Dossier Mv Agusta Tre cilindri 350/500 GP
Dietro il successo
Difficile trovare nella storia del Motomondiale una moto così longeva,
titolata e misteriosa come la tre cilindri MV Agusta. Oggi, a trentadue
anni dalla sua ultima gara, sveliamo tutti i suoi segreti più nascosti,
cercando di fare luce una volta per tutte sulle sue caratteristiche
tecniche.
Scrivere la storia e l’evoluzione tecnica della tre cilindri a più di
trent’anni di distanza dal suo ultimo GP è un impresa assai
difficile.
Le informazioni relative alla moto che arrivavano dal Reparto corse
MV Agusta si potevano contare sulle dita di una mano e in molti casi non
corrispondevano affatto alla realtà.
Il Conte Agusta imponeva ai suoi uomini il silenzio assoluto, il depistaggio
e la strenua difesa dei segreti delle sue moto da gran premio. E in caso
di una malaugurata fuga di notizie, erano guai grossi per tutti.
Ecco perché sui campi di gara il lavoro dei fotografi nei box e nel
paddock veniva sistematicamente boicottato dai meccanici: non appena
spuntava l’obiettivo di una macchina fotografica, comparivano i teli a
coprire serbatoio e motore. O in mancanza di questi, erano i meccanici
stessi a fare abilmente da scudo, piazzandosi tra le moto e gli occhi dei
curiosi.
Nonostante le reticenze di allora, i tanti anni passati e la memoria dei
protagonisti che inizia a perdere inevitabilmente qualche colpo,
possiamo
comunque tracciare oggi un quadro preciso della tecnica della moto, partendo
dal suo motore.
Il tre cilindri, l’unico costruito dalla MV Agusta nella sua
storia,
non ha un solo papà, ma è frutto del lavoro di un gruppo di tecnici che
hanno avuto il compito di mettere su carta le richieste del Conte Agusta,
folgorato come detto in apertura, dalla prestazioni dei motori DKW
tre cilindri due tempi dei primi anni Cinquanta. I disegni portano la
firma di Mario Rossi, Enrico Sironi e di diversi altri uomini in forze
all’Ufficio tecnico. Quasi tutti sono poi stati vistati da Magni,
che aveva il compito di sottoporli al severo esame del padrone.
La gestazione del motore ha contorni poco nitidi. Come mai il Conte
impiega quasi un decennio per giungere alla conclusione che il tre cilindri
in linea è la formula migliore da applicare ad un motore da GP?
Perché prima non era necessario percorrere strade alternative rispetto
al plurivittorioso quattro cilindri in linea di Piero Remor verrebbe da
dire. Eppure sono in molti a pensare - nel 1964, quando è certa
l’esistenza
del tre cilindri - che il progetto sia un vecchio pallino del Conte.
Soprattutto una parte della stampa anglosassone, stupita se non addirittura
seccata che la nuova MV Agusta da GP venga affidata a un giovane pilota
italiano e non all’esperto Mike Hailwood.
Una cosa è certa: indipendentemente dai tempi di gestazione e dal materiale
utilizzato, il tre cilindri MV Agusta nasce bene e, una volta risolti gli
inevitabili problemi di gioventù, nei suoi quasi otto anni di servizio
non viene sottoposto ad interventi radicali.
Il motore
Bisogna però tener presente un fattore estremamente importante: dopo il
ritiro della Honda al termine della stagione 1967 viene a mancare all’MV
Agusta un avversario formidabile sotto il profilo tecnico.
Così, senza rivali degni di nota, soprattutto in 500 (in 350, invece, dove
la presenza della Benelli si fa sentire, l’MV costruisce nel 1969 una
sei cilindri, che viene però scartata dopo alcuni test protrattisi fino
al 1971), il materiale già sviluppato fino a quel momento è sufficiente
per vivere “di rendita” per diverse stagioni e molto verosimilmente
fa
slittare la nascita della nuova 4 cilindri, i cui primi disegni risalgono
all’inizio del 1970, di almeno un paio d’anni.
Per la descrizione dei segreti del tre cilindri e per tutte le variazioni
di cilindrata a cui è andato incontro vi rimandiamo agli ingrandimenti
delle foto con le relative didascalie
Per quanto riguarda invece gli inconvenienti che affliggono la moto nella
sua prima stagione di gare, questi si limitano alla pompa
dell’olio
fragile e dalla portata insufficiente, alla una frizione da non
strapazzare
troppo e alla necessità di migliorare il raffreddamento dell’olio motore.
La frizione non viene modificata (si usano soltanto dei dischi sinterizzati),
mentre per quanto riguarda il raffredamento dell’olio viene
aumentata
la capacità della coppa e cosa ancora più importante la superficie di
raffreddamento
della stessa.
L’accensione resta immutata per tutta la carriera, a
bobina-batteria
con il piatto dei ruttori caletatto all’estremità dell’albero
motore,
davanti al primo ingranaggio della cascata della distribuzione.
