piazza del Municipio abbiamo
un attimo di smarrimento. Catapultati in un’atmosfera arabeggiante. Questo
profumo... La nostra Vespa assorbe lo sbandamento e, confidando nella sua
facilità di surplace, giriamo intorno all’aiola della piccola piazza guardando
verso il cielo… Arance! Alberi pieni di frutti, che alcuni giardinieri
stanno abbattendo per raccogliere. Ebbri di questo aroma, ci ricomponiamo
per spingerci verso la piazzetta di Portofino, non prima però di aver fatto
una sosta al Caffè del Porto, molto caratteristico bar (e la sera molto
caratteristica trattoria) dove ci rinfreschiamo (ci sono 30°!) con uno
spumantino fresco e qualche nocciolina. All’uscita, la Vespa è circondata
da due signori dall’aria tipicamente inglese: lei con un vezzoso vestitino
color pesca, lui bermuda, mocassini di rango e calzino a mezza gamba. “Is
this a new Vespa?”. Rispondiamo di sì, pensando che basti, invece il mister
vuole saperne di più. Alla fine siamo quasi amici, il che ci ricorda le
pubblicità della PX che ritraevano grandi compagnie di ragazzi: il fattore
aggregante è immutato.
Paraggi
PARAGGI Con un sorriso sotto il casco riprendiamo la marcia, passiamo
il Covo di Nord-Est, ricordando la famosa discoteca che fu e le mille storie
a cui è stata soggetta, e ci infiliamo spediti nella sinuosa litoranea
verso Paraggi. Curve da raccordare con andatura brillante, la Vespa sembra
a casa sua, tanto da volere una foto ricordo vicino all’antenata: una
PX azzurrina, maltrattata ma ancora fiera, parcheggiata a ridosso della
roccia. Sembra indicarci la strada: dopo qualche curva, il minuscolo golfo
di Paraggi ci appare come l’oasi al viandante nel deserto. Forse è un
miraggio: complici la quasi assenza di traffico e bagnanti, ci sorprendiamo
a pensare che così, forse, doveva essere il mare, tutto il mare del mondo,
all’alba dell’uomo. Il verde e il blu si compongono di tutte le loro
sfumature, l’acqua riluce di specchi di sole e l’aria è densa di salso.
Torniamo in noi guardando al cartellone luminoso che indica i posti disponibili
nel parcheggio di Portofino e il tempo di attesa: ci tornano alla mente
come una stilettata le code estive che trasformano la meraviglia di questa
strada costiera in un suk di maledetti SUV. Ci prende un po’ di ansia
e decidiamo di rinunciare alla piazzetta di Portofino. La Vespa, forse
memore delle sue umili origini, sembra non avere nulla in contrario e,
con la consueta vitalità, ci riporta indietro. La strada ora è più fresca,
ombreggiata da ville e giardini ai bordi della strada. All’interno di
alcune si intuisce una sonnacchiosa attività di giardinieri. Altre invece
sembrano del tutto disabitate e siamo sicuri che in qualunque momento dell’anno
sembrino tali: chissà quale misteriosa vita vi si nasconde? Cosa faranno
i loro proprietari? Preferendo non ipotizzare risposte, tiriamo dritto
verso Rapallo.
Rapallo
RAPALLO E’ quasi ora di pranzo e questa piccola città è in pieno
fermento,
con un sacco di gente in giro. Sarà perché c’è il mercato sul lungomare
Vittorio Veneto, regno dello stile liberty, dove sembra di trovarsi a Saint
Tropez: pieno di bar la cui presenza è certa per i colorati tavolini all’
esterno,
alle cui spalle si intuisce l’ombra scintillante del locale, che immaginiamo
fresco di sciroppi di menta e granatina e ventilatori a soffitto. Mentre
contempliamo, passano un ragazzo e una ragazza su un piccolo scooter. Lei
sorride mentre filma con una telecamera digitale. Sulla salita verso Zoagli
un semaforo provvisorio regola il traffico in presenza di lavori. Ci affianca
un anziano in sella a uno Scarabeo 150: “Belìn, adesso mettono il semaforo
anche per un buco”. Il suo scooter avrà un milione di km è ben tenuto,
ma consumato. Deve essere il sostituto dell’Apepiaggio: il parabrezza
fa da rocchetto a una decina di elastici, dagli specchi pendono sacchetti
e dietro ha un mucchio di roba… Ripartiamo ed eccolo lì: un buco quadrato
di 50 cm per lato. Il signore lo indica con fastidio. Ci rendiamo conto
che abbiamo visto in giro un sacco di scavi per costruire case e alberghi
nuovi. L’Italia è tutta un cantiere. Ci fu chi disse che doveva essere
tutta una portaerei. Speriamo bene. A parte il buco, comunque, l’asfalto
è perfetto e invita a chiedere tutto al Vespone, che risponde alla grande
sulle curve un po’ sopraelevate. Ci divertiamo, anche se fa sempre più
caldo, ma c’è una galleria in cui ci infiliamo a tutto gas… Ah, che frescura!
