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E sono 80, tanti auguri AGO!

Giacomo Agostini compie 80 anni. Lo festeggiamo ripercorrendo attraverso le sue parole alcuni dei momenti chiave della sua vita e della sua carriera: dai primi passi in moto su un Galletto a nove anni, alle sfide sulle strade del lago d'Iseo. Dall'incontro con il conte Agusta, alla mitica vittoria di Daytona. Buona lettura

1/21 Giacomo Agostini a Vergiate (VA) durante la realizzazione dell'articolo in esclusiva di Motociclismo sulla prima MV Agusta F4, la 750.

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Il 16 giugno, giorno del suo compleanno, da qualche stagione in qua per "Ago" è diventato un appuntamento da ignorare, perché portatore del l'ammonimento che il tempo passa. Eppure ogni anno il 16 giugno, Giacomo Agostini subisce l'assalto degli auguri più o meno sinceri, che lui accetta, combattuto tra il compiacimento un po' narciso e la rabbia per - l'incedere del tempo. Dal 1981, lui dice, si è fermato "ufficialmente" a 39 anni.

Ma oggi, 16 giugno, ha raggiunto le 80 primavere. Ed è per questo che vogliamo festeggiarlo, in modo un po' inusuale; ricostruendo, attraverso le sue stesse parole, episodi mai raccontati, o con risvolti ancora sconosciuti, tappe "miliari" ed emozioni della sua carrieré. Una sorta di blitz all'interno di ottanta anni di mito.

La prima volta che sono caduto avevo rubato il Galletto a mio papà, avrò avuto nove anni. Arrivo tutto trionfante sulla piazza del paese, mi fermo e faccio per mettere i piedi a terra. Pota! Non ci arrivo e pum! casco giù, io e il Galletto, sotto gli occhi di tutti. Che figura! Il mio primo motorino è stato un Bianchi Aquilotto con trasmissione a rullo. Quando mi hanno detto che finalmente era arrivato dal concessionario, ormai era sera tardi. Grande gioia, spasmodica attesa. Di notte non ho dormito. Il giorno dopo sono partito da casa a piedi, alle quattro, era ancora buio. Il paesino del concessionario era distante tre chilometri. Ho aspettato non so quanto tempo l'apertura del negozio, finalmente hanno sballato il motorino e me lo hanno consegnato. Un momento magico, me lo ricordo come se fosse adesso. Sono partito felice, via, ho fatto la mia miscelina, 200 lire, e sono stato in giro tutto il giorno, senza mangiare. I miei sapevano che ero andato a ritirare il motorino ma non avendomi visto tutto il giorno erano là disperati.

Quando sono arrivato a casa, allora avrò avuto dieci anni, mi hanno fatto la festa a suon di sberle, poi mi hanno sequestrato il motorino. Giustamente. E prima di ridarmelo... La mia passione è sempre stata la velocità, anche se sono cresciuto nella bergamasca, la patria dei regolaristi (come si chiamavano allora i praticanti del fuori strada). Però mio padre non voleva saperne di velocità. Allora sono riuscito a farmi regalare una Parilla 125 da fuoristrada, la mia prima vera moto. I campioni della regolarità passavano tutti dalle mie parti durante gli allenamenti. E io ero lì nascosto che li aspettavo; mi cacciavo subito dietro con la mia Parilla e non riuscivano a staccarmi. Allora alla prima sosta questi campioni mi chiedevano «ma tu chi sei?». lo dicevo il mio nome e chiedevo se per piacere potevo andargli dietro ancora. E poi li martellavo di nuovo. Allora avrò avuto tredici anni. È stato lì che ho capito. Se questi campioni con moto più potenti della mia non riuscivano a staccarmi, allora voleva dire che...

A questo punto io volevo una Ducati 125 monoalbero. Mi piaceva tanto anche la 175, sempre Ducati, che era una scheggia. Ma i miei, figurarsi! Così alla fine mi hanno comperato una Moto Guzà Lodola 175, che era una moto tranquilla, certamente era molto più tranquilla delle Ducati. Ma è stato proprio con questa moto che ho cominciato l'attività sportiva. Facevo le gincane. In principio non volevo farle; perché mi vergognavo. Una domenica andiamo con un mio amico in un paese dove c'era una gincana. Questo mio amico insisteva perché la facessi anch'io; ma veramente non me la sentivo di esibirmi sotto gli occhi del pubblico. Però alla fine ho accettato, perché ho visto uno che faceva questa gincana senza una gamba: poverino, era uno del paese. Allora dico: beh, se ce n'è uno senza gamba, ultimo non arriverò. Finalmente mi decido, mi butto dentro e vinco.