Inizialmente i condensatori sono fissati all’interno e protetti da un
coperchio forato. Dopo la debacle del GP del Giappone 1965 vengono spostati
all’esterno e fissati direttamente al basamento motore. Le bobine
invece
sono collocate sopra il blocco cilindri e fissate ai tubi superiori della
doppia culla del telaio. L’MV si convertirà all’accensione
a magnete
(Mercury) ed elettronica solo con la successiva 4 cilindri.
Fra i vari esperimenti che non sono mai stati utilizzati in gara perché
non hanno portato a sensibili miglioramenti segnaliamo: una testa sperimentale
con la batteria dei carburatori più inclinati costruita all’inizio del
1973, ma scartata perché il quattro cilndri era già pronto, e un motore
di 350 cc a sei carburatori, bocciato dopo un solo test a Monza.
Il telaio
Inizialmente il telaio doppia culla chiusa in tubi d’acciaio al cromo
molibdeno è molto simile a quello della vecchia bicilindrica 250.
Addirittura, come ricorda Lucio Castelli: “al Nurburgring nel 1965,
Agostini ha corso con il telaio di una 250. Anzi, la moto era una vecchia
quarto di litro su cui avevamo montato il tre cilindri perchè tutti i nostri
sforzi si erano concentrati sullo sviluppo del motore. E quando è stato
il momento di farlo correre, si è ritenuto che la ciclistica della vecchia
250 potesse bastare”. Quando viene costruito il nuovo telaio
espressamente
per la tre cilindri, vengono comunque ancora riprese le misure essenziali
della 250. I tubi però sono di maggior diametro, mentre la doppia culla
è imbullonata per favorire l’estrazione del motore. Il forcellone è
fissato
su di un eccentrico che permette di variare rapidamente i valori
dell’interasse.
Il telaio doppia culla chiusa in acciaio al cromo molibdeno della 350 è
uguale a quello della 500 anche nella parte posteriore nonostante la
mezzo litro monti un forcellone di maggior sezione e lunghezza ed una gomma
di maggiori dimensioni.
La prova che i due telai sono compatibili arriva nel corso della doppia
trasferta in Germania Est e Cecoslovacchia del 1966, quando
Agostini
piega il telaio della 500 in una caduta al Sachsenring e per approntare
una moto la settimana successiva per farlo correre a Brno, gli uomini di
Magni smontano il muletto della 350 per allestire una nuova 500.
Forcellone a parte il resto è invariato per tutta la carriera della tre
cilindri.
Dato che Agostini non si lamentava e non chiedeva modifiche, a
inizio
stagione veniva costruito un lotto di telai che dovevano bastare per tutto
l’anno.
Nemmeno le differenze di altezza fra i pochi piloti che oltre ad Agostini
hanno avuto il privilegio di gareggiare con la tre cilindri bastano per
costruire telai diversi. Al massimo si trova la miglior posizione in sella
con serbatoi e codini di diverse dimensioni. Le uniche sperimentazioni
riguardano un telaio in titanio (vietato però dal regolamento),
allestito
per Agostini ma mai utilizzato in gara, e un telaio più alto per modificare
il baricentro e la disposizione dei pesi richiesto da Phil Read al suo
arrivo in squadra.
Tamburo o disco?
Alla voce freni verrebbe da pensare che sia tutto di produzione MV Agusta
, ricordando l’intransigenza del Conte Domenico che per le sue moto da
GP voleva costruirsi tutto in casa. In realtà, osservando le foto e consultando
i dati di allora, si scopre una realtà diversa.
Dove non riusciva ad arrivare il Reparto corse MV, intervenivano fornitori
fidati. Il freno a tamburo anteriore della tre cilindri è inizialmente
prodotto a Cascina Costa, poi però dietro le insistenze di Agostini dal
1968 si passa a materiale Ceriani (non a caso ex dipendente MV...).
Nel 1965 i freni sono gli stessi a tamburo e camma semplice della 250,
ma dietro pressioni di Agostini si passa rapidamente al tamburo doppia
camma e 4 ganasce, già utilizzato sulla vecchia 4 cilindri 500. Immutato
invece per tutta la carriera il freno a tamburo posteriore a camma semplice
di produzione MV Agusta.
Diversi gli esperimenti effettuati con i freni a disco. I primi addirittura
nel 1965, quando negli ultimi due appuntamenti della stagione
a
Monza e a Suzuka, viene allestita una moto con un doppio disco anteriore
da 230 mm e pinze a singolo pistoncino con comando meccanico.
Tutto
l’impianto è costruito dalla Campagnolo ed è lo stesso montato sulla 125
due tempi a disco rotante che fa qualche sporadica apparizione nel
1965 e che in seguito farà la sua comparsa anche sulla 600 quattro cilindri
di serie. Agostini però non si dimostra affatto entusiasta della novità
che, dopo essere stata testata in prova, viene presto accantonata.
Il secondo capitolo dei freni a disco va in scena nel 1968: questa volta
le pinze sono a comando idraulico e sono posizionati davanti al fodero
della forcella e non dietro. Anche in questo caso l’esperimento ha
breve durata e si limita alle prove di un paio di GP, prima di essere nuovamente
scartato.
