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I guadi con la moto, quanta frescura

L'attraversamento di un fiume da una riva all'altra è una delle cose più emozionanti che si possano fare in sella ad una moto. Anche se non sempre vanno a buon fine

I guadi con la moto, quanta frescura

Non ricordo né la prima volta che ho sentito parlare di guadi con la moto, né la prima volta che ne ho fatto uno. Di sicuro lessi un articolo che colpì la mia fantasia. Era su un Motociclismo dei primissimi Anni 80 ed era piuttosto ruffianello. All'epoca, ogni tanto, uscivano degli articoli strani, tipo "Perché la Vespa è meglio delle moto" che era una marchetta talmente sfacciata che c'era scritto che le pieghe, con le ruote da 10", erano più sicure che con le ruote da 18"; e poi c'era questo "Perché sono contento di avere comprato la moto a Francesco" (o un nome simile) che però mi colpì per la frase "Certo, i motociclisti guadano anche i fiumi". Erano i primi Anni 80, come ho detto, quando la gente faceva queste cose con le moto da strada (nella gallery c’è qualche esempio). Io ancora non andavo in moto, ma mi facevo i film su che cosa avrei fatto quando, finalmente, ne avessi avuta una. E di sicuro avrei guadato i fiumi. Sapevo già che c'era gente che faceva viaggi pazzeschi in Islanda e in Ladakh, dove era normale che le piste passassero più volte i fiumi... ma era anche normale che questi fossero incazzati e pericolosi. In seguito ho scoperto che in Siberia ci sono la BAM e la Strada delle Ossa, dove devi scegliere se passare su ponti sul punto di crollare o direttamente nel fiume in semi-piena. Fatto sta che avevo 15 anni e pensavo che guadare i fiumi in moto fosse una delle cose più belle del mondo: e lo penso ancora.

 

CINQUE FASI

I guadi dei fiumi sono una storia divisa in cinque fasi. La prima fase è quando arrivi, ti accorgi che c'è un fiume, ti fermi e pensi a cosa fare. Si passa o non si passa? Si vede il fondo? Ci provo? Lascio perdere? Se decidi di passare, passi alla fase due, quella del "tuffo": nel senso che è come quando ti stacchi per tuffarti in mare, sei all'inizio, non sei ancora preda della forza di gravità, ma non puoi tornare indietro. Quindi, hai la moto già tutta dentro l'acqua, sei ancora vicino a riva, non sei ancora in pericolo, ma stai dando gas verso il centro del fiume, quindi ormai è fatta, indietro non si torna. Terza fase: sei nella pancia del fiume. Adesso scoprirai se hai fatto una cazzata oppure no. Senti l'acqua salire sempre di più, il fondo farsi sempre più sconnesso e scivoloso, la moto alleggerirsi e cedere alla spinta della corrente. Adrenalina!

La quarta fase è quando la moto inizia a risalire verso l'altra parte del fiume e tu capisci che il peggio è passato, o meglio: che il guado era fattibile. Inizi a sentirti un figo. La quinta fase è quando sei uscito dall'acqua, ma non è detto che sia la più facile perché non sono rari i fiumi con le rive ripide e sassose. E tu non hai una grande rincorsa, perché stavi lottando per trovare l'aderenza su grossi sassi muschiosi.

 

LA GIUSTA TECNICA

I fiumi si passano in tre maniere: la tecnica del Coniglio, quella dello Sfigato e quella del Superfigo. Come si capisce, una di queste richiede molto coraggio, mentre nelle altri predomina la prudenza (guardate le foto nella gallery, spiegano bene...). Perché toppare un guado può essere molto pericoloso: intanto perché se è inverno vi ritrovate tutti bagnati, poi per il serio rischio di rompere il motore. Non bisogna mai fare arrivare l'acqua al filtro: altrimenti, mentre voi accelerate, aspirate acqua direttamente nel motore. Il top è cadere in acqua dando gas. Il peggio che può capitare è che il motore, mentre perde colpi fino a spegnersi, abbia ancora energia per comprimere l'acqua nella camera di scoppio, fino a piegare la biella. Ma non è neanche bello quando l'acqua si mischia con l'olio.