Avrò avuto 14 o 15 anni, il paese era Pisogne sul lago d'Iseo giusto di fronte a Lovere. Da allora, con questo mio amico (si chiamava Italo) tutte le domeniche andavamo nei paesi in cerca di qualcuna di queste garette: lui faceva il mio manager. E io vincevo le gincane. Oppure, anche durante la settimana, ci fermavamo nei bar dove c'erano i motociclisti con le loro Ducati, Morini, Gilera, eccetera. lo me ne stavo tranquillo da una parte; lui, tac, tac, metteva assieme la sfida: 5.000 al vincitore, trattava tutto lui. E la gente diceva, ma cosa vuoi vincere, con quel pistolino lì sulla Lodola?! Ma poi ci pensavo io a dargli giù di quelle tostate che se le ricordavano per un pezzo. Non ho mai trovato uno che mi superasse. Queste sfide si svolgevano tutte lungo la riviera, cioè la strada che costeggia ìl lago d'Iseo lungo la sponda bergamasca da Sarnico a Lovere, dove abitavo. In un anno avrò fatto cinquantamila chilometri con quella Lodola.

Mi dicono che sono sempre stato fortunato. Non è vero, perché quando mi sono presentato in gara per la prima volta alla Trento-Bondone del '61 con una Morini 175 comperata a 50.000 lire al mese, ho fatto subito il secondo assoluto. Avevo ancora il bauletto dei ferri, tanto che Walter Scagliarini, meccanico della Morini, mi ha detto: «Ma tu ti presenti così con la moto di serie, non sai che bisogna alleggerirla il più possibile?». Quando finalmente ho avuto in tasca 200/250.000 lire sono andato a Bologna in fabbrica per metterla a punto. Subito dopo ho corso a Riccione per la prima volta in circuito e sono—andato in testa contro le moto e i piloti ufficiali. Purtroppo mi si è rotto il bullone dell'ammortizzatore, così la ruota dietro è andata a strisciare sul parafango ed ho dovuto ritirarmi. Mi sentivo forte in tutto. Era un dono di natura. Sali e vai.

Forse non avevo la staccata di Pasolini ma non era conveniente, perché poi entravi in curva e non riuscivi più ad andar via. Avevo una dose giusta. Uno se è bravo lo dimostra subito, guardate Capirossi. Mio padre però continuava ad ammonirmi «Ma non lo sai che ci sono dei gran campioni?. Dove vai? A far figure?». Per distrarmi dalle corse mi aveva persino comperato íl motoscafo e la macchina. Invece io duro; dopo i primi risultati ho detto: probabilmente questo è il mio mestiere. Ho fatto solo cinque o sei gare con la mia moto personale, comperata a rate per 550.000 lire in tutto. Poi la Morini mi ha chiamato o mi ha dotto: “Vuoi la moto ufficiale?». Pota! Prima uscita, la Bologna SanLuca. Damiani, l’altro pilota Morini, era lo scoiattolo della montagna, aveva il bialbero a sei marce. Eppure io, con il Setto bello aste e bilancieri a quattro marce, ho fatto l'assoluto. Imparavo presto, facevo tre volte la salita, poi andavo su come una bestia.

II mio debutto mondiale a Monza nel G.P. dello Nazioni del 1963 con la Morini 250, è stato una sofferenza. Provini, íl numero uno della Morini, mi aveva sabotato, non mi faceva mai provare la moto. Ne avevamo lì quattro, tre per lui e una per me, ma non si decideva mai ad assegnarmene una. Finalmente me ne ha fatta provare una negli ultimi cinque minuti, sembrava che i giri ci fossero, ma vibrava forte, cosi in gara ho potuto fare soltanto due giri in pieno, al comando, poi si è staccato il tubo di scarico, si è rotta una pedana e ho dovuto ritirarmi. Non ho imparato niente da Provini, anche perché mi diceva ben poco e in modo confuso: o non sapeva spiegarsi o non voleva. L'unico che ho guardato un po' per vedere come faceva è stato Mike Hailwood. Aveva una gran staccata e poi andava torte in curva. Posso dire comunque di non aver avuto un maestro.

