Vincent Rapide e Black Shadow 1000 serie B
Rapide
Costruite dal 1946 al 1950, sono quelle che hanno
reso universale il mito Vincent. Perché sono le più veloci, le più affascinanti
e le più sofi sticate. Ma anche le più discusse. Per oltre 20 anni la massima
espressione delle moto sportive. E ancor oggi nei sogni di tanti
appassionati.
Difficile sentire valutazioni equilibrate quando si parla di Vincent
1000, le famosissime bicilindriche inglesi nate nel
1936
e uscite di produzione giusto 50 anni fa. Chi le esalta, sedotto dal
loro indiscutibile fascino, e chi invece le giudica con una punta di cattiveria,
tentando di demolirne il mito. La moto inglese è quella che ancor oggi
fa discutere di più gli appassionati. Tentiamo un esame,
approfittando
del recente restauro effettuato in Italia di una Rapide e di una
Black Shadow serie B, ovvero i due modelli del primo dopoguerra
affermatisi a livello internazionale (mentre la precedente Rapide serie
A si era fatta conoscere soltanto in patria).
Quali sono gli intenti di Philip Vincent nell’immaginare questa
moto? Così li dichiara pubblicamente: “Concentrare tutte le
nostre capacità nella produzione di un superbo modello sportivo,
il migliore del mondo, destinato agli esperti che desiderano viaggiare
veloci sulle lunghe distanze per puro piacere. Un modello sorprendentemente
compatto per la sua cilindrata, con un rapporto peso/potenza incredibilmente
favorevole, il più veloce di tutti, con 4 freni e un telaio elastico per
la massima sicurezza e tenuta di strada. In grado tuttavia di trottare
allegramente a 20 miglia (32 km/h) in quarta”.
In altre parole, la moto “assoluta”, capace di oscurare la fama
della
Brough Superior, la Rolls Royce delle moto (anch’essa bicilindrica
a V), che comunque già nella seconda metà degli anni Trenta si era dotata
di un motore più pacifico del precedente e poi sarebbe uscita di produzione
alla vigilia della Seconda guerra mondiale, lasciando campo libero alla
Vincent.
Riesce nel suo ambiziosissimo intento il volitivo Philip? Con la 1000
serie A battezzata Rapide (1936-1940) le prestazioni ci sono in abbondanza,
ma l’estetica lascia a desiderare e così pure l’affidabilità.
Il groviglio di tubi attorno al motore le procura subito il soprannome
di “incubo dell’idraulico” mentre la potenza di
45 CV
mette in crisi trasmissione primaria, frizione e cambio. Inoltre, con il
motore alloggiato in un telaio convenzionale, si travalica il valore
di interasse considerato ideale dal costruttore inglese (142 cm). Tecnicamente
la serie A non è quindi irreprensibile, ma produce egualmente un tremendo
impatto sull’immaginario collettivo anche se il prezzo record di 142
sterline la mette fuori portata per la stragrande maggioranza. È infatti
superiore almeno del 50% a quello dei modelli di alta gamma BSA, Triumph,
Norton. Sta di fatto che nei cinque anni di produzione solo poche
decine di Rapide usciranno dalla fabbrica.
Rapide B
Durante la guerra, quando la sua azienda deve occuparsi
soltanto
di produzione bellica, l’idea della moto
“suprema” continua però
ad agitarsi nel cervello di Philip, ansioso pure di superare i
difetti
della Rapide. Nel 1944, in piena guerra, fa
pubblicare da
Motor Cycling questa specie di proclama: “Le strade del
futuro
richiederanno moto di grande e costante potenza, alta velocità, perfetta
stabilità e grande affidabilità. E noi stiamo già pensando a questa macchina
del futuro”. Sono parole cui seguiranno presto i fatti.
La 1000 serie B (quella che diffonderà il mito Vincent in tutto
il mondo) viene annunciata sulla stampa a dicembre 1945, pochi mesi dopo
la fine della guerra, e le prime consegne avranno luogo l’anno
dopo nonostante le difficoltà nell’approvvigionamento delle materie prime.
