Lazio - Monti della Tolfa
A due passi da Roma
Correva l’anno 1991, la Paris-Dakar
faceva ancora sognare e i grossi mono da enduro erano le moto più gettonate
dagli amanti dell’avventura. Con in testa l’Africa, ci preparavamo a
farci le ossa sui più modesti sterrati nostrani. Lo spunto per il nostro
“battesimo del fango” fu la rilettura del numero speciale di
Motociclismo
di quell’anno che, con dovizia di foto e indicazioni, descriveva un
itinerario
affascinante, lungo il tracciato di una ferrovia abbandonata, proprio a
due passi da Roma. Partimmo una mattina di buon’ora, con un abbigliamento
da fuoristrada approssimativo e fantasioso (mimetica dell’esercito,
anfibi,
guanti di pelle da passeggio, caschi integrali) e poche cose nello zainetto:
due panini, le pagine strappate dalla rivista a mo’ di roadbook,
l’entusiasmo
dei vent’anni. Nel 2007 siamo tornati sul luogo del delitto, con
tutt’altra
moto e altre intenzioni. La ferrovia non è più percorribile (i lavori di
ripristino, interrotti a metà degli anni 90, hanno introdotto divieti e
creato delle barriere tali da scoraggiare chi voglia percorrerla in moto).
Abbiamo scelto, quindi, di esplorare la zona lungo le gustose provinciali
che collegano le varie località della vecchia linea, con un occhio al paesaggio
e uno alla cucina locale.
Civitavecchia-Allumiere
L’ideale partenza di questo piccolo amarcord motociclistico è il porto
di Civitavecchia. Da qui, fino al 1961, sbuffanti treni merci carichi di
carbone si avviavano alla volta di Capranica, da dove avrebbero proseguito
per Orte e le acciaierie di Terni. Lungo i 60 chilometri del percorso avrebbero
attraversato un territorio impervio, selvaggio e pressoché disabitato:
tutte le stazioni intermedie erano infatti “scali”, dislocati ad
alcuni
chilometri dai rispettivi paesi (Allumiere, Monte Romano, Civitella Cesi,
Blera, Barbarano). Noi imbocchiamo la provinciale SP3A, parallela al tracciato
della ferrovia, maledicendo il traffico intenso che c’impedisce di godere
appieno le curve e il buon asfalto. La strada sale e il paesaggio si fa
immediatamente bucolico, facendo dimenticare la vicinanza del mare. Arriviamo
ad Allumiere, antico centro minerario per l’estrazione dell’allume.
In
questa zona, a partire dal XV secolo e fino agli inizi del ’900, uomini
rudi provenienti da diverse regioni d’Italia lavorarono duramente nelle
cave a cielo aperto. La leggenda – sembra diffusa dagli abitanti del
vicino
paese di Tolfa, con i quali non è mai corso buon sangue – vuole che
fossero
in gran parte delinquenti in cerca di impunità, grazie ad uno speciale
salvacondotto che veniva loro rilasciato. Oggi Allumiere è un paese come
tanti altri. Nell’aria quieta del primo mattino, le corriere raccolgono
frotte di studenti assonnati, agganciati ai loro i-pod. Cartelli appesi
al Municipio gridano la rabbia dei locali contro la prevista centrale a
carbone di Tarquinia. Ci fermiamo a scambiare quattro chiacchiere con due
anziani, uno dei quali partecipò ai lavori di ripristino della linea ferroviaria
che, negli anni 90, ebbero l’unico effetto di sperperare oltre 200
miliardi
(lire dell’epoca) di denaro pubblico.
Farnesiana-Cencelle
Proseguiamo in direzione dell’Aurelia, deviando sulla sterrata che conduce
alla “Farnesiana”, proprio lungo il vecchio tracciato ferroviario
(progressivo
km 18). Questo minuscolo borgo, cresciuto nel XVI secolo intorno ad un
mulino ad acqua, fu inizialmente abitato da religiosi. Successivamente
vi si stabilì un’azienda agricola dedicata principalmente al sostentamento
dei minatori. Oggi il luogo conserva il suo aspetto originario. La bella
chiesa romanica di S. Maria della Farnesiana (1836) è in corso di
ristrutturazione.
