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Quando le foto diventano un vero reportage

L’avvento delle compatte prima e degli smartphone poi, ha moltiplicato il numero di fotografi. La tecnica conta, ma di più la capacità di emozionare

Quando le foto diventano un vero reportage

Fino a una decina di anni fa i fotografi si dividevano in due grandi categorie ben distinte e distanti fra loro: i professionisti e gli amatori. Allora il grande gap fra le due categorie non era determinato dalla disparità di mezzi ma dal fatto che ai secondi, a differenza di oggi, mancava la cultura della foto, ovvero quell'ansia documentaristica che ci ha preso tutti a partire dalla metà degli anni Novanta. L’avvento del digitale ha  sparigliato le carte, rendendo molto più sfumati i confini fra l’uso professionale e l’uso privato della macchina fotografica (qui l'esperienza e i suggerimenti di Mario Ciaccia in merito). Il mercato, poi, ha cominciato a sfornare strumenti che a prezzi abbordabili garantivano una resa sempre migliore, i social network e l’annessa mania della “condivisione” hanno fatto il resto: la fotografia da arte per pochi è diventato un gesto quotidiano, un modo assolutamente naturale di esprimere il proprio vissuto.

 

SOLO CHI CONOSCE L'ARTE PUÒ DIMENTICARLA

La fotografia è quindi diventato fenomeno pop, tanti la possono capire e interpretare, molte più persone la maneggiano e la sanno pure post-produrre. Distinguere un’immagine fatta con uno smartphone evoluto (per esempio il solito iPhone o il sofisticato Lumia 1020) ed elaborata con uno dei noti programmi di fotoritocco o più banalmente con qualche app di nuova generazione e un’immagine fatta ad arte in origine (sempre che esista ancora un fotografo che non modifichi lo scatto a posteriori) è molto più difficile. Ma i nodi che vengono subito al pettine e smascherano l’amatore si chiamano: composizione, esposizione, forza narrativa, ecc. Chi non conosce l'arte non può metterla da parte. E questo vale anche per la postproduzione: l'uso troppo pesante di Photoshop & simili è spesso sintomo di scarsa sensibilità fotografica. I più bravi, in realtà, riescono a far sembrare naturale uno scatto su cui hanno lavorato per giornate intere (guardate nella gallery alcuni scatti che abbiamo selezionato per voi). Comunque come in tutte le cose occorre misura e gusto e questi si possono coltivare. Come? Leggendo riviste, frequentando siti, pagine Facebook, corsi a tema... Solo il continuo confronto con gli altri o coi “maestri” e affina l'arte. Non diciamo nulla di originale. Eppure dobbiamo rilevare che la fotografia è uno delle discipline in cui con più difficoltà ci si rende conto dei propri limiti.

 

IL FATTORE “CUORE”

Tante proposte di viaggio che ci arrivano in redazione non si tramutano in articoli per la qualità delle foto non in linea con i nostri standard. Quando lo facciamo notare, spesso, c'è una reazione di sorpresa, in taluni casi anche di vero sdegno: “Come è possibile che le mie foto non vadano bene? Mi sono impegnato…. E poi i miei amici  dicono che sono belle…”. Ci rendiamo conto che tanti fotografi crescono e coltivano la loro arte in totale solitudine: cominciano a fare foto per sé, poi per le persone vicine e ai primi plausi già si convincono di essere dei semiprofessionisti. A condizionare il giudizio sulla loro abilità, infine, ci si mette anche quello che chiameremo il fattore “cuore”, per il quale risulta difficile dire che è brutta una foto a cui sono legati i propri ricordi.

