18 June 2008

Intervista a Francesco Santillo, fondatore di Neptune Design: racconti di un designer italiano emigrato in Giappone

“Una decina di anni fa, stanco dell’Italia e alla ricerca di un’esperienza diversa, feci un colloquio per il Centro Stile Toyota in Costa Azzurra. La selezione andò però così bene che mi chiesero di entrare direttamente al Centro Stile in Giappone”. Precedentemente Santillo aveva lavorato per Piaggio, Giugiaro e Mercedes. Lasciato il Centro sitle Honda, oggi si dedica la suo studio “Neptune Design” SEGUE...

Carriera nel Sol Levante


CARRIERA NEL SOL LEVANTE Al Salone di Taipei abbiamo incontrato Francesco Santillo, giovane designer italiano che vive in Giappone, dove lavora da otto anni. Dopo un passato nei migliori centri stile del settore auto e moto, di recente Santillo ha avviato un proprio studio, chiamandolo Neptune Design. Lo stile italiano è molto apprezzato dai giapponesi, che sono però restii a rivolgersi all’esterno. Lui, forse memore di quando per pagarsi gli studi consegnava pacchi a domicilio, in un certo senso è passato a consegnare a domicilio lo stile italiano. Racconta Santillo: “Una decina di anni fa, stanco dell’Italia e alla ricerca di un’esperienza diversa, feci un colloquio per il Centro Stile Toyota in Costa Azzurra. La selezione andò però così bene che mi chiesero di entrare direttamente al Centro Stile in Giappone: rimasi sbigottito, ma era un’occasione unica, e non ho potuto dire di no”. Origini calabresi, nascita a Roma e formazione allo IAAD di Torino, Santillo ha appena lasciato il Centro Stile Honda per dedicarsi al suo Studio. Prima che per Honda, in carriera ha lavorato sia sulle due che sulle quattro ruote: partendo dalla Italdesign di Giorgetto Giugiaro e passando per varie esperienze. Tra queste annovera Piaggio, lasciata perché richiamato da Italdesign, poi lo studio di Design aperto da Mercedes sulle rive del lago di Como, infine il salto in Toyota. Aggiunge Santillo: “I colleghi giapponesi mi chiedevano se ero matto: consideravano il Centro Stile Mercedes il miglior posto del mondo per un designer, e io avevo mollato tutto per il Giappone. Ma per me era soprattutto una bella sfida e sono contento di essere qui. Tanto è vero che ho aperto il mio studio in Giappone, non in Italia”.

L'uomo da battere


L’UOMO DA ABTTERE Com’è lavorare con i giapponesi?
“Beh, hanno questa sorta di doppia faccia: da fuori ti ammirano, specialmente se sei italiano, hai spirito di iniziativa. Ma all’interno c’è una competizione estrema, soprattutto fra le Case giapponesi: se ne vede un riflesso nella 8 ore di Suzuka, che per loro vale un Mondiale. E appena è arrivato il designer italiano, la competizione interna è stata subito tutta per far meglio di lui: e sono diventato l’uomo da ‘battere’. Nonostante questo, ho vinto più di una proposta di stile.”

Insomma tutti contro di lei.
“Parliamo di competizione professionale, ovviamente. Professionale, ma senza sconti: all’inizio mi fidavo, anche perché non potevo fare altro; poi ho capito come funzionava. In Giappone si mettono i bastoni fra le ruote! Oppure capitava, come nell’ultimo periodo in Honda, che mi facessero lavorare con ragazzi giovani, sperando che traessero ispirazione. Ma come si fa a surrogare tutta la mia formazione in Italia, e i miei 18 anni di esperienza professionale? Non basta certo qualche mese!”

Metodo giapponese


METODO GIAPPONESE Com’è lo stile giapponese visto ‘da dentro’?
“Ho l’impressione che i giapponesi in questo momento non vadano da nessuna parte, a differenza di qualche anno fa quando ancora riuscivano a dire qualcosa, ad esempio con la prima CBR 900 RR. Adesso li trovo spenti, ed è una delle ragioni per cui il mio studio è qua: prima o poi avranno bisogno, e io ci sarò.”

