Statistiche web

Per andare forte serve anche la testa

Una delle nuove frontiere della preparazione atletica (anche per chi va in moto) è legata alla psiche e affidata a un… allenatore della mente: basta una chiacchierata per tirare fuori il proprio potenziale, migliorare la performance, vincere la paura. Quanto conta la testa per essere (più) veloci? Moltissimo! Ce lo spiega il mental coach Manuel Nevoni

MENTAL COACH

Letteralmente un mental coach è un “allenatore della mente”. Cioè quello che ti sistema le paure, le insicurezze e ti mette in condizione di dare il massimo. Quante volte ci siamo trovati a non guidare al 100% per colpa della fatica e quante, invece, per colpa della testa? A meno di non essere dei freddi e micidiali robot, è più facile che si faccia più fatica a metabolizzare una pista difficile o un avversario più forte o qualche difetto della moto, piuttosto che fallire perché proprio non ce la si fa fisicamente. Perché se la testa funziona bene e quel giorno non ce n’è per nessuno, quando finisce l’ossigeno si stringono i denti e se ne viene fuori lo stesso. Mentre se è la testa che non va, puoi essere allenato quanto ti pare che tanto non vinci. Ma, nonostante questo, quanto tempo si dedica alla preparazione fisica e quanto a quella mentale? Nella quasi totalità dei casi il rapporto è 10 a 0, anche se le nuove tecnologie hanno reso questa proporzione più complessa da definire. Eppure, come per la parte dinamica, anche per quella mentale ci sono dei preparatori; appunto i mental coach. Che non sono dei dottori, attenzione. Sono dei personal trainer della testa. Ne abbiamo incontrato uno, appassionato e praticante di fuoristrada che opera proprio in questo settore. Si chiama Manuel Nevoni, viene da Pisa e opera nell’ambiente (visitate il suo sito per conoscerlo meglio: www.manuelnevoni.com).
Al momento di questa intervista stava collaborando con Niccolò Mori nel Mondiale Enduro: “Sono diversi mesi che lavoriamo insieme e lo devo ringraziare per avermi dato l’opportunità di mettermi in gioco in un mondo di altissimo livello come il Mondiale. Sono sempre stato un appassionato di moto e motori fin da piccolo (a 8 anni leggevo riviste comprate da me per me) e ho iniziato a fare enduro a 14 anni, per poi passare al cross a 17. Oggi mi sto occupando di coaching sportivo legato al fuoristrada; è ciò che mi piace e la mia passione”. 

"Assumersi personalmente la responsabilità fa aumentare la performance"

Prima di tutto, qual è la differenza tra un mental coach e uno psicologo?
Il coaching ha un modo schematizzato per affrontare qualsiasi cosa, dubbi, paure, mancanza di fiducia, aumento delle performance, ecc. Sappiamo come lavorare per aiutare il pilota a far sì che trovi quello che vuole ottenere. Ma noi non diamo risposte, aiutiamo solo le persone a trovarle in se stessi, che poi è quello che ognuno cerca.
 
Quindi l’essenza del coaching qual è?
Consiste nel liberare il potenziale delle persone per massimizzare le loro prestazioni sviluppando consapevolezza, responsabilità e fiducia in se stessi. Tante volte si sente dire che una persona ha “un potenziale nascosto” o deve “tirare fuori il meglio di sé”. Questo implica che tutti noi abbiamo delle capacità che non sfruttiamo al meglio; il coaching guarda le persone in termini di potenziale e non di prestazioni e di potenziale nel futuro e non di prestazioni nel passato. È importante riconoscere il potenziale di una persona/atleta/pilota, ma cosa ancor più fondamentale è che sia la persona stessa a riconoscere questo potenziale nascosto, che molte volte viene a mancare causa mancanza di fiducia e sicurezza in se stessi, paura di fallire, dubbi sulle proprie capacità. Basta pensare a cosa riusciamo a fare in situazioni di pericolo; per esempio, chi soffre di vertigini non starà molto a pensare se salire o meno su una scala se un leone gli sta correndo in contro. Questo perché la capacità esiste, ma è soltanto il momento critico che ci permette di superare un piccolo limite. Noi dobbiamo cercare di far uscire questo potenziale che può farci raggiungere livelli molto più alti di quelli a cui siamo abituati.
 
Lavorando sulla testa si può fare tanto
Molti di noi pensano che per ottenere un risultato, nel nostro caso sportivo, occorra solamente allenarsi fisicamente e quindi lavorare esclusivamente sul proprio corpo. Il corpo e la mente, invece, sono un tutt’uno e i sistemi nervoso, endocrino e immunitario sono in comunicazione tra loro. Quindi il corpo, la mente e le emozioni non sono separati tra loro ma ben interconnessi. Per questo, se consideriamo lo sport agonistico il cui fine principale è raggiungere la massima performance personale, non ci si può basare soltanto sull’allenamento e sulla condizione fisica, ma anche su quella mentale che diventa primaria.
 
