Indietro nel tempo
Spengo la lampada frontale. Adesso è davvero buio. Chiuso nel sacco a pelo,
attendo il sonno. Due dei miei compagni di viaggio stanno russando già
come bestie bolse. C’è vento teso che arriva dal mare, i cespugli si
muovono,
si piegano, il silenzio è riempito dai grilli. Il cielo scuro è l’unico
tetto sopra di noi, il resto lo fa una mezza luna giallo uovo che sale
da dietro le colline nere e tre stelle cadenti che ispirano desideri. Le
moto sono nere silhouette allineate al nostro fianco. Si sente il suono
del mare che batte contro gli scogli, venti metri più in basso. Oltre i
nostri piedi c’è il mare e poi l’Africa. Siamo sospesi in un momento
indimenticabile. È la sesta notte che passiamo all’aperto. Stiamo
viaggiando.
Forse è ancora il 1985.
L'idea. Il desiderio
Come randagi. Come una volta, quando eravamo giovani, avevamo pochi soldi,
molte fidanzate, molti capelli e nessun commercialista da mantenere. Avevamo
moto bellissime, semplici, indistruttibili, ruggenti. Moto corsare. E noi
eravamo corsari all’arrembaggio. Abbiamo fatto un nuovo arrembaggio alla
Sardegna, con le stesse moto di venti anni fa. È stato bellissimo. La
preparazione
comincia dall’idea. L’idea arriva dal senso di nostalgia per quei
viaggi
impolverati, improvvisati, senza piano A o piano B. Senza prenotazioni.
Una moto, un sacco a pelo, un po’ di benzina, un imbuto. L’imbuto
serve
sempre. Dopo la ruota, l’imbuto è l’invenzione più importante. Ad
aprile
il dado è tratto. Sul sito Soloenduro.it scattano i ricordi e la voglia
di rituffarsi in quegli anni: “I lunghi viaggi estivi degli
anni Ottanta”, si chiama il thread. Gli animi più nostalgici e
imbecilli
si scatenano: c’è chi riesuma dal fi enile un cadavere coperto di
ragnatele,
chi filtra tutti gli annunci in cerca di ferri vecchi, chi apre il materasso
e tira fuori i risparmi accantonati per l’operazione alla prostata.
Immolerà
il malloppo su un altare di marmo, con incisa a scalpello la seguente dicitura:
“XL-DR-TT-DT-XT-KLR-GS: Amen”. Il sottoscritto riceve in dono una
Honda
XL 500 S del 1981, quella con l’anteriore da 23”. È fatta, allora si
organizza davvero! I mesi di maggio, giugno, luglio e agosto sono utilizzati
per rinfrescare le moto, restaurare freni, far rinascere motori, raddrizzare
valvole, togliere ragni dai carburatori, accrocchiare portapacchi, bauletti,
borse da serbatoio e cercare l’abbigliamento di una volta. C’erano
degli
standard negli ‘80: giacca Dainese Desert (ma quella continuiamo a
metterla volentieri ancora adesso, vedi Cavalcata di Natale su FUORI
2-07, ndr), oppure giubbotto di jeans, espadrillas autentiche,
bandane, stivali da cross o scarponi Timberland, buoni anche gli
anfibi della naja. Altri obblighi imposti per questo viaggio: si
dorme senza tenda, come i veri viandanti e la cena la tiriamo fuori
dal mare, con pinne, maschere, boccaglio, fucile. Dai mille che
si doveva essere all’inizio, si scende drasticamente a sei. Sono
intervenuti i “niet” delle mogli...
Si parte
L’appuntamento è allo sbarco di Porto Torres. Abbiamo tre Honda
XL (500S, 600R e 600RM), due Yamaha Ténéré 600 (prima e seconda
serie) e una Ténéré DT125, carenata e pittata
“Chesterfield” come
la moto di Franco Picco. I piloti sono tutti oltre i quaranta, tranne
un ventisettenne molto più capellone degli altri. Ci voleva una
compensazione. L’unica certezza è che si va a sud, il resto è da
improvvisare ogni chilometro. Giusto per non contraddirci, puntiamo
subito a nord, verso Stintino. Si viaggia bene, garruli, innocenti,
consapevoli di essere a rischio guasti ma abbiamo attrezzi per
arredare
un’intera officina e un paio di “culi di gomma”,
meccanici
che con un cacciavite in mano fanno miracoli. Stintino è
ancora troppo carica di turisti, così andiamo definitivamente a sud, verso
Capo Caccia e il suo inconfondibile profilo. Intanto El Diablo dà
il meglio di sé, aprendosi un gomito
su una roccia: siamo in viaggio solo da mezza giornata...