Da soli non ce la fanno a dare una svolta al loro stile?
“Il punto sta proprio nel loro modo di lavorare. In Honda, ad esempio, usano sempre la parola ‘advanced’: per loro è tutto advanced. Poi, nel lunghissimo tragitto dalla proposta di stile all’industrializzazione, ogni progetto diventa conservativo, in parte anche perché in Honda l’ingegneria ha molto peso. In Italia, designer e tecnici hanno un peso comparabile, c’è un bilanciamento che funziona molto bene. In Giappone, gli ingegneri sono al di sopra di tutto. Ma difficilmente un ingegnere dice qualcosa di veramente nuovo nello stile.”

Sembra un problema di fondo...
“Assolutamente. Il Giappone è un Paese dove le individualità sono mal viste: così può accadere, come in Toyota, che si facciano continuamente riunioni in cui nessuno decide, e si rinvia tutto ad un’altra riunione: intanto il tempo passa e alla fine magari ci si trova a definire il progetto in fretta e furia.”

La nuova Honda CBR1000RR sembra in effetti un po’ “affrettata”.
“Quello è un tipico risultato del loro metodo di lavoro. Sulla moto hanno lavorato due diversi designer: siccome, però, il giapponese non ha l’idea del vertice, ma solo quella del team, può capitare che manchi una supervisione rigorosa. Infatti in questo caso fra il frontale e la coda c’è uno sbilanciamento. Ma a parte lo specifico di questa moto, in questo momento in Honda vedo un po’ di confusione. Secondo me c’è anche un problema di logo, di utilizzo del loro brand sulle moto.”

Questione di Leader


QUESTIONE DI LEADER Dove è arrivato un leader in effetti i risultati si sono visti, come sulle recenti Kawasaki di Shunji Tanaka.
“Sì, anche se soprattutto all’inizio. Ora mi sembra che le Kawa comincino ad essere un po’ ripetitive, un po’ troppo ‘bio-design’: un tipo di stile molto specifico, difficile da gestire. La Honda lo ha usato per l’@, dopo però ha cambiato strada per non stancare la gente.”

Forse non è lo stile più adatto allo spirito Kawasaki.
“Le Kawasaki sono sempre stata un po’ grezze, maschie. Se si vuole, un po’ italiane: monocolori, con grafiche semplici, moto che andavano tutto sommato per la loro strada. Per me la Kawasaki è un po’ una Ducati in verde: e adesso trovo le Kawa un po’ troppo pesciformi”.

Gli scooter giapponesi



GLI SCOOTER GIAPPOENSI
E il mondo scooter?
“In Giappone adesso c’è una netta separazione tra gli scooter ‘maschili’, con linee a cuneo e colori aggressivi, e scooter ‘femminili’, con linee tondeggianti e colori pastello. Non esiste niente, diciamo, di unisex: non c’è niente di paragonabile alla Vespa, o alla Mini. Questo perché in Giappone, a differenza che in Italia, le culture maschile e femminile sono ancora separate, anche se si stanno lentamente avvicinando. Penso che ci sia spazio per loro per lavorare in direzione dell’unificazione, trovare nuovi linguaggi di sintesi”.

Le moto più belle



LE MOTO PIÙ BELLE
Quali sono per lei le moto più belle degli ultimi anni?
“Devo dire che dopo aver visto la MV F4 ho pensato: E adesso? Secondo me quel vertice estetico deve ancora essere superato; ma trovo azzeccata la 1098, e credo che rimarrà attuale per qualche anno. Certo se fosse stata un po’ meno F4 dietro…”

Ecco: e guardandole non le viene nostalgia dell’Italia?
“Io una F4 ce l’ho, e anche una Monster: dell’Italia mi basta quello, che è la parte migliore. Della confusione, del malgoverno, delle raccomandazioni faccio volentieri a meno; persino i controlli sulle strade ormai sono più severi in Italia che qua. A viverci, adesso, non ci tornerei. E poi ormai ho sposato una giapponese: un’altra cosa che consiglio a tutti…”.

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