L’ultima puntata del capitolo freni a disco va in scena con Phil Read
e solo sulla 500. Il pilota inglese arriva in MV Agusta in pianta stabile
per la stagione 1973 ed è un sostenitore dei freni a disco Lockheed, che
ha già avuto modo di provare con soddisfazione sulle sue Yamaha da GP e
sulla Norton John Player 750.
Così la tre cilindri fa le sue ultime apparizioni in gara, alternando dischi
e pinze inglesi della Lockheed con un italianissimo impianto Scarab,
scelto per motivi commerciali dato che le MV Agusta di serie montano materiale
dell’azienda emiliana.
Ma più che un tentativo di aggiornare la tre cilindri, si tratta di un
lavoro di collaudo dei materiali per la nuova quattro cilindri - il cui
progetto è in dirittura di arrivo - e che termina nella primavera del 1974
con la partecipazione di Gianfranco Bonera alla Makralon Bayer Cup di Imola,
ultima gara in assoluto della gloriosa tre cilindri.
350, la tecnica
LA TECNICA
I dati sono riferiti all'ultima versione del 1972
Motore: tre cilindri in linea frontemarcia quattro tempi, basamento,
teste e cilindri in magnesio con coperchi della testa in bronzo. Blocco
cilindri inclinato in avanti di 10°. Alesaggio per corsa 56x47,2 mm, cilindrata
348,58 cc. Distribuzione bialbero comandata da un treno di ingranaggi sul
lato destro del motore con quattro valvole per cilindro inclinate di 65°.
Diametro valvola aspirazione 23 mm; diametro valvola scarico 21 mm. Rapporto
di compressione 11,5:1.
Lubrificazione: a carter umido con pompa ad ingranagggi di mandata
e recupero. 3,5 litri di olio nella coppa.
Alimentazione: tre carburatori Dell’Orto SS a vaschetta separata
da
29 o 30 mm. Capacità serbatoio carburante da 17 a 24 litri in funzione
delle gare.
Accensione: a spinterogeno. Anticipo automatico 45°.
Trasmissione: primaria ad ingranaggi, finale a catena.
Frizione: multidisco a secco.
Cambio: in blocco a 6 rapporti.
Telaio: doppia culla chiusa in tubi d’acciaio al cromo molibdeno da
25x1,2 mm.
Sospensioni: anteriore forcella teleidraulica Ceriani (o MV Agusta)
da 35 mm. Posteriore forcellone oscillante con due ammortizzatori teleidraulici
Ceriani regolabili su 4 posizioni di precarico molla.
Freni: anteriore Ceriania tamburo doppia camma a 4 ganasce da
230 mm; posteriore MV Agusta a tamburo a camma semplice da 210 mm.
Ruote: a raggi, con cerchi in lega leggera da 18”. Pneumatici:
anteriore
3,25-18; posteriore 3,50-18.
Dimensioni (in mm) e peso: lunghezza max 1.935, larghezza max 520,
altezza max 1.120, interasse 1.320, altezza sella 720, altezza pedane da
terra 350, luce a terra 150. Peso 130 kg.
Prestazioni: potenza max 68 CV a 15.000 giri. Vel. max 255 km/h.
500, la tecnica
LA TECNICA
Versione del 1971
Motore: tre cilindri in linea frontemarcia quattro tempi, basamento,
teste e cilindri in lega leggera con coperchi della testa in bronzo. Blocco
cilindri inclinato in avanti di 10°. Alesaggio per corsa 62x55 mm, cilindrata
497,8 cc. Distribuzione bialbero comandata da un treno di ingranaggi sul
lato destro del motore con quattro valvole per cilindro. Diametro valvole
di aspirazione 24 mm; diametro valvole di scarico 22 mm. Gioco valvole
(aspirazione 0-20; scarico 0-25).
Lubrificazione: a carter umido con pompa ad ingranaggi di mandata e
recupero. 3 kg di olio nella coppa.
Alimentazione: tre carburatori Dell’Orto SS a vaschetta separata
da
31 mm. Getto minimo 50; getto max 125; polverizzatore 262; spillo M1. Capacità
serbatoio carburante 18 litri.
Accensione: a puntine.
Trasmissione: primaria ad ingranaggi. Finale a catena.
Frizione: multidisco a secco.
Cambio: in blocco estraibile a sei marce.
Telaio: doppia culla chiusa in tubi d’acciaio al cromo molibdeno da
25x1,2 mm.
Sospensioni: anteriore forcella teleidraulica Ceriani da 35 mm. Posteriore
forcellone oscillante con due ammortizzatori teleidraulici Ceriani regolabili
su 4 posizioni di precarico molla. Lunghezza ammortizzatori 300 mm.
Freni: anteriore Ceriania tamburo doppia camma a 4 ganasce da
230 mm; posteriore MV Agusta a tamburo a camma semplice da 210 mm.
Ruote: a raggi con cerchi in lega leggera da 18”. Pneumatici anteriore
2,75/3,75-18; posteriore 110-80-18.
Dimensioni (in mm) e peso: lunghezza max 1.950, larghezza max 520,
altezza max 1.120, interasse 1.335, altezza sella 720, altezza pedane da
terra 350, luce a terra 150. Peso 134 kg.