Ecco quindi perché molti ricorrono alla tecnica del Coniglio: quella in cui tu scendi dalla moto e la spingi. Di solito si usa nei guadi altissimi. Tieni il motore acceso, in prima marcia e passi piano piano dall'altra parte. È una tecnica poco eroica e anche poco divertente, eppure esistono fior di piloti che l'hanno usata. Vedi certi guadoni della Dakar, o Peterhansel che, pur essendo in lotta per la vittoria della Gilles Lalay Classic, alle cascate di Jarrauds passava con tale tecnica, mentre i rivali passavano in sella.

La tecnica dello Sfigato la conosco bene, perché è quella che uso io. Entro in prima piano piano, zampetto e faccio tutto il guado in lievissima accelerazione, perché chiudere il gas in mezzo a un fiume non è cosa. Di solito gli stivali in Gore Tex che uso sempre non fanno passare l'acqua e mi cautelo da eventuali cadute, pertanto considero tale tecnica tanto moscia quanto garanzia di sopravvivenza, a patto di avere le gambe lunghe, o la sella bassa. In realtà, molti fanno la stessa cosa, ovvero avanzare guardinghi, ma stando in piedi sulle pedane, il che li rende più nobili e belli; ma, in caso di scarto dell'avantreno, è meno facile restare in piedi. E perché dovrebbe scartare, l'avantreno? Semplice, perché spesso l'acqua è torbida e non vedi dove stai mettendo le ruote. Oppure è limpida, ma c'è la corrente. Oppure è limpida e non c'è la corrente, ma quello che vedi è comunque distorto dalla diversa densità dell'acqua rispetto all'aria. Insomma, tu e la tua ruota anteriore non siete in gran confidenza, quando guadate i fiumi.

Ma è la tecnica del Superfigo quella che commuove le folle e che vi getta le donne tra le braccia. Si tratta di entrare in acqua a tutta manetta, in piedi sulle pedane, facendosi avvolgere da una campana d'acqua alta il doppio di voi. A dire il vero non ho mai capito perché certe volte si formi detta campana d'acqua e, invece, altre volte la moto sembra Mosé che divide le acque. A me la tecnica del Superfigo piace un sacco, ma non ho le palle per usarla perché la paura di finire in ammollo con tutta la moto prevarica la certezza di poter sedurre gente come Sara Sampaio o Emily Ratajkowski. Il motivo per cui si cade è semplice: state viaggiando a 270 km/h su un fondo di pietre bagnate disposte in modo da farvi scartare la ruota anteriore quando meno ve l'aspettate, dal momento che tanto, sott'acqua, non vedete nulla.

 

DAKAR

La Dakar è famosa come gara che attraversa le dune del deserto, ma ha anche una caterva di guadi incredibili e spettacolari. Vengono in mente tanti esempi. Meoni vinse una delle prime tappe della sua vita, nel 1996 in Nuova Guinea, facendo tanti guadi con la tecnica del Superfigo, mentre diversi rivali ricorrevano a quella del Coniglio. Meoni era un endurista toscanaccio che a passaggi come quelli era abituato.

Famosissimo il guado in cui Arcarons affogò durante quella che credo fosse la Paris-Le Cap del 1992, o la Paris-Dakar del 1991. Era quasi arrivato in fondo, quando la ruota posteriore gli affondò nelle sabbie mobili, tirandosi dietro mezza moto. Abbiamo solo una piccola foto di quel disastro (cliccate qui), ma si capisce bene come il buon Jordi fosse messo male. Lui compreso, non solo la moto!