Risolti i problemi della serie A: abbandonato il telaio convenzionale,
la soluzione avveniristica del motore portante con il serbatoio
dell’olio spostato nel trave superiore e il cambio in blocco
consentono
di ridurre l’interasse; la trasmissione primaria è sempre a catena
ma triplex anziché simplex, la frizione è rinforzata e provvista
di un servocomando per renderla più dolce e tenace.
Frizione e cambio sono costruiti dalla stessa Vincent con criteri di massima
robustezza, basti dire che gli ingranaggi hanno dimensioni superiori a
quelli della celebre Bugatti 57. Il cilindro posteriore è spostato
a destra di 4 cm per ricevere maggior raffreddamento. Le valvole
hanno sempre due guide e il comando a bilanciere che fa presa a metà
dello stelo, ma ora le molle sono elicoidali e racchiuse anziché a spillo
e scoperte.
Insomma si può dire che tutte le parti del motore sono state rivisitate
e così non c’è quasi più nulla del precedente, anche la V dei cilindri
aumenta da 47 a 50°. Un intenso lavoro di perfezionamento, portato
a termine in tempi brevi e con ottimi risultati soprattutto in fatto di
prestazioni ulteriormente aumentate nonostante la benzina di allora
a solo 72 ottano. Da sottolineare la scomparsa del telaio che ovviamente
si riflette anche sul peso, pur se i detrattori lo accusano di minor rigidità.
La Rapide B verrà costruita dal 1946 al 1950 e venduta a
caro prezzo (320 sterline). Verrà affiancata nel 1948 dalla
versione ulteriormente potenziata Black Shadow, contraddistinta
dal motore tutto nero per smaltir meglio il calore, ma anche per resistere
meglio alla corrosione marina (parole di Philip).
Black Shadow
A dimostrazione che più ce n’è meglio è, la Black Shadow
(380 sterline
la sua quotazione) supererà presto la Rapide nelle vendite sia
in
patria come all’estero, dove le esportazioni specialmente negli USA sono
vitali per acquisire valuta pregiata. Con una potenza di 55 CV
le
prestazioni della Black Shadow sopravanzano generosamente quelle della
Rapide, tanto che i tester delle riviste inglesi hanno serie difficoltà
a reperire una base per verificarle esattamente. Prendiamole quindi con
beneficio d’inventario.
La Rapide e la Black Shadow serie B
resteranno in produzione
fino al 1950, dopo che nel 1949 era già entrata in scena la serie
C, quella con la discussa forcella Girdraulic (ne parleremo un’altra
volta). Della B (mai importata in Italia) non siamo riusciti a scovare
le cifre esatte di produzione, neppure consultando attentamente la pur
abbondante bibliografia dedicata alla Marca: da scarne indicazioni potremmo
azzardare due migliaia, su un totale di circa 12.000, comprese però
le monocilindriche e le unità costruite anteguerra.
Quale può essere dunque il bilancio obbiettivo della serie B? Vediamo:
meccanica sopraffina ma complicata, estetica incantatrice,
prestazioni assolute, un sogno per tutti, una realtà per pochissimi.
La bibliografia consultata non nasconde però alcune pecche, per
esempio la forcella a parallelogramma ormai superatissima e la sella
collegata alla sospensione. Si denunciano anche problemi causati dalla
differente dilatazione di ghisa e alluminio a temperature di lavoro,
tanto che gli attacchi posteriori del motore sono formati ad asola per
consentire un certo spostamento. Più altre cosucce come i trafilaggi
d’olio nella dinamo e nella frizione. E che dire dell’arcaico
cavalletto
sulla ruota posteriore che richiede un aiutante?
In conclusione, un bolide dal fascino irresistibile che fa classe
a sè e che continua ad esaltare la fantasia degli appassionati: basta vedere
la profusione di tentativi attuati nel corso dei decenni per farlo rivivere,
sia in condizioni originali, sia modernizzato. Una moto che spinge come
nessun’altra a scatenare la passione e ragionamenti filosofici.