Viaggiare in Sardegna
Quando si viaggia in Sardegna, si viene sottoposti a un costante stimolo
dell’olfatto. Mare, sale, cisto, lentisco, rosmarino e altre erbe delle
macchia mediterranea creano una nuvola costante di profumi. Appena lasciamo
le zone marine per l’interno, succede un fenomeno stranissimo: da una
temperatura normale si entra in una gigantesca bolla d’aria rovente, che
soffoca, impedisce di mettere a fuoco, asciuga gli occhi! Guardiamo i motori
per controllare che non siano in fiamme e questo calore non ci lascerà
per tutta la giornata. Le ore passano, i chilometri si accumulano a settanta
all’ora, non abbiamo fretta. È bello vedere i propri compagni curvare
in sequenza nello specchietto oppure stare ultimo in coda, il posto della
meditazione, e seguire il serpente. Sembra un viaggio come tanti, ma questo
ha un carattere diverso. Uno per tutti, la lentezza e poi questa sera si
dorme all’addiaccio. Che pare nulla mentre fa un caldo terribile ed è
pieno giorno ma, prima o poi, il sole scenderà e dovremo trovare un posto
per dormire. È una sorta di arte anche quella, ci vuole occhio e naso fino.
Il fuoristrada che possiamo permetterci con i bagagli e le moto di oltre
vent’anni non è tecnico, ma ci piace trovare sterrati sul lungomare
selvatico,
quello dove i turisti non vanno volentieri per via della polvere e delle
buche.
La litoranea verso Bosa
Alghero passa in un soffio, il tramonto ci scalda lungo una strada che
non si può dimenticare, la litoranea verso Bosa: una sorta di Accademia
della Curva. Arriva il buio, dopo una cena dove abbiamo scrofanato ogni
cosa, carote crude comprese. Bene, ora rimane un’unica cosa da fare,
cercare
un posto per la notte. Per quanto si sia determinati, trovare da dormire
in piena notte non è facile, bisognerebbe farlo ancora con la luce del
sole. Però la fortuna ci aiuta. Un anfiteatro tutto per noi. Vicini a vecchi
ulivi, sul proscenio sistemiamo i sacchi a pelo a raggiera. Ci sono solo
il vento, i grilli e lo sguardo della luna. A ogni risveglio, si è spostata
di un pezzetto. Siamo viaggiatori semplici, gli dei ci guardano. Ogni mattina,
la stessa cosa. Il sole ci sveglia con le galline, i cani che abbaiano,
i primi mattinieri che ci guardano un po’ strano con le nostre facce
assonnate,
però ci salutano. La luna non è ancora scomparsa. Dopo la colazione, si
continua pigramente verso sud. Sarà l’aria fresca del mattino, sarà la
lentezza del viaggio ma, sulle montagne con vista a mare, nessuno ha voglia
di correre. Si guida con una sola mano, la gamba sinistra appena divaricata,
la mente che vagola tra mille pensieri e il motore che fa pum pum. Con
pochi segni muti ci si comunicano desideri, stupori e necessità fisiologiche.
Il gruppo di viaggiatori si plasma in fretta. Ogni volta che si passa sotto
un albero di fichi cotti dal sole, si penetra in una bolla d’aria
profumata.
Diventa automatico fermare la moto e integrare i pasti con frutta gratuita.
Bisogna solo litigare con le api, piuttosto agguerrite. È il privilegio
del viaggiatore, trovare cibo lungo la strada. In due giorni abbiamo preso
ritmo e misure giuste, mentre milioni di italiani passavano il loro tempo
in tangenziale... Verso sud. È l’unica cosa certa. Il resto lo prendiamo
come arriva. Andiamo a naso trovando sterrate eccezionali, fatte apposta
per le nostre moto.
Punta Foghe
Attraversando una zona davvero deserta, raggiungiamo la torre saracena
di Punta Foghe. I panorami si sprecano. Ci si innamora facilmente quaggiù...
Il bello di questi viaggi sono gli incontri casuali. Ne abbiamo fatti
diversi,uno
più bello dell’altro. A Tresnuraghes incontriamo una signora intenta a
cucire davanti alla porta di casa. Non ci abbiamo pensato un solo secondo.