Altro guado famoso quello marocchino del 2004, creatosi dopo una bella piovuta. Il privatissimo Gian Ernesto Astori ci affogò la sua Honda XR400R e sarebbe stato uno dei tanti sconosciuti ritirati senza gloria della Dakar se non fosse che, subito dopo di lui, arrivò Jutta Kleinschmidt, con la Volkswagen Touareg ufficiale, che passò il guado a tavoletta, ingozzando di acqua il motore. Visto che si annoiava ad aspettare i soccorsi e che anche lei aveva corso la Dakar in moto, per passare il tempo si mise ad aiutare Gian Ernesto a ripartire, mentre gli elicotteri filmavano la scena, essendo lei una pilotessa ufficiale. Ci sono così questi video di Eurosport con la Jutta che skicca sulla piccola XR, senza peraltro cavare un ragno dal buco: la moto non ripartì e il povero Astori tornò a casa senza neanche essere riuscito ad andare oltre il Marocco.

Eccoci quindi alla Dakar 2012, con Filippo Ciotti che sta guadando un fiume spaventoso con la tecnica del Coniglio, aiutato da un indigeno. Arriva Peterhansel, con la Mini ufficiale. Sta gareggiando per vincere, ha il piede pesantissimo, entra nel guado bello spedito e non rallenta quando vede quei due che stanno spingendo la moto. Se cercate su Youtube, non solo troverete la Jutta che skicca la XR, ma anche la Mini che urta Ciotti, facendogli finire la moto sott'acqua (qui la foto). Peterhansel ha vinto sei Dakar in moto, ogni tanto corre tutt'ora con le due ruote, quindi sapeva benissimo che danno stava procurando al povero Filippo, ma non s'è fermato ad aiutarlo: avrebbe perso la Dakar. Terminò la speciale, fece pure il trasferimento e poi aspettò per ore che l'italiano terminasse la tappa, per scusarsi, sempre nella speranza che Filippo fosse riuscito a ripartire. La Rieju-Yamaha di Filippo ripartì dopo un sacco di tempo e lui riuscì ad arrivare in fondo alla gara, cinquantunesimo; e quella sera arrivò al bivacco con l'intenzione di menare Peterhansel. Poi non lo fece, accettò a denti stretti le sue scuse ma, in fondo in fondo, non lo ha mai perdonato.

Anche in Italia è stato possibile provare esperienze simili, come al Sardegna 2005, o al Sardegna Legend 2006, quando alcuni guadi sono stati chiusi solo dopo che qualche temerario era riuscito a passare al limite dello spegnimento.

 

CAPIRE IL FONDO

Non ricordo il mio primo guado. Nel 1985 avevo una Gilera Arcore 125 ed entrai dentro una pozzanghera per divertimento, ma era fangosa e la moto si sporcò di fango. Qualcuno – un pirla di sicuro – mi disse che la ruota posteriore avrebbe sicuramente fatto entrare il fango dentro il motore, per cui mi disse di togliere a mano i pezzi di terra se non volevo grippare. Lo feci, ma ci misi due ore. Tempo dopo mi trovai nella periferia di Milano, su una sterrata tutta buche, davanti a una pozzanghera enorme. Una parte di me mi diceva: "Buttati! Sarà meraviglioso!" e un'altra parte di me diceva: "Ti entrerà il fango nel motore". Dopo dieci minuti che non mi decidevo, arrivò un tipo in sella a una Honda XL250S, a torso nudo e senza casco (nel 1985 non era obbligatorio). Passò la pozza da parte a parte senza morire e questa cosa mi sdoganò la passione per i guadi.

Così, nel 1987, a febbraio, andai sul fiume Ticino con mio fratello. Il fiume era già Parco Regionale, ma ci andava ancora un sacco di gente con la moto. Avevo una Honda XL200R acquistata da poco e volevo imparare a fare fuoristrada. Ero già sedotto dal fascino del fiuming. Trovammo un ramo laterale del Ticino e lo guadammo; faceva freddo, le pozzanghere erano gelate. In questa occasione si ebbe la conferma di ciò che molti pensavano da tempo, ovvero che, dal punto di vista pratico, mio fratello è piuttosto sveglio, mentre io sono un cretino. Perché il guado era molto lungo e non si capiva il fondo, così adottammo due ragionamenti diversi.

Piero Ciaccia: "Passerò dove vedo che l'acqua si increspa, perché vuol dire che è più bassa".

Mario Ciaccia: "L'acqua si increspa a causa della presenza di grossi sassi rotondi e lisci, dove le ruote non fanno presa. Passerò dove l'acqua è perfettamente liscia".