Quando son passato alla MV nel '65 mi sono trovato subito in difficoltà perché venivo dalle monocilindriche, mentre le MV quattro cilindri primo tipo erano grosse e pesanti. Prendevo tranquillamente un secondo al giro da Mike Hailwood, con la stessa motocicletta. Per superare i problemi di adattamento e per allenarmi a dovere, ho comprato una Norton 650 stradale e andavo su e giù per le strade del lago. Quando passavo, la gente si fermava ad applaudire. Lì la fortuna l'ho avuta davvero, perché non mi sono mai "impastato". Una volta però a metà curva ho trovato un camion che faceva inversione di marcia. lo raddrizzo, mi butto tutto sulla sinistra, vado sul marciapiedi e vengo giù illeso dall'altra parte. Se ci fosse stata una macchina proveniente in senso opposto, se il camion avesse fatto questa inversione più velocemente, lì ci restavo di sicuro. Sono tornato a casa sconvolto, ci son volute tre ore per farmi passare un po' lo spavento.

Mi sono guadagnato l'attenzione della MV dopo aver vinto il circuito di Varese nel '64. Infatti il conte Domenico Agusta in persona aveva detto a Magni di cercare quel ragazzino che aveva vinto la 250. Il brutto è stato quando ho dovuto dire al commendator Morini che intendevo cambiare moto. Il commendator Morini era un tipo molto alla mano, una persona squisita per come l'ho conosciuto io. Avevo le lacrime agli occhi nel comunicargli la mia decisione, era lui che mi aveva dato la possibilità di emergere. Teneva in mano il blocchetto degli assegni, mi diceva «ma vai proprio via?» mi abbracciava. E io: «guardi che non è questione di cifre, io voglio correre nel campionato del mondo, voglio diventare campione del mondo, (era impossibile con la Morini)». E continuavo a ripetermi: devo farlo, devo farlo. E ho fatto bene

Mi presento alla MV come d'accordo alle 5 di sera. Vedo un sacco di gente "tirata" nella sala d'aspetto. Arrivano le 6, le 7 di sera, la fame aumenta, e dico ad Arturo Magni «Ma non arriva?» e lui «È il conte». Arrivano le 8; verso le 9 non ne potevo più. D'accordo, c'erano molte persone che continuavano ad entrare nel suo ufficio, per problemi sicuramente più importanti del mio, elicotteri e cose del genere. Ma alle 9 ho detto «Arturo, io non ne posso più, me ne vado a casa, è dalle 5 che aspetto», e lui «Ma no, resta lì tranquillo, sai è il conte Agusta, vedrai che adesso ti chiamerà».

Finalmente alle 10 mi riceve. Entro tutto emozionato in questa sala tutta buia, piena di coppe, e lui, in fondo, su una scrivania alzata, come a scuola, con gli occhi bassi. lo e Arturo lì fermi, gli ho detto «Buonasera signor conte». E lui mi ha risposto «E chi sei tu?». Porca miseria, ho guardato Magni e lui ha risposto «È Agostini». lo ero un bambino di 18 anni e mi sono subito agitato. E il conte «Agostini, sì, ma che cosa vuoi?». E allora io, non so come mi sia venuto in mente, gli ho detto «Voglio correre» «Ma tu sei capace di guidare la mia moto?» «Mi provi!». E allora lui «Arturo, metti giù quattro birilli e mandalo a Monza».

Difatti il giorno dopo, prenotata la pista a Monza, Magni ha messo i birilli sul rettilineo e mi ha fatto fare ancora le gincane. lo, tra parentesi, avevo già vinto il Campionato italiano delle 250. I birilli a Monza hanno funzionato e poi abbiamo firmato il contratto. Ma economicamente mi hanno dato poco, metà di quello che mi dava la Morini. Però ho firmato ugualmente, nonostante a Monza si fosse presentata la Gilera che mi offriva il doppio.

Sono stato interpellato anche da altre Case ma, contrariamente a quanto si mormora, io ho sempre deciso senza pensare al denaro. La Yamaha si è presentata a Lovere con Hasegawa — adesso vice presidente — con un contratto in mano dicendomi «Please, put the amount», e io ho detto no, questo nel '69 o 70. Allora ho preferito restare alla MV. Mi aveva cercato anche la Benelli. Mi offrivano la nuova 500, ma non potevo lasciare la MV Agusta; anche se alla Benelli avrei preso sicura mente più soldi. lo devo dir grazie soprattutto a mio padre, che mi ha amministrato, ma anche aiutato; con i primi soldi ho costruito subito una casa, quando avevo meno di 20 anni. Non ho mai avuto manager, e quello che guadagnavo era mio e nessuno all'infuori di me ne era a conoscenza.

