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Indian Chief

Indian Motocycle: il ricordo di un mito USA

Introduzione



La bellissima Indian Chief protagonista di queste pagine porta dentro di se una storia lunga. Giunta in Israele come omaggio USA per la nazione ebraica, questa moto viaggia tutti i giorni per le strade di Tel Aviv grazie alle sapienti cure del proprietario Amir Seter
.

Correva il 1948 e gli Stati Uniti partecipavano ai festeggiamenti per la nascita dello stato di Israele. Era necessario fare un regalo per celebrare l’evento, ma a Washington, trovare il giusto dono per un intera nazione non doveva essere evidentemente facile. “Cosa c’è di meglio di una bella dozzina di Indian Chief?”, devono aver pensato al quartier generale americano. E fu così che un bel giorno del 1948 una nave al porto di Haifa scaricò questo inusuale dono, 12 Indian. La sorpresa è tanta nel vedere queste moto così tipicamente americane, concepite per gli spazi immensi del nuovo continente e non di certo per il deserto, che le dodici Indian lasciano letteralmente attonite le autorità israeliane. Tanto che le moto vengono destinate ai dottori dell’ospedale Tel-Ha’Shomer ad est di Tel Aviv che le dovrebbero utilizzare per le visite a domicilio nei villaggi più isolati. Dovrebbero, perché in realtà le moto vengono usate pochissimo e male.

La loro salvezza si chiama Polizia Militare, che propone uno scambio ai dottori: 12 Matchless G3L residuati bellici (facili da guidare) in cambio delle 12 Indian che vengono dipinte in tenuta kaki ed iniziano a servire l’Esercito israeliano. Ma anche con i colori mimetici il destino non cambia: non deve essere propriamente facile per un soldato israeliano di piccola taglia scortare convogli militari nel deserto, armeggiando con 250 kg di moto. Il loro destino è segnato: dopo una serie di incidenti più o meno gravi, le Indian vengono ritirate dal servizio. Troppi la paura e il timore reverenziale con cui vanno portate: enormi i parafanghi che avvolgono buona parte delle ruote, spropositata la sella del guidatore che sembra riprendere - nelle dimensioni - quella di un trattore, inusuali il comando della frizione a pedale azionato dal piede sinistro (oltre ad essere scomodo impedisce di appoggiare il piede a terra alle basse velocità, quando si ha la necessità di procedere sfrizionando) e il comando del gas montato a sinistra sul manubrio. Per non parlare poi delle impatto visivo. Non esiste motocicletta dello stesso periodo in grado di offrire le stesse sensazioni: ogni angolo della moto è pesantemente decorato.

Una Indian Chief oggi può comunicarci dell’America molto di più di qualsiasi libro dell’epoca: vi si legge chiaramente la mentalità di una nazione che ha appena vinto la guerra e che può permettersi di sfogare la propria gioia negli eccessi. Nessuno all’epoca poteva permettersi di costruire moto simili e particolari come il pedale della frizione, vanno benissimo per le strade americane larghe, con poche curve e senza traffico. Ma in Europa è diverso, si punta al risparmio e si costruiscono moto agili e leggere (mono e bicilindriche), mentre la Indian si permette il lusso di costruire un vero dinosauro a due ruote

Il restauro




Amir Seter ha ritrovato la sua Indian Chief ex militare nel 1992. La moto era priva dell’avantreno e mancava di qualche altro particolare. Per recuperare il materiale mancante, Seter si è iscritto all’American Indian Owners Club e ha dovuto attendere tre anni prima di entrare in possesso di forcella e ruota anteriore per soli 300 dollari.Solo dopo aver trovato questi componenti è iniziato il vero restauro: ha unito le forze con un suo amico, che nel frattempo aveva recuperato un’altra delle famose Chief del 1948, e insieme si sono lanciati nell’avventura.

Seter è stato estremamente fortunato perché il motore della sua moto era in ottime condizioni.
Forse è stato il rispettoso trattamento riservato alla moto da parte di dottori e militari (e il poco uso) che hanno permesso il miracolo. La ricerca dei pezzi di ricambio non si è limitata alla forcella, ma ha coinvolto una serie di particolari difficili, se non impossibili, da trovare.