Mio fratello passò dove diceva lui, non ebbe alcun problema, quindi si girò per vedere come fossi messo io. E si mise a urlare tutto l'odio che provava per me.

Io ero entrato dove l'acqua era liscia. Il fondo era duro, di ghiaia fine, perfetto. Ma era anche in discesa. Ripida. Io vedevo il fondo e mi sembrava commestibile, ma non avevo calcolato che la densità dell'acqua avvicina i piani, rispetto all'aria. Quando sentii l'acqua fredda entrarmi nelle mutande e avvolgermi il pisello, capii che ero in un grosso guaio. Quindi, accelerai a manetta, per uscire dall'altra parte, ottenendo l'effetto geniale di accelerare l'immersione del mezzo. Quando il motore si spense, fuori dall'acqua uscivano solo il manubrio e il tappo del serbatoio. Mio fratello vide questa cosa e mi insultò con tutto il sentimento che la situazione ispirava. Ed aveva ragione. "Senti, dovresti aiutarmi, da solo non riesco a spingere la moto", dicevo con finta indifferenza. "Cazzo, cazzo, CAZZOOOOOOOO!!!!!!!!!!!" urlava lui. Lo so che non è bello scrivere le parolacce negli articoli, ma qua ci vuole, siate comprensivi.

Già all'epoca avevamo la mania di portarci dietro le reflex per farci le foto, ma eravamo ancora dei pivellini, come fotografi: perché, in casi come questo, la prima cosa da fare è scattare la foto e dopo aiutare il fesso, mentre noi ancora ci facevamo prendere dal pathos della shit-uation e non pensavamo che poi, a bocce ferme, quelle foto te le godi molto di più di quelle in cui va tutto bene. Pagherei, per avere una foto di me con l'acqua ghiacciata fino all'ombelico. Avrei dovuto dirglielo: "Fotografami, prima". Lui, che era asciutto e ben coperto, entrò tutto vestito in acqua (fino all'ombelico!), mi aiutò a spingere la moto e poi passammo la giornata a smontare filtro e carburatore. Poi mi fece partire trainandomi con una corda, con l'acqua sputata via dalla marmitta. Alla fine la moto ripartì, ma i 40 km dal Ticino a Milano ce li facemmo bagnati fradici, al tramonto, con due gradi sopra lo zero. Da allora, ogni volta che non sono sicuro dell'altezza di un guado e sono da solo torno indietro.

 

L'INVERNO...

Cadere nei guadi d'estate è quasi bello, se fa un caldo boia. Ma se ci cadi in pieno inverno, è spaventoso. Alla Motonightmare, che è un giro pre-natalizio che si svolge a dicembre in Liguria, c'è un lunghissimo guado del fiume Vara che crea sempre preoccupazione: è lungo, l'acqua è alta, la corrente è forte e il fondo è a sassi grossi e scivolosi. Gli organizzatori lo dicono sempre: "Se volete lo facciamo, ma considerate che è facile cadere e che ci sono pochi gradi sopra lo zero". Nel 2012 lo facemmo a tarda ora, quando il sole era ormai tramontato e a cadere fu uno degli organizzatori. Uno che guidava benissimo la sua splendida KTM 690 con carena e grafiche Red Bull: solo che si giocò male il jolly della tecnica Superfigo. Se guardate la foto (cliccate qui), vedrete bene come è finito in acqua con tutto il corpo: di lui si vede solo la gamba destra. Uscì completamente fradicio, in pieno inverno e poi gli toccò proseguire la gita in quello stato. Ci provò ma, dopo pochi km, se ne tornò a casa; e lo capimmo tutti.

