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Giorgio Faletti: quella volta che scrisse su Motociclismo…

Con il comico / scrittore / cantante / compositore astigiano se n’è andato un grande. Un grande artista e un grande uomo. Ma anche un grande amante dei motori, a 2 e 4 ruote. A ottobre 1999 Faletti firmò un bel pezzo su Motociclismo: lo riproponiamo come omaggio speciale

Giorgio faletti: quella volta che scrisse su motociclismo…

Lo sapete, Giorgio Faletti non c’è più. Dopo una vita in cui ha fatto ridere coi suoi personaggi comici, riflettere ed emozionare con le sue canzoni mai banali, appassionare coi suoi libri coinvolgenti, il 4 luglio è stato portato via da un tumore ai polmoni… Ma questa è (purtroppo) ormai storia.

 

UNO DI NOI

Noi vogliamo ricordare Giorgio come motociclista. Probabilmente i più lo conoscevano come amante delle automobili, quelle sportive, veloci, cattive. Forse molti sapranno che partecipò a dei rally come pilota e non andò neppure male. Ma Faletti è stato anche motociclista, tifoso della Ducati ma, soprattutto, praticante. Beh, praticante un po’ alla sua maniera, ma a noi era bastato per invitarlo a farsi un giro in moto all’Elba per poi raccontare la sua esperienza sulle pagine del mensile. Un articolo gustosissimo, autoironico e irresistibile, che avevamo pubblicato sul numero di ottobre 1999, quando ormai a Faletti la qualifica di comico non si addiceva più, dato che da anni era in pianta stabile nel mondo della musica (come autore e cantante) e da lì a poco avrebbe esordito come scrittore (un vero talento, giustamente premiato dal successo). Vogliamo quindi tornare con la memoria al “nostro” Faletti, riproponendo integralmente quell’articolo (lo trovate anche qui in pdf), corredato da una gallery di foto che al tempo stesso strappano un sorriso e fanno commuovere. Anche perché, dopo quell'esperienza, il legame di Faletti con le moto si era rinsaldato parecchio...

 

Ciao, Giorgio, e grazie

 

SIGNORINA, PERMETTE?

Il comico Giorgio Faletti alle prese (per la prima volta?) con la motocicletta. Racconto semiserio di un incontro con l'Aprilia Pegaso 650 all'Isola d'Elba che si conclude in modo molto romantico. Con una cena a due...

di Giorgio Faletti

 

APPUNTI DI VIAGGIO DI UN BUGIARDO: PRIMA

Quello che frega veramente l'uomo è il bar. Questo luogo, apparentemente deputato a innocenti chiacchiere e serene conversazioni culturali tra un caffè e un cappuccino, è in realtà diventato luogo di ostentazione di squallidi status symbol e di violente risse verbali per i più futili motivi, che possono spaziare dalla formazione della Nazionale al momento esatto per "calare" il settebello nello scopone scientifico. Inoltre, il bar è diventato la sede ufficiale in cui si svolgono gli orali dell'Università della Menzogna, che ormai fornisce diplomi di laurea legalmente riconosciuti e che ha un regolare sito anche su Internet all'indirizzo hyper ultra link http://www.senticheballa.it. Al bar, ancorché considerato nella sua accezione primitiva, vale a dire un'osteria spersa fra le montagne del cuneese, trovi serenamente individui che hanno più volte battuto Pete Sampras per 6-0/6-0, pescato trote così grosse da dovergli tirare un arpione, corso la Maratona di New York con una gamba sola o rifiutato di dare lezioni di canto a un Pavarotti implorante in lacrime. Si è venuta, negli anni, a creare la figura del bugiardo da bar, che in alcuni casi ha raggiunto connotazioni addirittura sublimi. C'è tuttavia un sistema per riconoscere il perfetto bugiardo da bar: basta studiare me! Credo infatti, e lo confesso con un malcelato senso di orgoglio, di aver raggiunto risultati estremamente soddisfacenti in questa specialità così difficile e delicata, in quanto altamente creativa. Nella fattispecie, vantando un modesto passato, ma rigorosamente autentico, di pilota automobilistico, ho esteso questa esperienza a tutto ciò che funziona con un motore. Posso dichiarare senza arrossire che la conduzione di una motozappa non ha misteri per me e che riesco ad affrontare in pieno la seconda di Lesmo con un Bravo Simac lanciato a tutta velocità. In particolare, il mio estro creativo mi ha portato a millantare, per quanto riguarda lo specifico motociclistico, alcuni risultati veramente interessanti, tra cui: a) la Cisa fatta tutta in impennata perché la ruota anteriore era bucata; b) un salto fino al terzo piano con una moto da Cross per aiutare un amico rimasto chiuso fuori; c) un intenso rapporto fisico con una bellissima passeggera su uno sterrato senza nemmeno fermare l'enduro. Condisco quest'ultima affermazione, di solito, con un autentico colpo di classe: sorvolo sul nome della passeggera, come fa il gentiluomo che vuole dire il peccato e non la peccatrice, ma insinuo ad arte il sospetto che si tratti di una di quelle femmine stratosferiche che si vedono su i giornali e che tutti sognano anche solo di conoscere. Tutto ciò, ovviamente, con una faccia tosta da fiamma ossidrica, stendendo un piumone di pietoso silenzio sul fatto che, in realtà: a) ho bisogno di aiuto per mettere sul cavalletto uno Scarabeo; b) la sola cosa a due ruote che ho posseduto è stata una Vespa 125 anno 1957 di mio padre, che ho smesso di usare perché mi impressionava la potenza; c) me la faccio sotto anche solo a vedere una moto disegnata. Aggiungiamo a tutto ciò che le acrobazie necessarie a salire su una motocicletta comprimono la mia anatomia e provocano tutta una serie di rumori fisici, tra cui i più imbarazzanti, per cui è un'operazione che devo svolgere nella più assoluta solitudine. Però seduto al bar non ho rivali. Stavo appunto spiegando agli amici perché avevo deciso di non seguire più Max Biaggi nel Motomondiale (lasciando intendere che non ero d'accordo sul passaggio alla 500 ma facendo notare che, da quel momento, senza i miei consigli, qualche difficoltà c'era stata) ed esattamente mentre andavo ad affrontare, ventre a terra, la scoperta e l'inserimento nelle gare di Valentino Rossi, è suonato il telefonino. Ora, il bugiardo da bar, quando è supportato da una botta di culo da cinque+ 1 a sei della scala Superenalotto, entra di diritto nella leggenda. Questo è successo a me, signore e signori. Onestamente, avrei preferito il Superenalotto di cui sopra, ma anche una telefonata coram populo di una rivista come Motociclismo che mi proponeva di realizzare un servizio in moto, non è stata affatto male. Ho accettato col cuore pieno di fanfare a festa mentre tuttavia il mio viso esprimeva, ad uso degli astanti, un'espressione di sufficienza come chi si sente incastrato in qualcosa di cui non ha nessuna voglia. Mi sono alzato e me ne sono andato con un'aria del tipo: è un lavoro duro ma qualcuno lo deve fare, mentre nelle teste dei miei amici crollavano dubbi come le mura di Gerico. L'unico problema era che, contemporaneamente, nella mia spuntavano come i funghi.