Ho cominciato a vedere un bel po' di soldi quando sono andato alla Yamaha nel 73/74. Inoltre già da due anni erano cominciati ad arrivare gli sponsor, e così ho accettato, anche perché vedevo che il due tempi stava ormai superando il quattro, la MV aveva un motore da 60 chili e la Yamaha era riuscita a farne uno da 35. Me ne sono andato dalla MV anche per il fatto che Read, per l'amicizia che lo univa al conte Agusta, spesso e volentieri raccontava storie per celare i difetti dei mezzi, e spesso le mie opinioni non venivano credute. Queste cose io non le accettavo. Oltre al fatto di come si comportava in gara. Ricordo una volta, a Vallelunga: ha tentato di buttarmi contro una roccia. Alla fine della corsa io e i miei amici l'abbiamo preso per il collo, gli ho gridato che era un bastardo e che avrebbe potuto vincere anche senza uccidermi.

Nessun altro pilota si è mai comportato così scorrettamente con me. Comunque, torno a ripetere, il migliore, anche per il lato umano, è stato Hailwood, non ci sono dubbi. Era quello più difficile da battere, però era onesto, non cercava mai di imbrogliarti. Spesso mi diceva «Ecco qui la mia moto, vuoi provarla?», si sentiva forte. Era scherzoso, giocherellone e non era assolutamente vero che bevesse; capitava sì, magari quando veniva a fare le gare qui in Emilia Romagna, ma quando eravamo al Tourist Trophy alle nove di sera era già in camera sua, per riposarsi e concentrarsi.

Tra i piloti della generazione più giovane, Roberts è sempre stato molto strafottente, prepotente, nel senso buono, ma continuava a ripetere «I am, io sono, io sono...». Mi ricordo quando sono stato in America, la prima volta a Daytona nel '74: la General Motors mi preparò una macchina con scritto "Thirteen times world champion" e lui subito rilasciò una dichiarazione dicendo che non era vero niente, che il campione del mondo era lui e non Agostini, perché il mondo è l'America, lui era campione americano e quindi valeva di più. È sempre stato così, molto bravo in moto. Oggi è uno che lascia un po' a desiderare, non gli dò il dieci che merita in moto.

È difficile trovare nel libro dei ricordi i giorni "più" e i giorni "meno". Certo un giorno "nero" indimenticabile è quello del G.P. delle Nazioni '74 a Imola. Quando sono rimasto senza benzina mentre ero al comando. Hanno detto che avevamo sbagliato a calcolare i consumi e quindi a riempire il serbatoio. In realtà la benzina che ci avevano dato era più volatile della norma. Ma questo lo abbiamo constatato dopo.

Che io in gara abbia consumato un po' di più, è vero. Ma non dovevo rimanere a secco: e nel penultimo giro! Non è vero che Mizoguchi, il responsabile giapponese della squadra, sia stato mandato in catena di montaggio per punizione; anche se è vero che è stato rimosso dall'incarico e "congelato" per qualche tempo. Non è stato lui il colpevole dell'episodio. Se fosse stata colpa sua, lo avrei sottolineato. Quando mi è mancata la moto non ha capito subito: era stata una gara tanto tirata, tanto bella; stavo battendo la MV con la Yamaha, e nel mio gran premio. Prima dicevano che vincevo perché avevo la MV e lì stavo battendo la MV con la Yamaha. Orco cane. Avevo abbassato il record quattro volte. Sembrava impossibile che fosse la benzina: invece quando ab biamo aperto il serbatoio era a secco.

Il mondiale vinto a Monza nel '66 con la MV Agusta. La vittoria nella 200 Miglia di Daytona del '74, al debutto con la Yamaha e con una moto a due tempi. Il Nùrburgring del '65, prima vittoria in un gran premio. La 200 Miglia di Daytona del '74 è stata davvero speciale: era la prima volta che correvo con una moto a due tempi, la prima volta con la Yamaha, la prima volta a Daytona. La prima volta che correvo su un circuito con le curve sopraelevate, dove mi girava la testa a causa della non abitudine.

Tecnicamente mi era preparato al meglio. 15 giorni in Giappone (dove soffrivo come un matto) e dove passavo intere giornate a provare la moto e a provare le partenze con il motore avviato. Roberts era forte, era a casa sua, era abituato a quel circuito. Quel giorno ho dato il massimo. L'unica sofferenza, testimoniata dalle foto che ancora tengo appese in casa, è stata provocata dal fatto che non ero preparato fisicamente ad una gara così che si disputava con un gran caldo. A metà corsa volevo fermarmi. Sognavo di essere in una piscina sott'acqua a nuotare. Poi è venuto fuori l'orgoglio: ho pensato a tutti i miei tifosi, alle mie donne, alla mia gente. Mi sono detto: «È una gara importantissima e la sto buttando via perché non ce la faccio fisicamente». Ho tenuto duro e ho superato la crisi. Ma dopo la gara sono rimasto a lungo sotto flebo, tanto che a cena sono arrivato con due ore di ritardo. Roberts in gara aveva accusato qualche problema tecnico. Era partito in pole position: ma io al secondo giro, col pieno di benzina, avevo già fatto il record della pista; ho tenuto un ritmo infernale. Forse il mio ritmo aveva messo in difficoltà Roberts che arrivò secondo.