 

LE CAVALCATE

Ci sono alcune cavalcate che hanno fatto dei guadi i loro pezzi forti. E in cui è normale vedere diverse moto ferme all'uscita del fiume, coi piloti fradici che tentano di rianimare motori ubriachi d'acqua. Molto note sono la Centoguadi (nomen omen!) e la Centomiglia nella zona di Volterra, la Colle-Follonica e la Sette Guadi vicino a Cremona. Alla Colle-Follonica del 2004 arrivammo a un guado enorme, con decine e decine di moto in coda che aspettavano il loro turno. Si vedeva di tutto: chi era terrorizzato e non osava passare, facendo passare quelli dietro; chi ci provava con successo con la tecnica Sfigata, chi adottava la stessa tecnica ma finiva in acqua. I pochi che tentavano la Superfigo e ne uscivano vincitori ricevevano l'applauso della folla. C'era pure gente a piedi veduta apposta a vedere questo spettacolo...

Bene, io ci arrivai con il mio amico Polpo e questo era malato di esibizionismo a livelli letali. Quando vide la folla degli indecisi sostare in pena sulle rive dell'Acheronte, decise di dare lezioni di guida a tutti. Si mise in piedi sulle pedane, rovesciò indietro il comando del gas della sua Honda XR600R ed entrò nel fiume a 300 km/h, sollevando spruzzi alti chilometri. La moto tentò di disarcionarlo più volte, ma lui la tenne a bada. Il Popolo era impressionato. Giunto sull'altra riva, Polpo era eccitato come una bestia e il suo ego era a livelli da pallone aerostatico. Io pensai: "Questo è troppo pirla. Siamo a un terzo della cavalcata, poi si deve pure tornare indietro da Follonica fino a Colle, non può rischiare di annegare nel fiume e sputtanare tutto solo perché c'è una folla che lo acclama". Polpo pensò un'altra cosa: "Non mi basta un solo bagno di folla, ne voglio tre!". Così, girò la moto per rifare il guado al contrario (e, quindi, avrebbe dovuto farlo una terza volta, per proseguire la cavalcata). Questa volta entrò a 350 km/h e la moto, nauseata da tanta pirlaggine, gli disse: "Oh, hai rotto" e si sdraiò nel fiume. Il bagno di folla diventò un bagno e basta. Da Dio del Fiume, a Re dei Pirla. La Folla non lo acclamava più: adesso lo derideva. La sua cavalcata finì lì, la moto non partì più.

 

LA SETTE GUADI

Con la Sette Guadi abbiamo assistito alla trasformazione di un'innocente garetta per bicilindrici, alle porte di Milano, in evento epocale. Avete in mente film come "Un mercoledì da leoni", con tutti i surf sulla riva, le ondone, la gente che le sfida e gli altri che li guardano ammirati? O le oceaniche folle di skateboardisti che si trovavano al Trocadero, a Parigi, nel 1978? Quando succedono quelle cose, lo sport si eleva da passatempo a celebrazione collettiva di un rito. Se c'eri, "Io c'ero", se non c'eri sei fuori dalla storia. Cosa successe? Era il 2009. La Sette Guadi era una gara tra amanti delle bicilindriche, ideata nel 2006 da un genio di nome Luigi Corrù, che oggi ha lasciato le moto per le maratone a piedi. L'idea geniale fu quella di correre nelle campagne di Trescore Cremasco, che sono piene di canali. Questi canali andavano attraversati per traverso, come logico, ma alcuni andavano fatti per il lungo. Per il lungo! Questa cosa era fantastica. Solo che, nel 2009, venne presa la decisione di allungare a dismisura i tratti da fare per il lungo, fino a tratte da ben 700 metri (quando 20 metri sono già tantissimi per un guado!). Fu un azzardo, ma poi si mise a piovere fino a poche ore dal via: una pioggia torrenziale, che alzò il livello già alto dei canali. Io, fino ad allora, avevo già fatto tantissimi guadi, ma mai delle robe simili (qui le foto). Quello da 700 m era talmente lungo ed alto che, passati i primi 200 m, mi sembrava di essere in canoa. Se acceleravi troppo, creavi un'onda che sommergeva le moto di quelli che stavi superando, inoltre la tua stessa moto veniva sommersa. Ma non tutte le moto presenti erano adatte a robe simili. Il top sono le vecchie Husaberg, quelle col filtro in mezzo al serbatoio; mentre le peggiori sono le BMW boxer, che si bagnano il filtro già quando l'acqua è bassa. I giri da percorrere erano tre, ma la maggior parte dei partecipanti non andò oltre la metà del primo, quando le loro moto affogarono al guadone dei 700 m. Quelli che ce la facevano uscivano dall'altra parte in totale estasi. Io avevo una Husqvarna TE610 che, puntualmente, a un certo punto si spegneva, facendomi pensare "Eccomi al capolinea", ma poi ripartiva. Quelli con le Suzuki DR-Z soffrivano l'eccessiva lunghezza dei tubi si sfiato sotto al motore che, se tappati, portavano allo spegnimento del motore. Per ripartire, era necessario fare uscire quei tubicini dall'acqua... Si rimediava con un bel paio di forbici.