Chi scrive aveva bisogno di un intervento di sartoria volante e, ovviamente,
la signora è stata coinvolta. Ci ha donato la sua arte accurata, ha risposto
alle domande e anche ai baci di ringraziamento. Ancora pochi minuti e ci
saremmo anche invitati a pranzo. Il viaggiatore in povertà deve sfruttare
ogni occasione. Mangiare, dormire, lavarsi e le necessità fisiologiche
sono le impellenze principali. Per lavarsi va bene tutto: una fontanella,
il mare, o il tubo per innaffiare l’orto. Altrimenti, si non si può, si
rimane temporaneamente sporchetti, si può resistere. Si puzza un po’,
ma vuoi mettere? La seconda notte la passiamo ospiti di un amico endurista
della provincia di Oristano. Ci mette a disposizione un capannone con dentro
un macchinario per essiccare l’erba medica. Arriviamo in piena notte,
ci lascia con un’anguria ma non avvisa i genitori dei nuovi ospiti. Alla
mattina, la signora vede un tale in mutande e piedi nudi che si aggira
in cerca di un tubo dell’acqua per fare la doccia. “Buongiorno
signora,
vorrei solo fare una doccia col tubo
dell’orto...”.“Scusi, ma
lei chi è?”. Interviene il capofamiglia, pare abbia un
Winchester
di grosso calibro e il grilletto facile. Prima spara, poi ti domanda:
“Ajò,
da dove vieni, straniero?”. Quando un uomo in mutande e con
il sapone in mano incontra un uomo col fucile, l’uomo col sapone è un
uomo morto. Lo diceva anche Sergio Leone. Poi ci prende la nostalgia per
le speciali del Sardegna 2004, dove chi scrive ha molto ben figurato essendo
anche il vincitore morale di quella memorabile edizione (ma perché lo
facciamo scrivere?, ndr).
I tramonti sardi
Grazie alle indicazioni degli amici enduristi locali e con un uso sapiente
del naso, troviamo le strade e le tagliafuoco che sono rimaste impresse
nelle memorie dei piloti di quell’anno. Dall’alto del monte Funesu,
la
vista è stupenda. Ci accoglie un gentile agente della Forestale che ci
fa da cicerone. Da una parte le dune di Piscinas spazzolate da una mareggiata,
dall’altra la piana di Arborea con tutte le sue vacche da latte e i
foraggi
verdi. Altro spettacolo irrinunciabile sono i tramonti sardi. Come quello
a Torre dei Corsari. Le sterrate portano al mare, di solito non c’è
nessuno.
Meglio perchè il sole con le nuvole, compone dei tramonti che chiedono
solo il silenzio. Stiamo lì, imbambolati, i capelli spintacchiati dal vento,
al fianco delle nostre moto a guardare e ad annusare. Non vogliamo altro,
magari una birra fresca e un nuovo posto per la notte.
Costa Verde, Bed & Breakfast
Altro giorno, ancora chilometri, ancora incontri. Sulle spiagge della Costa
Verde sperimentiamo un mare davvero potente. Ci sono due bagnine deliziose
che ci danno consigli utili per non farsi trascinare al largo e diventare
cibo per i pesci. Ci raccontano del loro mestiere e poi ci suggeriscono
una strada alternativa invece dell’asfalto. Beh, dono migliore non
potevamo
ricevere. Una stradella di circa tre chilometri, interamente ricoperta
di una spessa, generosa, soffice, polverosa spanna di sabbia. Un improvviso
tuffo nel deserto del Sahara. Guidare con le nostre endurone cariche di
bagagli lì in mezzo è un divertimento, con gli anteriori che prendono sotto,
i bauletti che fanno il pendolo, i sorrisi e il fiatone. Si cade e si finisce
anche per incastrarsi dentro la rete di recinzione di un ovile. Non importa,
siamo viaggiatori del 1985, viandanti con bagaglio leggero, moto robuste
e voglia di improvvisare. Passare le notti all’aperto senza alcuna
protezione
fa fare anche degli incontri con le creaturine della natura. Una notte
mi sveglio e sento che, sulla mia fronte, qualcuno sta passeggiando. Lentamente
catturo l’amico e lo deposito delicatamente in terra. Lo illumino con
la lampada. È un ragno nero che fa finta di essere morto. Lo stuzzico con
un legnetto e lui fa il morto. Finto però, perché alla mattina non lo trovo
più. La vita comoda è una deliziosa sirena che, a volte, tenta il viaggiatore
che dorme all’addiaccio. Dopo tre giorni di polvere, sudore, vento,
insetti
spiaccicati in faccia, sale sulla pelle, ragni e zanzare e sacco a pelo
buttato in terra, uno di noi ha un cedimento: pronuncia la parola Bed
& Breakfast. L’abbiamo sentita tutti con molta chiarezza. Aveva
voglia di un vero letto, una vera doccia e di scampare un temporale notturno
in arrivo. La parola ha gettato nello smarrimento il resto del gruppo,
ma non è riuscito a trovare un letto disponibile nella zona proprio quando
c’è toccato dormire sotto enormi nuvole nere e vento che però, grazie
a San Cristoforo protettore dei viaggiatori, non scateneranno l’Apocalisse
minacciata. Da lì in avanti, però, il nostro compagno subisce una sorta
di fulminazione sulla via di Damasco e diventerà uno dei più accaniti
viaggiatori
selvatici. Al ritorno a casa pare che, per una settimana, abbia continuato
a usare il sacco a pelo sul balcone. Trattasi di richiamo della foresta.