Parliamo quindi di consapevolezza. Cos’è?
È il sapere cosa sta accadendo intorno a te, riuscendo a osservare con chiarezza ciò che si vede, si sente, si prova; al suo interno si trova l’autoconsapevolezza intesa come il riconoscere quando vari fattori, come le emozioni, ci distorcono dalla percezione che si ha di noi stessi. La consapevolezza è di notevole importanza nello sport, nella presa di coscienza delle proprie sensazioni fisiche, che porta ad una efficienza migliore perché specifica per il proprio corpo. Basandoci su osservazioni non critiche, ma descrittive, si potranno avere cambiamenti e correggere automaticamente difetti per migliorare le prestazioni.
 
Sono accorgimenti che, però, si devono saper adottare
Purtroppo in molti casi l’allenatore o il preparatore insegnano all’atleta come fare una cosa esattamente come è stata insegnata a lui o come lui ritiene sia migliore, quando invece non esiste un solo modo per fare le cose. Quindi è meglio lasciare emergere dall’atleta le proprie caratteristiche fisiche e mentali, aumentandone la consapevolezza. Ognuno di noi è diverso dall’altro, non abbiamo caratteristiche fisiche o delle menti uguali. Bisogna lasciare al pilota la scelta di tirar fuori la propria individualità e ciò comporta anche un aumento della responsabilità, altra essenza del coaching. Ci assumiamo infatti la responsabilità delle nostre azioni e dei nostri pensieri soltanto quando siamo di fronte ad una scelta. Quando obblighiamo una persona ad assumersi una responsabilità non facciamo sì che la senta propria, anzi; un ordine provoca solo risentimenti e azioni opposte. Assumersi personalmente la responsabilità porta indiscutibilmente a un aumento della performance.
 
Cioè dare una responsabilità diventa controproducente?
Se ti dico che devi vincere una gara, difficilmente riuscirai ad assumerti questa responsabilità. Con il coaching, invece, sarai tu a volerla assumere, a voler vincere, con conseguente aumento di fiducia in te stesso.
 
Quindi lavorare sulla responsabilità è una delle fasi più importanti
Responsabilità è la parola chiave del coaching ed è ciò che ci occorre per ottenere il meglio di noi stessi. Quindi è alla base della motivazione. Immagina se il tuo capo ti ordina di fare una cosa e ora immagina se il tuo capo ti chiede se vuoi fare la stessa cosa. Sarà uguale l’effetto che provoca in te? No: nel primo caso il capo pensa di farti assumere una responsabilità ed invece non è ciò che farai (quindi svolgerai il lavoro solo perché ti è stato ordinato) perché non hai avuto una scelta. Nel secondo caso, invece, il capo ti chiederà se vuoi fare un certo lavoro; quindi hai una scelta davanti e dicendo di sì ti assumerai la responsabilità di ciò che hai deciso di fare e, di conseguenza, la tua performance sarà sicuramente migliore.
 
Quindi, in base a questo, che tipo di approccio dovrebbe avere un team verso un suo pilota?
Molti team negano ai ragazzi la responsabilità, dicendo quello che devono fare, e la loro consapevolezza, dicendo quello che loro vedono, non quello che vede il pilota.
 
Motivazione e fiducia in se stessi. Quali sono le differenze?
La motivazione è legata ai bisogni propri di una persona; ovvero, noi ci dedichiamo a quelle attività che ci aiutano a realizzare i nostri bisogni. Per ognuno c’è una gerarchia dei bisogni, da quello di cibo e acqua fino al bisogno del prestigio e stima da parte degli altri, per quanto riguarda il contesto sociale. Gli scalini più alti di cui si occupa il coaching sono l’autostima e ancor più in alto l’autorealizzazione. Quindi il bisogno di stima, e ottenerla (autostima), danno la fiducia in se stessi.
 
Oltre al coaching ci sono anche altre tecniche di miglioramento psicofisico?
Sì e per la maggior parte sono molto utili, una di esse è il training autogeno. È una tecnica di rilassamento, ha effetti favorevoli sia mentalmente sia sul nostro fisico ed è utile per il controllo dell’ ansia, stress, ipertensione, emicrania e per il recupero dell’energia, miglioramento della concentrazione e ansia pregara; tutto ciò per il conseguimento di alte prestazioni. Quindi lo consiglio a tutti.
 