Sono passati cinque anni da quell'evento demenziale, ma ancora se ne parla. Molta gente che dovette rifare il motore fece il culo a Luigi Corrù, soprattutto quelli con le BMW, per cui in seguito la Sette Guadi visse un ammosciamento progressivo che l'ha portata alla morte (anche perché il suo ideatore ha cambiato passione). Non so quante altre gare abbiano basato il loro successo su guadi così lunghi e profondi, ma effettivamente va detto che era una prova troppo impegnativa per gran parte delle moto da fuoristrada di serie. Una sorta di "estrema", ma per sfigati e alle porte di Milano.

 

LA VALLI OROBICHE

La Cavalcata delle Valli Orobiche del 1997 è stata veramente tosta. Pioggia a catinelle fino ai 1.200 m, neve sopra. Partiamo da Milano, in moto, sotto il diluvio. Siamo in due e il mio compagno, che ha una XT600, si ferma più volte: i soliti problemi elettrici delle XT sotto la pioggia. Arriviamo a Rovetta (BG) con due ore di ritardo sulla partenza, ci iscriviamo, entriamo nel letto del Valeggia senza trovare nessuno, gli altri enduristi se ne sono andati da un pezzo. Ma ci sono dei guadi lunghi e profondi che non c'erano, negli anni precedenti. Saliamo fino al Passo della Presolana, ma lassù nevica e le mie Michelin T63, tassellate dure da sterratoni asciutti, non fanno presa. Non riesco a salire. Siamo ultimissimi, ma un sacco di gente torna indietro: lassù c'è tanta neve e non riescono ad andare avanti con le gomme da enduro racing. Allora ci ritiriamo, ma abbiamo voglia di fare fuoristrada e così decidiamo di tornare nel Valeggia a rifare quei bei guadoni. Con noi c'è altra gente. E ci sono pure quelli del percorso trial, che il Valeggia lo fanno alla fine ed al contrario. Arriviamo ai guadi e li affrontiamo tranquilli, avendoli già fatti all'andata: ma sono passate quattr'ore, nel frattempo; e non ha smesso di diluviare per un solo secondo. Il livello s'è alzato di parecchio. Io, con la DR350, passo al pelo. Il mio amico con la XT600 si ferma quasi alla fine e ne viene fuori a spinta. Quello subito dietro di noi cade e si mette a nuotare, mentre la corrente gli porta via la moto: ed è fortunato, perché il manubrio emerge con la manopola dentra, tipo pinna di squalo. Quelli dietro si spaventano, un trialista ci prova e la corrente porta via anche la sua moto. Io scatto foto su foto, ma ho agganciato male il rullino e non verrà nulla.

Sette anni dopo, mia madre chiama un fabbro per un problema alla porta blindata. Casualmente sono in casa anche io, il fabbro mi guarda e mi dice: "Mi ricordo di te, eri al guadone della Valli Orobiche. Io ero uno di quelli che si tuffò per salvare il mio amico che era caduto nel fiume con la moto da trial". In seguito, l'ho rivisto: era iscritto alla Sette Guadi, manco a farlo apposta!