Ma c’è anche un’altra categoria di fotografi da viaggio: coloro che danno per scontato che le loro foto non siano belle, “perché non siamo professionisti”, oppure “perché la mia compatta è molto scarsa”, o “perché ho usato il telefonino”, ritenendo però di meritare la pubblicazione solo perché hanno fatto un bel viaggio. Se hai la presunzione di voler divulgare la tua esperienza, hai anche il dovere di documentarla in maniera degna, sia a livello di testi, di foto. Altrimenti, viaggia per te stesso. Quando si viaggia per puro diletto, scattare foto risulta comodo solo nelle soste, con le moto parcheggiate, quello che si spoglia, quell’altro che fuma o che mangia un panino. Ma non si può proporre un servizio con solo questo tipo di foto. Purtroppo, realizzare inquadrature più ordinate e interessanti è stressante come un lavoro... e per essere un lavoro completo deve contemplare paesaggi, colore, frammenti di vita, belle strade (e il più possibile sconosciute), moto (in movimento possibilmente), facce, cibo, archittettura, ecc. Un esempio di quello che ci piace lo trovate nella nostra gallery.

 

NON “RUBARE” MAI

A volte la ragione per cui giudichiamo impubblicabile una foto è che in essa c'è troppo “cuore”. Nel senso che nel farla vi siete preoccupati di portare a casa un souvenir più che un documento. Legittimissimo se non aveste ambizioni “editoriali”. Ecco la differenza fra foto delle vacanze e foto reportage: nel secondo caso c'è un intento conoscitivo-divulgativo che non c'è nel primo. Nella foto-vacanza spesso si mira a “rubare” lo scatto senza pensare bene cosa vogliamo metterci dentro, per cui ne conseguono i due errori più comuni: la foto priva di importanti elementi identificativi, che dà la sensazione possa essere stata scattata ovunque. Succede più che altro con gli scatti “on the road” che ritraggono tratti di strada che potrebbero trovarsi in qualsiasi posto del mondo. Oppure, al contrario, la foto in cui ci sono troppe cose, che alla fine non raccontano nulla e quindi  “disordinata”, “poco pulita”: ricordiamoci che la bella foto è sempre quella in cui si è compiuta una scelta, cioè in cui si è indicata una chiave di lettura dando più importanza ad un elemento piuttosto che a un altro, a seconda della storia che vogliamo raccontare.

 

NON È RICHIESTA LA PERFEZIONE

In un articolo di viaggio le foto sono importanti quanto i testi. Dietro ad un bel reportage c’è sempre il binomio bella storia + belle immagini. E sovente chi è in grado di proporre una bella storia sa anche produrre belle foto. Perché è la sensibilità quella che conta: ci sono reporter professionisti che fanno foto perfette, che hanno -tecnicamente parlando - una resa altissima, ma che emozionano poco. Nella fotografia di viaggio, poi, la parola “professionista” è un’arma a doppio taglio, come l’espressione viaggiatore professionista, del resto, è una sorta di ossimoro. Sì può considerare il viaggio un lavoro? Certamente sarà più ispirato chi parte per il solo fine di conoscenza rispetto a colui che è tenuto a replicare la sua avventura. A meno che non abbia una vera vocazione per la divulgazione, allora in quel caso si può parlare di reporter. Grandi  reporter di viaggio nell’ambito dei viaggi in moto non ce ne sono stati molti: in passato i noti Roberto Patrignani, Giorgio Bettinelli, Ted Simon... Nessuno di loro nacque come fotografo e non lo diventò mai: il loro fine è stato prima di tutto conoscitivo, in un secondo tempo è diventato divulgativo. Questo a dimostrazione del fatto che, per emozionare, non occorre essere perfetti. E oggi, conclusa da un pezzo la fase pionieristica del viaggio, del giornalismo e della fotografia, chi è in grado di fare scuola? Chi vi emoziona? (ditecelo veramente).

 

LA QUALITA’ DELLE FOTO

Perché le foto vengano giudicate di qualità serve anche una buona dose di freschezza, veracità. Soprattutto nei reportage motociclistici è richiesto (sempre di più!) il “vissuto”, cioè immagini che sappiano trasmettere lo spirito del viaggio. Ma potremmo dire che il taglio “verace” è apprezzato in qualsiasi ambito, non solo in quello motociclistico: è la nuova tendenza “social” a richiederlo, per cui non ci basta più portare a casa il souvenir di viaggio, vogliamo raccontarlo al mondo. Ed è un fenomeno che è partito dal Web ma che ha contagiato anche la carta stampata: i lettori chiedono anche ai giornali immagini informali, storie in cui identificarsi.

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