Il Golfo dei Nesci e le curve della poesia
IL GOLFO DEI NESCI E LE CURVE DELLA POESIA Sbuchiamo a Zoagli, borgo
noto per la lavorazione del damasco. Di cui c’è anche un piccolo museo,
che però, all’ora in cui passiamo, è chiuso. Zoagli è un borgo piccolo
senza attrattive particolari, incastrato in una fenditura e sovrastato
dal viadotto ferroviario. Quest’ultimo fu invece una grande attrattiva
per chi lo bombardò durante la Seconda guerra mondiale e il paese porta
ancora i segni. Per tornare a Portofino decidiamo di vedere un po’ di
entroterra: San Pantaleo, lì sopra, in cerca di una vista da cartolina.
Mentre facciamo inversione, ecco di nuovo i due ragazzi in scooter. Lei
continua a filmare. Sarebbe bello riprenderli a nostra volta, come in un
film. San Pantaleo è un paese minuscolo su una tipica strada ligure, stretta,
accidentata e immersa nel verde. Ecco la vista da cartolina, su un tornante:
il Golfo del Tigullio per intero, che per qualcuno degli abitanti locali
pratico di mare è il “Golfo dei Nesci”. Questo modo di dire deriva dal
tentativo dei vecchi marinai (oggi solo di qualche turista) di andare a
vela in un golfo dove non c’è mai vento: nescio in genovese ha un significato
al limite tra matto e stupido, anche se letteralmente vuol dire: "che
sa di poco - che è insipido". Pensieri sconnessi e domande esistenziali:
e se ci trasferissimo qui? Invece di una risposta introvabile, salendo
ancora troviamo qualcosa che, chissà perché, ci conforta. Una casa neanche
bellissima su cui c’è una targa con scritto che vi dimorò più volte Ezra
Pound, tra i più famosi poeti contemporanei. Dall’Idaho a San Pantaleo,
il passo può essere breve, figuriamoci per noi che viviamo a 200 km da
qui. Forse le curve della poesia sono infinite come le strade del Signore
e quelle liguri, su cui ci ributtiamo a capofitto. Forza Vespone, c’è
ancora il Paradiso da andare a esplorare (inteso come golfo)!
Tra Camogli e l'invisibile
TRA CAMOGLI E L’INVISIBILE Ormai senza freni, da Rapallo ci lanciamo
in una specie di cronoscalata sulla via che sale verso Ruta di Camogli.
Ricordiamo quando, negli anni di Kashoggi, sull’Aurelia si sentivano urlare
le Kawasaki a 2T e le Honda a 4 cilindri a scarico libero. Oggi come allora,
ecco una bella pattuglia di Carabinieri mentre saliamo sfiorando i centoallora.