 

QUANDO MILANO SI LASCIA GUADARE

Su Youtube girano video di persone che affrontano le alluvioni delle città del lontano oriente con piccole 125 da strada equipaggiate con prese d'aria del filtro rialzate, tipo 4x4. Nella tragedia di un'alluvione, è bello vedere che c'è chi si adatta, suppongo divertendosi follemente. A Milano, la città dove vivo, le piene del Seveso sono croniche, ne sento parlare da quando sono nato, non è stato mai realizzato qualcosa per affrontarle e chi abita nella zona nord della città è rassegnato come i veneziani nei confronti dell'acqua alta. Mi capitò un giorno di passare di lì, diretto all'assistenza della Canon, quando trovai un posto di blocco della Polizia che deviava il traffico perché il ponte sotto la ferrovia era allagato: il Seveso era esondato. Stavo girando i tacchi, quando uno dei poliziotti disse: "Ma lui ha un'enduro, lui può passare". Ero incredulo, ma cosa potevo fare se non precipitarmi sotto a quel ponte? Era un guado lunghissimo e molto profondo, tanto che a un certo punto mi venne il dubbio di stare per replicare la mia figuraccia del 1987. Ma la moto non si spense e io arrivai dall'altra parte.

Poi c'è stata quella volta che chiedemmo al Consorzio dei Navigli di poter andare dentro il Naviglio Grande, approfittando di quei periodi in cui lo prosciugano. Ci dissero di sì e ci diedero una data. Ma, il giorno pattuito, il Naviglio aveva l'acqua. Eravamo davanti al canale, chiamammo il funzionario che ci aveva dato il permesso e il dialogo fu il seguente: "Pronto, ci avevate detto che avreste prosciugato il Naviglio, invece è pieno d'acqua". "Non si preoccupi, è vuoto, vada pure tranquillo". "Ma ci siamo davanti...". "Tranquillo, è secco". Era pieno d'acqua. Ma un giro lì dentro ce lo siamo fatti lo stesso (ecco la prova).

 

TTT

Motociclismo All Travellers è la pagina Facebook della sezione turistica di Motociclismo. A maggio abbiamo organizzato una tendata un po' strana: era aperta ai mototuristi, quindi con moto da sdrada o da enduro, ma prevedeva 2 km di sterrato in salita per arrivare alla meta finale, la Forca della Spina, presso Spoleto, in Umbria. Siamo rimasti stupiti da due cose: da quanto le maxienduro mettano in difficoltà i neofiti e da quanta gente con le moto da strada sia disposta a fare sterrati se in cima ad essi c'è una tendata. Abbiamo chiamato "Tragedy Tornant" una curva dove un sacco di gente si era sdraiata. Così Marcello Romano, gestore della scuola Maxienduro Off Road Academy di Carpaneto (PC), ci ha proposto prima di fare un corso di guida per neofiti delle maxienduro e poi un corso di guida fuoristrada per moto da strada, il Tragedy Tornant Training (TTT), con tanto di tendata e di replica del Tragedy Tornant. Abbiamo detto di sì, ma ci domandavamo quanta gente fosse interessata a una balordaggine simile. Ovviamente poca: ma già uno ci avrebbe stupito. Il corso s'è svolto a luglio e, al sabato, abbiamo visto girare in pista da cross una Honda Gold Wing 1500, una Ducati Multistrada 1200, una Honda CB500, una BMW F 800 R, una Kawasaki Versys 650 e una BMW R 65, oltre a svariate enduro molto stradali come la BMW F 700 GS, la Suzuki Freewind 650 o la V-Strom 650 ed altre, per un totale di 40 iscritti.

Marcello Romano ha una forte personalità ed un'enorme carica emotiva, per cui s'è messo ad aizzare i partecipanti, fino a convincerli a partecipare, il giorno dopo, a un giro di 70 km, con un guado finale del fiume Nure per nulla facile: lungo una ventina di metri, con fondo a sassi grossi e uscita ripida e sassosa. Quando ci sono arrivato, ho pensato: "Marcello è pazzo. Gli si è chiusa la vena. Non può pensare che delle moto da strada, con dei piloti alle primissime armi, possano passare qua dentro senza esplodere". Meno male che, almeno, quello con la Gold Wing non è venuto...