 

DURANTE

Mi sono ritrovato all'isola d'Elba, luogo che frequento assiduamente da alcuni anni, davanti al mare, ad osservare, con occhi grandi come fari antinebbia, una scintillante Pegaso 650 made in Aprilia, appena sbarcata dalla nave. Nella mia testa passava, come i titoli di Star Wars, la scritta "E adesso che faccio?" mentre sentivo una colonna sonora che sembrava fatta di pernacchie. Ho cercato di salire sulla moto con aria indifferente ma dal mio organismo, per un complicato gioco di rilassamenti e compressioni, è uscita una serie di rumori estremamente sonori che hanno: a) spinto una barca a vela a 38 nodi fino a Montecristo; b) indotto il proprietario di una barca a motore ad una immediata revisione del propulsore perché temeva che i rumori venissero da lì; c) convinto alcuni turisti che nelle vicinanze dovevano esserci delle terme solforose. Finalmente, con il semplice aiuto di una gru, cosa che tutti i motociclisti abitualmente hanno a portata di mano, sono riusciti a calarmi sulla moto senza far sospettare a nessuno lo scoppio della Terza Guerra Mondiale. Ho messo un casco per il semplice fatto che non potevo metterne due, ho avviato la moto e sono partito. Dopo aver fatto 300 metri senza cadere, immediatamente è emersa la dote primaria del bugiardo da bar: la capacità ineffabile di mentire anche a se stesso. Dopo la prima incolume curva, mi sono sentito Giacomo Agostini con Freddie Spencer in spalla. Alla seconda curva avevo già assunto la posizione da gara, con relativa gambetta a sfiorare il terreno. Purtroppo il senso della "piega" era quello che era e devo a una provvidenziale buca il fatto che ancora possiedo due rotule. L'asfalto infido e scivoloso della curva successiva mi ha consentito, contemporaneamente, di leggere la targa della moto e di ritornare, per così dire, con le ruote per terra. La provvida derapata, senza caduta grazie alla stabilità della moto, mi ha di colpo fatto piantare i capelli nel casco e ricondotto ad un turismo sensibilmente più sereno. Ho cominciato a girare per l'isola, riscoprendo le strade e le curve con un'ottica diversa dall'abituale automobile. Ho preso poco a poco confidenza con la Pegaso, che si è dimostrata moto affidabile, agile, divertente e con un certo inanimato senso dell'umorismo, specie quando, spinto da un afflato di identificazione uomo-macchina, ho cercato di portarla con me a fare un'immersione. Gente più esperta di me sia nella subacquea sia nella motociclistica mi ha convinto a desistere o, quantomeno, a cercare di convincere l'Aprilia a mettere in produzione un batiscafo. Ho cominciato a capire quelli che lasciano a casa la macchina o che nemmeno ce l'hanno e che affidano l'emozione della vacanza e del viaggio alle 2 ruote. La natura in generale e l'Elba in particolare mi hanno accolto in stanze mai visitate prima, aprendomi il salotto buono di famiglia. Il tutto senza strafare, senza impennare o passare rombando, ma semplicemente gustando un modo diverso di viaggiare. So che scrivendo questo su una rivista che si chiama Motociclismo parlo di corda in casa dell'impiccato, ma mi è talmente piaciuta l'esperienza che accetto pure la sublimazione dell'ovvio. La mia vacanza sulle due ruote si è conclusa nel modo più tradizionale: una romantica cena a due con la moto, con champagne e olio d'annata e sguardi languidi. Sul dopo cena, lasciatemi, ancora una volta, essere gentiluomo.