Ma non è quella gestualità che si vede fare a molti piloti prima della gara?
No, quella è una simulazione solo mentale di un attività che svolgerai. Io ritengo sia più utile concentrarla su un singolo gesto, una mossa da migliorare che su una scala più ampia. I piloti, facendo così, riproducono le sensazioni e movimenti di un giro di pista, con i suoi vantaggi. Anche io, essendo un praticante di motocross, mi sono imbattuto in situazioni in cui non riuscivo a fare quello che volevo fare, come una curva in cui non riesci a spondare come dovresti; quindi ho sperimentato su me stesso una tecnica di simulazione di quel particolare gesto che non mi riusciva, aumentando la mia consapevolezza sensoriale e ottenendo dei miglioramenti.
 
Allenare il fisico è un lavoro lungo e continuativo oltre che molto impegnativo. Allenare la testa è più diretto, ma forse più difficile?
Non lo definirei difficile, a volte basta un piccolo cambiamento per ottenere subito grandi risultati.
 
Una volta fatto un buon lavoro sulla testa è necessario continuare “l’allenamento”?
Una volta raggiunto un buon livello la persona è in grado di svolgere il coaching su se stesso, quindi continuare sulla solita strada per conto suo.
 
Tra un giovane e un anziano la testa è diversa. Cambia anche il tipo di lavoro?
La differenza di mentalità tra un giovane e un anziano c’è; per esempio uno è più spericolato e l’altro più attento. Ma il principio del lavoro è esattamente il medesimo, quello che cambia è come agire in base a ciò che richiede la persona, visto che ognuno di noi è diverso dall’altro indipendentemente dall’età.
 
La vita privata può influire sulla performance. Si possono tenere le due cose separate?
La vita è una sola, la vita privata e la performance si influenzano a vicenda, però possiamo trarre vantaggi da una per migliorare l’altra.
 
Si dice che sia più difficile rivincere piuttosto che vincere. È colpa della testa?
Sicuramente lo può essere. Vincendo ci siamo tolti un bisogno che prima avevamo e la motivazione che ci ha portato a questo risultato può cessare; bisogna riuscire a trovare la motivazione per avere di nuovo il bisogno di un’altra vittoria.
 
Quando si gira in pista può capitare di non trovare quel pizzico di coraggio per fare quel salto, pur sapendo di saperlo fare perfettamente. Questo perché e come si supera questo piccolo limite?
Questa è una paura che abbiamo in noi e che ci porta a pensieri negativi e dubbi sulle nostra capacità. Spesso vediamo piloti professionisti azzardare salti improvvisati che non credevamo possibili, questo perché loro hanno una piena consapevolezza di ciò che fanno ed è ciò che ci occorre per superarlo.
 
Superare un infortunio può essere più difficile a livello mentale che fisico. Perché?
È più difficile perché l’atleta è invaso da pensieri negativi, da una perdita del controllo della situazione. Quando la degenza è lunga, molti piloti pensano di non riuscire a tornare ai livelli precedenti e perdono la motivazione a raggiungere quell’obiettivo. Invece, fin da subito, bisogna darsi dei traguardi, guardare alle proprie potenzialità nel futuro e iniziare un piano di azione. Molti riescono ad affrontare meglio l’infortunio rispetto ad altri grazie a questo, una motivazione data da un bisogno, quello di rimontare in sella.
 
Poi c’è la pressione. Uno dei peggiori nemici del pilota
Quando sei sicuro di ottenere un risultato, qualsiasi esso sia, svolgerai il tuo compito tranquillamente; quando invece non sei sicuro entra in gioco la pressione. Essere sicuri di sé e di quello che si fa ci toglie la pressione addosso o ci aiuta a gestirla. Il training autogeno è una tecnica di rilassamento ottima per combattere lo stress e anche la pressione intesa come tale

15 parole

  1. La responsabilità richiede la scelta. La scelta implica libertà
  2. La libertà non è altro che la possibilità di essere migliori
  3. Incolpare chi ti circonda dopo una sconfitta è un gesto di chi non sa ammettere la sconfitta, non del campione
  4. È nel momento delle decisioni che si plasma il tuo destino
  5. Gli ostacoli sono quelle cose spaventose che vediamo ogni qualvolta distogliamo lo sguardo dalla nostra meta
  6. Insistere è testardaggine, perseverare è determinazione
  7. Tutti possediamo delle capacità, la differenza è come le utilizziamo
  8. La miglior preparazione per domani è fare del tuo meglio oggi
  9. L’importante non è partecipare, né vincere, ma dare il meglio di noi stessi
  10. Non è perché le cose sono difficili che non osiamo farle. È perché non osiamo farle che diventano difficili
  11. Pensare con la propria testa, senza lasciarsi condizionare è indice di coraggio
  12. Non mollare mai fino alla fine. Qui si vede il campione
  13. Chi non osa nulla non speri in nulla
  14. L’unico posto in cui “successo” viene prima di “sudore” è nel dizionario
  15. La struttura alare del calabrone non è adatta al volo, ma lui questo non lo sa e vola lo stesso
© RIPRODUZIONE RISERVATA