Il parafango anteriore è stato ricostruito in vetroresina, mentre diversi particolari sono stati replicati oggi dall’americano Bob Starck, uno dei massimi esperti Indian a livello mondiale.Il freno a tamburo - ad esempio - è opera sua e, nel complesso, Seter non ha lasciato nulla al caso. Ha recuperato il materiale giusto per rifare la sella e si è procurato una replica della batteria in bachelite originale provvista del celebre logo a testa. Seter ha utilizzato un alternatore Bosch in luogo dell’originale, adattandolo con una piccola piastra d’ottone per posizionarlo al posto dell’originale. Il tachimetro era in pessime condizioni ed andava ricondizionato negli Stati Uniti, spendendo centinaia di dollari. Seter ha scoperto però che lo strumento montato sulla sua Chief è lo stesso modello usato sui vecchi camion Mack di produzione americana. Ha così recuperato il fondo scala con il logo Indian dello strumento montato sulla sua moto e lo ha inserito in un tachimetro Mack, ottenendo una copia perfetta dell’originale.

Come va




Nonostante il suo proprietario abbia speso moltissimo tempo (e una somma considerevole di denaro…) per restaurarla, questa stupenda Indian non è diventata un pezzo da museo perché viene usata quasi ogni giorno. Il motore si avvia prontamente. La tonalità dello scarico è abbastanza forte e il suo latrato è completamente diverso da quello di una qualsiasi Harley moderna.

Anche la risposta del motore è differente rispetto ad un V-twin dei giorni nostri: al posto del cupo e pacifico borbottio, il motore della Indian è pronto nel guadagnare giri non appena si spalanca la manopola del gas. Forse un po’ della tradizione sportiva delle vecchie Indian anteguerra è stata tramandata sulla Chief. Amir Seter guida con naturalezza la moto nel traffico cittadino e me la cede soltanto dopo aver raggiunto la campagna, in modo che io possa tranquillamente prendere confidenza con il comando a pedale della frizione. Comunque, per evitare qualsiasi inconveniente, Seter ha montato anche una leva della frizione tradizionale al manubrio perché era troppo pericoloso usare la moto solo con la frizione a pedale in città fra le auto.

Grazie a questo accorgimento posso partire senza problemi, ma anche così non è facile mettere in movimento la Indian. Originariamente la parte sinistra del manubrio ruotava su se stessa e comandava il cavo del gas, come d’altra parte accadeva su tutte le altre Indian di quel periodo. Seter però, per motivi di sicurezza, ha trasferito il comando del gas a destra, spostando così a sinistra la levetta dell’anticipo dell’accensione. Anche il comando del cambio non è d’aiuto: ha forme e linee primitive, richiede una notevole forza per essere azionato e non ci si deve assolutamente preoccupare dei rumori che produce l’innesto di un qualsiasi rapporto. Una volta in marcia si avvia con una minima apertura del gas e senza problemi. Questi arrivano invece quando si deve passare alla seconda marcia, perché la leva è sospesa nel vuoto fra la gamba destra del guidatore e il serbatoio ed è priva di qualsiasi tacca o numero di riferimento. Superato questo limite psicologico e facendo forza sulla leva, la marcia entra senza problemi. Il cambio è a tre rapporti, ma il grosso bicilindrico ha così tanto tiro che sembra quasi superfluo passare all’ultimo rapporto.

La velocità di crociera ideale per la Chief è di 100 km/h,
quando ci si può godere la comoda e rilassata posizione di guida dovuta al largo manubrio. Il peso è elevato, ma grazie al motore montato molto in basso e alla corretta distribuzione dei pesi, si può guidare in tutta tranquillità senza molti patemi d’animo. La moto è stabile e facile da guidare; anche le inversioni a U si effettuano senza alcuna difficoltà. È possibile addirittura curvare a bassissima velocità senza inserire il rapporto più basso, perché il motore sembra quasi non accorgersene e continua a pulsare senza indecisioni. Durante il mio breve test ho spinto la moto fino a 140 km/h e il motore sembra poter permettere molto di più. La guida è abbastanza comoda, anche se è preferibile evitare le buche perché compromettono la stabilità del mezzo.
Solo su strada completamente aperta ho cercato di utilizzare il pedale della frizione con risultati imbarazzanti: la moto ha iniziato a saltare nei cambi di marcia in maniera preoccupante. Peccato che negli anni Quaranta nessuno alla Indian abbia pensato di mettere una frizione a mano per migliorare la sicurezza e la facilità di guida ma, come ho già detto prima, la Indian è fatta per i viaggi sulle lunghe distanze e per poche soste. Riesce veramente a trasmettere al suo guidatore la sensazione di essere il “Capo della strada”.