Meno male che sono dalla parte opposta… Giunti in cima, il languore che
avvertivamo si è trasformato in fame: è tempo di scendere a Camogli e immergerci
nella focaccia con il formaggio, la più nota ma soltanto una delle tante
delizie locali. Aggirati gli onnipresenti divieti di transito, riusciamo
a piedi a guadagnare il lungomare dopo essere passati di fianco alle enormi
padelle della sagra che si tiene la prima domenica di maggio: sono alte
quasi 4 metri! Ed ecco il mare: alle nostre spalle, il famoso anfiteatro
di palazzi altissimi, dai colori caldi che si accendono al tramonto. Ai
loro piedi, bar, baretti e, soprattutto, forni. La focaccia col formaggio
è un roba mostruosa, se Freud l’avesse conosciuta avrebbe tratto ulteriore
spunto per le sue teorie. Ne facciamo scorpacciata di fronte al mare, in
uno stato di estasi. Il momento è magico: per prolungarlo, invece di cercare
rifugio per la notte ci spingiamo più oltre verso Genova. L’Aurelia è
sempre ricca di spunti: passata Recco, ci ricordiamo della stazione di
Mulinetti, tra le più piccole d’Italia. E’ invisibile dalla strada, ci
si passa sopra senza accorgersi. E’ bellissima: la classica casetta rimessa
a nuovo, con i fiorellini alle finestre. Sul binario la pensilina in restauro
non riesce a nascondere lo stato di semiabbandono, complice l’obliteratore
mezzo smontato. C’è anche l’orario dei treni: da quanto si capisce, se
ne fermano sette in tutta la settimana. Siamo sotto l’Aurelia eppure non
si avverte alcun rumore, se non il frangersi delle onde sulle rocce poco
sotto. Il cuore ci porterebbe ad andare oltre, magari a raggiungere Genova
che vediamo laggiù, in fondo al mare. Non si può. Torniamo indietro e prima
di cercare un posto dove fermarci per la sera, in cima a Ruta deviamo per
la frazione di San Rocco, da cui partono le meravigliose passeggiate verso
la cima di Portofino e, soprattutto, a San Fruttuoso con l’incantevole
spiaggia di fronte all’Abbazia.
Entroterra chiavarese
ENTROTERRA CHIAVARESE Il tramonto e il primo baluginare delle lampare
dei pescatori ci dicono che è tempo di andare a dormire, anche perché il
progetto per la domenica è di tornare per la val d’Aveto. Quest’ultima
parte dalla val Trebbia e arriva a Chiavari, ragion per cui il mattino
dopo andiamo a Rapallo dove, dopo aver acquistato una razione di focaccia
col formaggio da portare a casa, ci avventuriamo in autostrada. Pochi km
bevuti come un bicchier d’acqua dal Vespone e, da Chiavari, cominciamo
a salire. La strada della val d’Aveto, è molto tortuosa e in questa stagione
un trionfo della natura. La valle è verdissima, il panorama mozzafiato
man mano che si sale, da Borzonasca in su, fino al Passo la Forcella a
875 metri. Poco fuori Borzonasca si trova il pittoresco U Rustegu, dove
non ci siamo fermati ma avremmo voluto. E’ circondato di castagni, con
il laghetto, il fiume blu che scorre a fianco e forma una piccola spiaggia
bianca dove si può fare il bagno. Oltre Borzonasca la strada diventa super
panoramica, bellissima anche da guidare. La Vespa risponde alla grande,
pif-paf da una curva all’altra, teniamo un ritmo infernale finché non
sentiamo uno squillare di trombe. Ma guarda ‘sto matto: un autoarticolato
lunghissimo che si sta incastrando tra i tornanti, pieno di bottiglie di
acqua minerale. Va bene le autostrade intasate, ma la cosa ci sembra demenziale.
Verso il Passo Forcella, l’aria si rinfresca, l’asfalto è ottimo. Dietro
una curva c’è una fonte di acqua minerale, il camion scendeva a Chiavari
a consegnare l’acqua... Sul Passo è montagna vera: c’è una piazzola brulla
con un paio di panche e un monumento ai partigiani. L’aria è tersa, la
strada scavata nella roccia a formare una specie di galleria senza tetto.
Il mare ormai è lontano, ma l’immersione nel silenzio della natura è totale.
Oltre il passo, una quantità di moscerini annunciano la presenza di fattorie,
i cavalli, il fiume che scorre. Ci sentiamo appagati. Dopo pochi km, a
Rezzoaglio ci fermiamo ancora per dissetarci. Esce l’uomo del bar in piazzetta,
si avvicina incuriosito dallo scooter rosso ciliegia. Con un accento che
più genovese non si può, anche se l’Emilia è lì a pochi km di distanza,
esclama: “Belìn, è Vespa!”
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