Alcuni ruderi convivono con case abitate. In giro, tuttavia, non si vede
nessuno: incontriamo solo due vivaci cagnoni, coi quali stabiliamo un immediato
feeling. Proseguiamo su una piacevole sterrata che attraversa una campagna
ordinatamente coltivata. Costeggiamo le rovine di Cencelle, arroccate su
una piccola collina. La cittadina venne fondata nel IX secolo dagli abitanti
di Civitavecchia, in fuga dalle scorrerie dei saraceni. Fu abitata per
pochi decenni e poi abbandonata all’azione demolitrice del tempo. Oggi,
di quello che potrebbe essere uno dei tanti caratteristici borghi medievali
della zona, non restano che poche rovine che fanno riflettere sulla caducità
delle opere umane, in assenza di una continua opera restauratrice.
L’incanto
della sterrata fuori dal tempo finisce. Poco dopo sbuchiamo nel trambusto
del traffico dell’Aurelia.
Civitella Cesi
Al bivo di Tarquinia proseguiamo verso l’entroterra sull’Aurelia
bis.
Di nuovo ci troviamo a percorrere curve disegnate col compasso e dolci
pendenze. Approdiamo a Monte Romano, altra stazione intermedia sulla ferrovia
che non c’è più, un piccolo centro raccolto intorno ad una piazza
insolitamente
ampia. All’uscita del paese prendiamo la provinciale per Barbarano Romano.
Siamo in piena zona etrusca e le testimonianze sono sparse un po’
dappertutto
sul terreno. Deviamo dalla provinciale per raggiungere Civitella Cesi,
minuscolo abitato organizzato intorno al castello padronale, arroccato
su un alto sperone tufaceo. Vi si respira un’atmosfera incredibilmente
quieta, amena. Beviamo una bibita nell’unico esercizio del posto, un
piccolo
bar nella piazzetta che sovrasta il mare verde della compatta boscaglia
sottostante. Poi seguiamo le indicazioni per S. Giovenale, interessante
insediamento etrusco riportato alla luce negli anni 60 da una missione
archeologica svedese e oggi assai trascurato.
Blera
La tappa successiva è Blera, altro paese-fortezza di chiara struttura medievale,
sorto su una rupe che domina un paesaggio aspro e scosceso. Si raggiunge
attraversando uno stretto ponte di ferro che scavalca ad altezza vertiginosa
la Gola del Biedano. A Blera abbiamo modo di fare conoscenza con la robusta
cucina locale, basata su piatti che esaltano i prodotti tipici di questa
zona: olio, tartufo nero, funghi, selvaggina, carne proveniente dalla locale
cooperativa di allevatori. Di fronte a un generoso piatto di pasta fatta
in casa, con l’ausilio del genuino rosso della casa, facciamo i conti
di quanto manca alla meta: due sole fermate!
Strade celebri
Barbarano Romano è a una manciata di km e ricalca ambientazione e
caratteristiche
architettoniche della vicina Blera, aggrappato ad una roccia di origine
lavica circondata da profonde gole percorse da corsi d’acqua. Il centro
storico mostra i segni di recenti ristrutturazioni. Molte vecchie abitazioni,
soprattutto quelle più panoramiche, sono state restaurate da nuovi e facoltosi
proprietari. Con molto gusto, bisogna ammettere. S’intuisce come i borghi
di quest’area, fino a qualche decennio fa marginale, stiano ripetendo
le dinamiche immobiliari che hanno reso famose e ambite tante zone della
Toscana o dell’Umbria. E non è difficile capire il motivo di questo
successo,
data la vicinanza con Roma e il bel contesto naturalistico e storico nel
quale sono inseriti. Usciamo dal circuito virtuoso delle solitarie provinciali
e saliamo sulla Cassia, che in pochi chilometri ci porta a Capranica, capolinea
della corsa. Impossibile non ripensare allo stato pietoso in cui ci arrivammo
sedici anni fa: inzaccherati di fango e pesti per le innumerevoli scivolate
rimediate durante la traversata. Ma anche fieri di avercela fatta. Chiudiamo
il cerchio della giornata, e di questo itinerario, con una bella galoppata
su un paio delle più entusiasmanti strade dell’alto Lazio: la provinciale
per Tolfa e, subito dopo, quella che scende fino a Santa Severa. Un susseguirsi
di curve e tornanti e buon asfalto che le hanno rese celebri tra i motociclisti
romani. Celebri e famigerate, come testimoniano alcuni cartelli che invitano
alla prudenza. E come conferma anche l’immancabile smanettone di turno,
che incrociamo in piena contromano dietro un tornante e riusciamo a evitare
per un pelo. Arriviamo a Santa Severa in tempo per vedere il tramonto davanti
al castello. Il giusto suggello a una giornata densa di emozioni e di ricordi.