100 anni di Indian




Agli inizi del '900 iniziava la produzione delle Indian, e con loro il mitico corso della Casa americana. Che sarà al top negli anni Venti per qualità e quantità nel settore motociclistico, ma anche in quello industriale. Fu brillante anche nello sport: in Italia le porta in gara il leggendario “Nivola”. Poi la triste decadenza in seguito alla grande crisi del 1929. Il periodo del nuovo millenio sarà sicuramente ricordato anche come un epoca di celebrazioni: la moto è nata a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, e quindi in questi anni, i centenari si susseguono uno dopo l’altro: Werner, Peugeot, Laurin & Klement, AJS, Norton, Royal Enfield, Triumph, NSU, Ariel, Harley-Davidson.

Tra queste non pteva di certo mancare la Indian, la marca del “Pellerossa di Ferro” che per tutti gli anni Dieci e buona parte dei Venti sarà all’avanguardia della tecnica, nonché la prima fabbrica al mondo per produzione e diffusione.

Alla fine dell’Ottocento la bicicletta è il veicolo di moda e nel 1897 Hendee, uno dei due soci fondatori, decide di entrare in questo promettente settore, scegliendo Springfield, nel Massachusettes, come sede della propria attività. Hedstrom, l’altro socio fondatore, è invece uno specialista delle corse dietro motori, ma la moto che ha importato dalla Francia è così lenta che si fa superare dal ciclista, fra le risa degli spettatori. Così, nel 1899 decide di costruirsene direttamente una, con la quale, finalmente, la sua squadra vince praticamente tutte le gare alle quali partecipa.

Durante una di queste corse, Hedstrom incontra Hendee, che è anche organizzatore di gare al Coliseum di Springfield. Hendee comprende come la moto dello svedese abbia possibilità commerciali e quindi gli chiede di progettarne una da vendere al pubblico. La Indian era nata. Da quel momento fu un susseguirsi di successi commerciali e sportivi, con una crescita inarrestabile fino dopo la prima guerra mondiale. Poi, con l’arrivo della grande crisi del 1929 iniziò un inesorabile declino che culminò con la chiusura dell’azienda nel 1953. Ma la voglia di sopravvivere è più forte di ogni cosa, e la Indian riesce a tirara avanti tra acquisizioni del marchio e collaborazioni fino ad oggi. E chissà se ora che ha superato il traguardo dei 100 anni, ed entrata nel ventunesimo secolo, il glorioso marchio potrà rinascere e tornare ai fasti di un tempo..? Di certo questo è l’augurio di noi tutti
1901
Nasce la prima moto che di lì a poco verrà battezzata con il nome Indian
1902
La Indian nasce a Sprongield dall'incontro di Carl Oscar Hedstrom e George M.Hendee
1907
Appare per la prima volta il famoso "rosso Indian"
1915
I motori bicilindrici vengono completamente ridisegnati dando origine ai modelli powerplus a valvole laterali.
1918
Entrano nuovi finanzieri nella società sperando di approfittare della straordinaria fama della Casa per vendere più azioni e aumentare il capitale: i soci fondatori lasciano la Indian
1920
La Indian produce 43.000 moto. Si calcola che le moto americane del marchio circolanti in tutto il mondo siano ben 150.000
1923
Il 7 Aprile si festeggia la 250millesima Indian prodotta dallo stabilimento di Springfield. Ma da questo momento inizierà anche la crisi del marchio.
1929
La produzione scende a 4.365 unità. Siamo ai livelli del 1909.
1938
L'esecito Usa preferisce alle Indian le, obbiettivamente migliori, Harley Davidson.
1953
Il cambio di dirigenza avvenuto 7 anni prima non riesce a risollevare le sorti sdel Marchio, la Indian è costretta a chiudere i battenti.
1955
Il marchio Indian ricompare sul serbatoio di alcuni modelli dell'inglese Royal-Enfield
1960
La AMC (AJS-Matchless) assorbe al suo interno la Royal Enfield: nascono le prime Matchless-Indian, alle quali seguiranno cinque anni più tardi le indian costruite in italia dalla Italjet capitanata da Leopoldo Tartarini
2002
La Indian Motocycle compie 100 anni. Al momento il destino della casa americana è ancora incerto, ma la speranza di tutti è che il ventunesimo secolo fccia da testimone alla rinascita del glorioso marchio americano.



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