Mark 3 e Desmo 250-350-450
La nascita
Com'erano fatte
Per evitare passi falsi in un periodo
in cui la motocicletta non è all’apice del suo gradimento e quindi le
novità tecnico-stilistiche hanno terreno tutt’altro che fertile,
Ducati
produce e vende nello stesso periodo della Mark 3 anche moto più tradizionali
nella linea come la Monza di 160 e 250 cc e la Sebring 350. Le Mark
3 offrivano comunque diverse soluzioni all’avanguardia, sia tecniche che
stilistiche: innanzitutto poteva vantare la possibilità di scegliere
tra la testata desmo o normale, soluzione mai vista fino a quel momento
su una moto destinata all’uso stradale.
Esteticamente i particolari innovativi non mancavano: due tappi benzina
ad apertura rapida, manubrio in due pezzi fissati
alla forcella,
faro cromato con tabella portanumero rotonda a cui è applicato
un
piccolo parabrezza. La tabella è asporatabile per la normale circolazione
su strada ma si tratta comunque di accessori esclusivi e dalla spiccata
connotazione “racing”.
Il serbatoio prevede sui lati due pannelli cromati, rastremati ed infossati
per ospitare le ginocchia mentre nella parte superiore il doppio tappo
si trova su una gobba che scende verso la sella con una linea continua
fino al codino che nella parte finale riprende a salire: ne risulta
un design armonioso e molto moderno per quei tempi. Fino al 1969 la
strumentazione prevedeva un bellissimo contagiri Veglia a fondo bianco
da 100 mm di diametro con supporto in lega leggera, sostituito successivamente
da un più semplice cilindro cromato. Il faro ospita il tachimetro-contakm,
ben più piccolo del contagiri, le spia di contatto e dei fari, la chiave
fissa di accensione luci e quella di contatto. Il telaio ricalcava quello
utilizzato per la Scrambler: monotrave a culla aperta con il motore
che fungeva da elemento di chiusura, privo però sulla Mark 3 degli elementi
di rinforzo e con i punti di fissaggio degli ammortizzatori in posizione
diversa. I freni erano a tamburo monocamma, i cerchi in acciaio,
la forcella teleidraulica Ducati e gli ammortizzatori Marzocchi
regolabili nel precarico molla su tre posizioni. Il 1969 è anche
l’anno
in cui sul serbatoio si torna ad un tradizionale tappo benzina singolo.
Dal 1971, la Mark 3 e la 3 D, fino a quel momento sostanzialmente uguali,
sono oggetto si una netta differenziazione: la denominazione Mark 3
rimane solo per quella con testata normale, offerta nelle cilindrate 250,
350 e 450 cc e destinata ad un utilizzo turistico. La Mark 3 D prende
il nome di Desmo ed imbocca la strada della sportività estrema.
Modelli distinti
La Mark 3 “stradale” costruita nel 1971-72 ha
un’impostazione
turistica: il manubrio è alto, la sella maggiormente imbottita ed il
serbatoio ha una forma un po’ anonima.
L’ultima versione viene costruita nel 1973, quando nonostante gli
sforzi fatti per adattarla ai canoni stilistici degli anni Settanta la
moto appare comune nel design e povera negli accessori. Il serbatoio ha
forma arrotondata, i parafanghi anziché cromati sono verniciati ed hanno
una banda centrale dorata. E’ disponibile solo nel colore blu.
Il telaio non venne modificato ma la forcella divenne Marzocchi, come
i due ammortizzatori. Bello il freno anteriore a tamburo a doppia
ganascia
con prese d’aria laterali. Al posto dei cerchi in acciaio vennero
adottati nuovi cerchi Borrani in lega leggera nelle misure 19 pollici
all’anteriore e 18 al posteriore.
La strumentazione era uguale a quella della sportiva Desmo: CEV
o Smiths (a seconda della disponibilità in magazzino) fissata elasticamente
per ridurne le vibrazioni. In questa versione, l’accensione diventa
elettronica.
Della Mark 3 venne prodotto nel 1973 anche un modello in cilindrata
ridotta a 239 cc. Era destinata al mercato francese per rientrare nella
classe favorita dalle agevolazioni fiscali. Fornita ai Corpi di Polizia
Municipale venne prodotta in pochi esemplari.
Riflessi racing
Salone di Torino 1971: Ducati
presenta la Desmo nelle cilindrate 250, 350 e 450 cc. E’ il
frutto
di un profondo processo di rinnovamento stilistico che interessò le
monocilindriche
con testata desmodromica, ormai notevolmente differenziate dalla Mark
3.
Meccanicamente le differenze non erano molte, solo una diversa
rapportatura
del cambio ed un nuovo carburatore Dell’orto.
Era nell’estetica la vera rivoluzione:
bassa e slanciata, con il motore in bella vista, aveva le sovrastrutture
(serbatoio compreso) in vetroresina colorate in argento con pagliuzze in
alluminio incorporate, brillantissime alla luce. In fabbrica la
soprannominarono
subito “Pallottola d’argento”. La sella era
monoposto,
i semimanubri bassi, le pedane racing arretrate e ripiegabili
ed i rinvii per cambio e freno posteriore obbligavano ad una posizione
abbassata grazie alla quale il controllo del mezzo era ottimo, assecondati
come si era da comandi e incavi nel serbatoio al posto giusto. Unico neo,
il comfort della sella, davvero minimo.
Al centro della piastra di sterzo campeggiava il grosso contagiri meccanico
Veglia Borletti da competizione, unico strumento previsto, dato che
il tachimetro era assente. Bellissimo anche il faro anteriore, interamente
cromato e con tre spie per luci e contatto.
Forcella ed ammortizzatori erano Marzocchi, da 35 mm la prima e regolabili
su tre posizioni di molla i secondi. Completavano la dotazione i cerchi
in lega leggera Borrani da 18 pollici ed i freni a tamburo,
Grimeca a doppia camma da 180 mm all’anteriore e monocamma da 160 mm al
posteriore. L’ultimo anno di produzione della “pallottola
d’argento”
fu il 1972.
L'ultima versione
Prestazioni brillanti e sicuramente
superiori a qualsiasi monocilindrica del tempo, unite
all’efficienza
della ciclistica, fecero delle Ducati Mark 3 e Desmo una delle
moto
più veloci sui percorsi misti, dove davano filo da torcere anche a
moto di cilindrata maggiore.
L’equilibrio tra maneggevolezza e stabilità, il
peso contenuto,
il tiro ai bassi regimi ed il buon allungo, assistiti
dall’ottimo
cambio a 5 marce, erano però compensati dalla scarsa affidabilità:
la messa a punto non era delle più facili e se l’accensione non
era perfetta l’avviamento poteva riservare dolorose
“scalciate”. L’assemblaggio
poco curato e le vibrazioni facevano il resto: allentamento di gran
parte della bulloneria e della ghiera di fissaggio del collettore al
cilindro oltre a frequenti rotture degli strumenti. Anche per un
Ducatista convinto, in qualche caso poteva essere troppo!