 

DOPO

Alcune persone sono arrivate ad un bar e si sono sedute, ordinando una raffica di aperitivi e di bibite colorate. Splendevano abbronzature da dopo-Sardegna, cromature di macchine e dorature di Rolex. Forse qualcuno si è sentito a disagio guardando una sedia vuota ma poi, frettoloso come tanti a chiudere delle porte, ha scrollato le spalle e l'ha offerta a qualcun altro appena arrivato. La conversazione è fiorita immediatamente fra i presenti e forse c'era qualche novità nella formazione della Nazionale o qualche nuova teoria sul settebello nello scopone scientifico. Ci si dimentica presto degli assenti, specie se hanno il telefonino cellulare spento. Quanto a me, sono rimasto all'Elba un po' più del previsto con la mia (si fa per dire) Pegaso. Mi sto godendo gli ultimi giorni dell'estate pigramente, senza fretta, felice di non essere in gara, né al bar né altrove. Bisogna anzi che avverta gli amici dell'Aprilia che sto bene e che alla moto non è successo niente. Forse gli farà piacere sapere che, grazie a loro, c'è probabilmente un motociclista in più e un bugiardo in meno.

 

IL MOTORE DELLA TERRA

Ho due braccia, due gambe, due ruote e una strada da seguire.

So tutto di me e quando indosso la mia tuta di seconda pelle e il casco e l'innaturale equilibrio che mi fa respirare sott'acqua e camminare sul filo col fiato sospeso. So quante volte ho stretto una sciarpa intorno alla faccia per freddo improvviso e guardato il cielo dal riparo di un viadotto d'autostrada ad aspettare la fine della pioggia e quanti chilometri ho fatto col mio occhio da ciclope ad illuminare la strada. So tutto di me e forse lo sapevo già quando il triciclo è diventato la mia prima bicicletta e ho conosciuto la prima discesa e la velocità non era più un prodotto dei pedali ma un regalo del cielo oppure di un motore nascosto da qualche parte giù in fondo alla terra.

Ricordo che non è stato né facile né difficile rifiutare il conforto di un tetto sulla testa o la danza ritmica dei tergicristalli o la cortesia di un posacenere: è stato naturale come innaturali sarebbero state quelle due ruote in più. Avevo davanti la promessa degli zingari e di un filo da equilibrista e il profumo di quella prima discesa e di quella primavera da ritrovare. C'erano i miei giochi di ragazzo con le praterie e mandrie di cavalli selvaggi da domare e un posto all'orizzonte da raggiungere per capire ancora e ancora che l'orizzonte e la paura e il coraggio non finiscono mai. C'erano le mani macchiate di grasso e le mie idee macchiate d'ingranaggi e una ruota bucata da riparare e un padre e una madre da convincere e tante cromature da sognare e poi da mantenere lucide. So quante volte sono caduto e mi sono rialzato senza dolore vero perché il filo teso era ancora lì, non si era spezzato, non mi aveva tradito lui ma il mio equilibrio impaurito di uomo e le mie due gambe e le mie due ruote di macchina. Così ho vinto almeno quante volte ho perduto ma nella foto appoggiato alla motocicletta sorrido sempre ed è un peccato che non ci sia nessuno a riconoscere negli occhi la stessa luce di quel giorno, di quando ho scoperto per la prima volta quel motore che è sempre e in ogni caso un regalo del cielo o della terra. So tutto di me e a volte lo vorrei raccontare ma c'è troppo fruscio di vento nel casco e la velocità rende difficile staccare la mano dal manubrio anche solo per un fugace gesto di saluto. Così preferisco quasi sempre restare quello che ho scelto di essere, il rumore di un motore, il buco colorato di una freccia che taglia l'aria, uno sguardo di sconfitta o una coppa di vittoria da alzare in alto con la stessa speranza zingara con cui a volte ho guardato le nuvole aspettando la fine della pioggia. Non è facile ma ho una strada da seguire e ho due buone braccia, due buone gambe, una buona moto e a volte c'è il sole.

G.F.

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