Motociclismo

117 maggio 2022 / Motociclismo Torna la “piccola” della famiglia Sportster, con 40 kg in meno e 40 CV in più della vecchia 883. È maneggevole e il motore allunga forte; peccato per il marcato effetto on-off al comando del gas 40VOLTE NUOVA Di Francesco Pelizzari Meno vibrazioni, meno peso, più potenza, più guidabilità, più piacere di guida. Detta così, in estrema sintesi, parliamo di unamotomolto migliorata. Tutto bene, dunque? Da un lato certamente sì; il problema è che qui non si parla di una moto qualsiasi, ma di una Harley-Davidson, un marchio che ha fatto del legame con la tradizione una ragione di vita. Se consideriamo che parliamo della Sportster, modello nato nel 1957, beh allora la cosa si fa complicata. I cosiddetti “puristi” potrebbero storcere il naso, come fecero con la V-Rod del 2001, che introdusse nella gamma di Milwaukee un motore a V di 60° raffreddato ad acqua… esattamente come il RevolutionMax 975T che equipaggia la nuova moto. Le similitudini però finiscono qui, a meno di ricercare un collegamento con il fatto che il bicilindrico di allora fu sviluppato in collaborazione con Porsche, altra Casa che ad un certo punto ha dato un taglio al suo passato fatto di motori ad aria. Chiacchiere da bar. Stiamo ai fatti. Primo: la nuova HD si chiama solo Nightster, anche se fa parte della gamma “Sport”. Secondo: il motore ha cilindrata 975 cc: né 883 né 1200, non si rifà nemmeno per finta al passato. Terzo, last but not least: la 883, sul banco di Motociclismo, dava 50 CV a 5.800 giri all’albero (67 CV la 1200), a fronte di un peso di 250 kg; per la nuova Nightster si dichiarano 90 CV a 7.500 giri e 210 kg a vuoto. Numeri che dicono già molto sul “nuovo capitolo” Sportster; ma non tutto, come vedremo. L’obbiettivo di Milwaukee è di mantenere il 40% di vecchi clienti e “rubarne” il 50% alle altre Marche. Il tempo ci dirà se la Nightster è la moto giusta per raggiungere l’obbiettivo. Motore-telaio Vediamo allora nel dettaglio la nuova Harley, che ha qualche reminiscenza col passato nella centralità del motore che resta la prima cosa su cui cade l’occhio. Ma se prima dominava in toto la scena, con i suoi cilindroni alettati e il carterone della primaria, qui si fa bello dell’essere anche parte stressata, e quindi fondamentale, della ciclistica. Via quindi il telaio a doppia culla, in favore delle strutture anteriore e posteriore fissate proprio al motore. Inoltre la V di 60° dei cilindri (con manovellismo a 30°) abbassa il baricentro rispetto alla precedente a 45°, poi il nuovo motore è tutto in lega leggera, con tanto di coperchi di teste e carter della primaria in magnesio; ed è progettato con il sistema di analisi degli elementi finiti, che consente di usare soltanto il materiale che serve. Una buona fetta dei 40 kg in meno di cui sopra la troviamo qui. In questa versione il Revolution Max dispone della fasatura variabile soltanto all’aspirazione (il 1250 ce l’ha anche allo scarico) ma per il resto, tolti alesaggio e corsa e l’accensione singola (doppia sul 1250), è identico al “fratello maggiore”: 4 valvole per cilindro, raffreddamento a liquido, lubrificazione a carter semi-secco. Il gioco valvole è regolato idraulicamente, per avere una buona silenziosità anche a freddo, e le valvole di scarico sono al sodio, per aumentare la resistenza al calore e, come per il 1250, ci sono due contralberi anti vibrazioni, il principale a spirale nel carter e comandato da catena, e uno più piccolo tra gli alberi a camme del cilindro anteriore. All’alimentazione provvede un doppio corpo farfallato da 50 mm con condotti verticali tra i cilindri, che respira tramite l’airbox, da 6,5 litri, posizionato dove di solito c’è il serbatoio della benzina, il quale invece si trova sotto la sella, nella posizione in precedenza occupata da quello dell’olio. Tutte soluzioni pensate nell’ottica delle prestazioni, più che delle sensazioni, che sono sparite dai radar in favore di un rendimento “alla giapponese”: la meccanica è in effetti molto silenziosa, all’opposto di prima, mentre la sonorità di scarico è presente, ma “normalizzata” in un borbottiò da “normale” V2 a 90°: tale è la fasatura degli scoppi. Il motore è governato da un’elettronica che prevede tre riding mode: Sport, Road e Rain, poi ci sono il controllo di trazione inseribile a piacimento e il DSCS (controllo della coppia in rilascio, e quindi dell’intensità del freno motore); l’elettronica è migliorabile, ne

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