Jack London docet.
I pranzi ed il poeta di S. Antioco
I pranzi del viaggiatore si alternano da frugali a lussuosi. A volte si
contratta un’enorme fornitura di frutta fresca con la fruttivendola di
un paesetto, a volte si cede agli spaghi con la bottarga perché
“l’omm
è omm e ha da ommà”. Però, bivaccare un paio d’ore
all’ombra dei
giardinetti di Arbus mangiando melone fresco, banane e uva non ha eguali.
Anzi, un bel grappolo d’uva bianca matura, attaccato con provvidenziali
fascette allo stelo dello specchietto sinistro, dà una soddisfazione senza
eguali. “Raga, che dite, andiamo a ficcare il naso a S. Antioco?
Tanto...
a noi che ce ne importa?”. Va sempre tutto bene. A S. Antioco ci
si doveva rimanere un paio d’ore ed è finito che ci abbiamo passato un
giorno e una notte. Bellissimo! Vai per cercare un posto e ne trovi un
altro che non ti aspettavi. Vai per vedere una strada e conosci Pasquale,
un pescatore poeta che scrive in quello che lui chiama Il Giardino dei
Buoni Veri, il canale che porta al mare. Siamo stati ammessi
al suo giardino. Anche Pasquale fa parte degli incontri preziosi che valgono
qualche scomodità, valgono l’intero viaggio. Questo settantaduenne scrive
le storie della propria vita davvero tribolata su delle agende, le fotocopia
e le cede per una cifra simbolica. Potevamo rimanere insensibili a tanta
grazia? Le sue storie sono sogni, sono farfallette colorate, vere poesie,
slanci di passione che commuovono o scatenano risate di gusto. Scrive in
italiano, in sardo, in latino, scrive canzoni, sogni, viaggi. Avventure
con creature fantastiche. Un capolavoro. Conserviamo gelosamente una copia
del suo libro.
Abbiamo viaggiato. Da felici.
Le moto si comportano meravigliosamente. I guai sono piccola roba che serve
a giocare un po’ e aumenta il senso dell’avventura. L’XL 500
ha rotto
un cavo della frizione e perde generosamente olio dal carter sinistro.
La Yamaha 125 brucia candele ogni giorno e i due Culi di Gomma del viaggio
ogni tanto la aprono e fanno manutenzione. Il suo proprietario non ha idea
di cosa sia la manutenzione di una moto, non sapeva che anche la sua avesse
un filtro dell’aria... Una notte, ha bruciato l’ennesima candela e
così,
mentre il gruppo è andato a dormire su un promontorio, lui ha dormito nella
roulotte del proprietario del ristorante dove avevamo spazzolato la cena
(già, abbiamo ceduto alle trattorie). Le altre moto non hanno riportato
il minimo intoppo. Che moto corsare, che moto! Stiamo per finire il nostro
viaggio semplice. Stiamo per doppiare il capo più a sud dell’isola. Questa
sarà l’ultima notte, sarà una notte perfetta, ci vuole un gran posto per
dormire. Siamo ormai abilissimi, un colpo d’occhio e già sappiamo che
sarà un buon posto. Lo troviamo, ai piedi di una torre saracena. Un capo
a sud. Spengo la lampada frontale e attendo che arrivi il sonno. C’è il
vento, mezza luna giallo uovo che sale da dietro le colline, tre stelle
cadenti. Siamo viaggiatori del 1985, impolverati. Impolverati noi, le nostre
moto e i nostri cuori. Abbiamo viaggiato. Da felici.
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