Tutti i titoli mondiali mi hanno dato una gioia particolare. A Brno, in Cecoslovacchia, quando ho vinto il mondiale 500 con la Yamaha ero al mio quindicesimo titolo; eppure la gioia era enorme come per quelli precedenti. E io piangevo. Però in quel momento non immaginavo che quello sarebbe stato il mio ultimo titolo. Non era certo il momento di smettere. Ho sentito che era venuto il momento nel '77. In quell'anno mi erano andate male diverse cose. Ad esempio: G.P. di Finlandia, vado in testa mi si rompono due motori (nella 350 e nella 500). Ed era già accaduto qualcosa di simile a Hockenheim. Mugello, campionato italiano; con la 350 sono sesto settimo: recupero sino al secondo posto, mi si blocca il motore, cado e mi rompo una clavicola.

Dentro di me dico: forse Gesù non mi vuole più; forse è l'ora di smettere. E sono andato alle auto: Formula 2 nel '78 e Formula Aurora nel '79. Sono passato alle auto perché volevo dimenticare; mi era costato molto smettere, mi sembrava che mi cascasse il mondo addosso, sembrava che finisse tutto, che non ci fosse più uno scopo per vivere. Passare alle auto è stata una sorta di pretesto, di alibi: dentro di me mi dicevo che non ero ancora morto. E poi la curiosità di provare. Però pensavo fosse più facile imparare, cioè che ci volesse meno tempo per perdere l'abitudine a guidare l'auto come le moto. Per andare forte in auto avrei dovuto smettere a metà della mia carriera di pilota motociclista. Avevo parlato con Enzo Ferrari che mi aveva detto -Quando lei vorrà, la macchina per lei sarà sempre pronta». Era nel '69 quando provai la Dino Ferrari a Modena, e andando subito fortissimo, abbassando il record della pista. Ero a metà della mia carriera; avevo seminato tantissimo e ormai potevo raccogliere: non mi andava di buttare via tutto insieme.

Ero con Gianfranco Spezia (responsabile della Marlboro per l'Italia) e Aleardo Buzzi (vice presidente della Philip Morris) a Imola per la F.1. Mi dicono «Ma cosa fai?». Rispondo «Non faccio più niente». Incalzano «Ma sei contento?». Ammetto «No». «E allora perché non fai una squadra corse?». Macché squadra corse... Perché pensavo alle squadre di un tempo, quelle messe su da un meccanico con la sua officina... e giù a lavorare. Insomma non la vedevo come una professione di un certo livello. Sono tornato a casa, ci ho pensato su, ho immaginato una cosa a livello di F.1. E così ho valutato l'idea; sono andato a Losanna, ne ho parlato con Buzzi. Fare il team manager è una cosa che mi ha aiutato. Avrei potuto fare altri lavori; avrei potuto fare il palazzinaro, che è sempre stato il mio hobby, però non mi avrebbe dato le soddisfazioni che ho avuto con le moto anche da manager.

Nel 1982 Giacomo ritorna nel motomondiale, questa volta però come direttore sportivo del Team Marlboro-Yamaha e nel corso dei primi undici anni passati in questa nuova veste riesce a conquistare 6 titoli mondiali in classe 500: tre titoli costruttori (1986, 1987 e 1988) e tre titoli piloti (1984, 1986 e 1988) con Eddie Lawson. Nel 1992 passa in Cagiva, dove rimane per tre anni, fino al ritiro della Casa varesina dalle competizioni. Il 1995 è la sua ultima stagione nel Motomondiale, con il pilota Doriano Romboni.

Nella storia del Campionato Mondiale di Velocità Giacomo Agostini è il pilota che ha conquistato il maggior numero di titoli iridati (15), vincendo 123 Gran Premi e riuscendo a guadagnare il podio in 163 delle 190 gare alle quali ha partecipato. I mondiali vinti sono così suddivisi: 8 nella classe 500 (con 68 gare vinte) e 7 in 350 (con 54 gare vinte); in 750 ha vinto un solo GP. Agostini è anche l'unico pilota ad esser riuscito a conquistare un numero di titoli iridati superiore al numero delle stagioni interamente disputate (13). Nel suo palmarès troviamo poi anche 18 titoli nazionali (16 nel campionato Italiano Velocità, 1 nel campionato Italiano Velocità in Salita e uno juniores) e un totale di 311 vittorie in gare ufficiali.

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