Sono passato tra i primi, per espletare la sadica parte fotografica e adottando la tecnica dello Sfigato, ovvero zampettando ignobilmente con la mia Africa Twin. Marcello Romano, che ama farsi chiamare Bulldozer, invece incitava i partecipanti a usare la tecnica del Superfigo. Pazzo! In casi come questo, io sono per il "Meglio cento anni da pecore che un giorno da leone", mentre il Bulldozer la pensa al contrario. Ebbene, su 34 guadatori ben 12 sono caduti (le ultime foto della gallery mostrano le varie imprese), dividendosi tra quelli che facevano il bagno e quelli che riuscivano a schiantarsi in uscita di guado, quindi senza bagnarsi. Ma, col caldo che faceva, il dubbio era che la ragione fosse dalla parte di chi finiva in ammollo. Nessuna moto ha bevuto acqua, nessuno è finito in sala gessi, per cui la cosa è stata un successo. Anche perché, soprattutto, nessuno s'è incazzato: potere dei leader. Quel Marcello Romano sarebbe capace di mandarli tutti all'Elefantentreffen in canottiera.

 

TED SIMON

L'inglese è considerato il numero uno tra coloro che hanno fatto il Giro del Mondo non perché era un figo che non aveva paura di nulla, piuttosto per il suo contrario: ha scritto dei libri trasudanti umanità, con tutte le sue paure, i suoi fantasmi, le sue sofferenze, ma non per farsi compatire o ammirare. Non c'è enfasi, non calca le parole, non mette quindicimila aggettivi. Non se la tira e non se la mena, racconta solo le cose come stanno. Ed è stato talmente onesto da raccontare che, quando un mercante sudanese ha tentato un approccio sessuale con lui, era talmente preso dalla situazione -sperduti in mezzo al deserto, di notte – da provare una qualche attrazione fisica, subito inibita dalla parte razionale di lui. Sicché, leggete cosa scrive di fronte al primo guado della sua vita, in Etiopia, in sella alla sua stradalissima Triumph Tiger bicilindrica da 500 cc:

 

"Quale nuovo mostro mi toccherà affrontare oggi? Eccolo che arriva. Un fiume.

Mi fermo a contemplarlo e il cuore mi sprofonda nello stomaco. Come farò ad attraversarlo? C'è un guado, largo una decina di metri. E l'acqua non è troppo profonda: circa quaranta o cinquanta centimetri al massimo, ma il letto del fiume è impraticabile in moto. È cosparso di grossi ciottoli neri, grandi come palloni. Ammesso che le gomme abbiano presa sui sassi, che comunque sembrano così scivolosi, come posso aspettarmi che la moto non perda poi l'equilibrio? Mi spaventa molto quello che potrà accadere, sono quasi certo del disastro. Soltanto il pensiero delle migliaia di chilometri già percorsi mi costringe ad affrontare il problema. Non ho mai guadato un fiume prima d'ora. Per cinque o dieci minuti vado avanti e indietro, cercando un passaggio migliore, sforzandomi di soffocare il panico nel petto e di trovare un po' di calma e risolutezza. Infine, sopraggiungono entrambe. In qualche modo, la paura è stata anestetizzata. So che tenterò e che devo tentare subito. C'è una prima e un'ultima volta per ogni cosa, dico a me stesso e mi lancio nel fiume, cercando di azzeccare la velocità giusta. Non mi resta altro da fare che avvinghiarmi al manubrio e recitare una preghiera. Sto correndo troppo per poter cambiare direzione e scegliere un passaggio. La motocicletta balza qua e là come impazzita. Con assoluto stupore, mi trovo a salire dall'altro lato. Mi fermo, tremante di sollievo.

Che luogo meraviglioso è questo mondo. Sembra davvero che fossi destinato a passare".

 

Il pazzo, per il suo primo guado, ha scelto la tecnica del Superfigo... e gli è andata bene. Ma non parla di sé come un figo. Quel batticuore, quell'angoscia... Quanti motociclisti da forum si farebbero impiccare, piuttosto che ammettere di avere paura? E quanto si potrebbero ritrovare, in queste parole, i guadatori del TTT con le loro moto da strada?

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