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Yamaha Ténéré Spirit Challenge: vi raccontiamo il nostro rally

A Marina di Scarlino (GR) si è svolto, all’interno della prima prova del Campionato Italiano Motorally, lo Yamaha Ténéré Spirit Challenge, un nuovo trofeo riservato ai clienti della T700 che vogliono assaporare la dimensione competitiva dei rally. Boom di iscritti e tanto divertimento su percorsi spettacolari. Vi raccontiamo com'è andata

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Oltre al virus c’è nell’aria tanta voglia di lasciarsi alle spalle un po’ tutto; di evasione, di avventura. Dopo i divieti, le paure e malattie si è generato un irrefrenabile desiderio di libertà che probabilmente sarà il motore della ripartenza economica di questo Paese e non solo. Un intero mondo bloccato che è pronto a girare come prima, più forte di prima. Lo si capisce dall’incredibile numero di iscritti che ci sono stati nelle poche gare di enduro e motocross che si sono potute svolgere in questi mesi. Ma anche nelle prove libere: centinaia di piloti nei paddock che non si limitano solo a far del bene alla specialità, ma sono vere e proprie boccate di ossigeno per tutto il tessuto sociale (aziende, negozi, ristoranti, hotel, ecc), che hanno un disperato bisogno di uscire da un periodo molto buio. A metà gara mi sono fermato con altri piloti a fare benzina e a mangiar qualcosa in un piccolo bar di un paesino collinare. Il titolare ci ha detto che erano mesi che non preparava 12 panini tutti in una volta...

Il Campionato Italiano Motorally ce lo invidiano in tutto il mondo. Si svolge da metà degli anni 80 ed è diventato nel tempo “l’università della navigazione”. La qualità e la cura del dettaglio dei roadbook sono maniacali e gli italiani sono diventati maestri nella navigazione stretta, al punto che quando il Sardegna Rally Race era una delle tappe del Campionato Mondiale Rally ci sono state pressioni per escludere tale prova, perché Botturi vinceva e i piloti ufficiali esteri si perdevano. In effetti la navigazione di una Dakar è completamente diversa da quella di un motorally italiano, ma i fondamentali che si acquisiscono nei nostri confini diventano un’arma preziosissima quando la navigazione nel deserto si fa complicata, cosa peraltro alla quale la disciplina sta tendendo per cercare di rallentare i piloti ufficiali che hanno alzato l’asticella del rischio ad un livello non più accettabile. Di questi risultati bisogna ringraziare soprattutto Antonio Assirelli, da 25 anni Coordinatore Nazionale Motorally che ha sempre creduto nel progetto, migliorandolo di anno in anno anche grazie alla capacità di avvalersi dei migliori collaboratori. Dalla passione e la cura del dettaglio non possono che scaturire manifestazioni di qualità e il grande numero di piloti che partecipano alle sue gare ne sono la conferma.

Dopo anni di gestazione, Yamaha ha partorito una delle moto più riuscite della sua storia recente. Per quanto sia soggettivo il giudizio estetico, si fa fatica a trovare qualcuno a cui non piaccia la sua linea. Ma più che la bellezza, è la guida che affascina. Una moto facile, divertente ed eclettica per davvero. Si trova a suo agio in mulattiera e in autostrada, consuma poco, va forte e non costa troppo. Tutte queste qualità ne hanno fatto ovviamente un successo commerciale e Yamaha Italia, molto saggiamente, la sta valorizzando con la produzione di diversi accessori e la possibilità di partecipare a varie iniziative che rientrano in un programma di eventi chiamato “Ténéré Spirit”. Uno di questi è la “Racing Experience” dedicata ai clienti proprietari della T700 che vogliono cimentarsi con le competizioni in ambiente rallystico. Si è quindi istituito un campionato parallelo all’interno delle 5 tappe del Campionato Italiano Motorally, il “Ténéré Challenge”. Un’idea vincente che alla prima edizione ha avuto un successo che è andato oltre ogni più rosea aspettativa: 47 iscritti da ogni parte d’Italia. Due le categorie, una per gli esperti e una per gli amatori. La PRO si corre con il tradizionale road book lungo il percorso standard, prendendo quindi punti per il campionato nazionale di categoria nel quale gareggiano bicilindriche di altre marche. La GPX è dedicata ai meno esperti e si corre con un GPS in un percorso nel quale vengono evitati i tratti più tecnici per cercare di rendere l’esperienza il più divertente possibile, ma non banale visto che comunque i partecipanti devono affrontare trasferimenti e prove speciali cronometrate. I primi 3 di ogni categoria, al termine della stagione, prenderanno parte allo Swank Rally, in programma dal 28 settembre al 2 ottobre 2021 in Sardegna. Tutor d’eccezione per tutta la durata del torneo è il pluricampione Alessandro Botturi che, oltre a fornire preziosi consigli ai piloti del Challenge, partecipa con una T700 veramente speciale nella categoria PRO. In questa prima prova l’ambassador Yamaha non ha però potuto correre a causa di una frattura alla mano rimediata in allenamento.

Per questa prima prova Yamaha ci ha invitato a correre nella categoria GPX fornendoci una T700 alla quale erano state apportate alcune modifiche per valorizzare le qualità offroad della moto. Pneumatici Dunlop D908RR montati su cerchi con canali stretti Excel e mozzi Kite (per montare le indispensabili mousse), pedane rally (disponibili nel catalogo Yamaha), forcella originale da 43 mm con cartucce Andreani e mono posteriore Öhlins, per aumentare l’escursione e il sostegno di e re percorsi enduristici di un certo livello. Ma quello che mi ha colpito vedendo le moto dei partecipanti al Challenge è la grandissima personalizzazione; non ce n’era una uguale all’altra! Si va dall’appassionato che si è presentato con la moto completamente di serie (compresi pneumatici stradali e bauletto...) alla special di Fabio Mauri che sembra abbia montato il motore del 700 su un WR450F tanto è snella. C’è poi la squadra Valentini Moto che ha preparato alcuni prototipi dove ogni particolare è stato alleggerito e modificato per rendere i mezzi super performanti in gara. E i risultati si sono visti, i piloti del team viaggiavano intorno alla ventesima posizione assoluta su 270 piloti. In mezzo ai due estremi ci sono interpretazioni diverse che sono frutto della propria fantasia e della creatività dei preparatori che possono fornire una miriade di pro[1]dotti dedicati. C’è la possibilità di montare una forcella da 48 mm anziché 43 mm, oltre a monoammortizzatori più performanti. C’è chi sostituisce la pompa dell’acqua meccanica con una elettrica, ci sono diverse tipologie di paramotori più o meno protettivi, prodotti dedicati ai porta-targa, alle protezioni del telaio, ai sistemi di scarico, oltre a tutta una serie di parti speciali Yamaha con le quali è possibile personalizzare e rendere unica la propria moto. In generale si osserva un grande fermento nel mondo delle bicilindriche di media cilindrata, forse le Case stanno ripensando il mercato delle maxienduro fatto di moto costosissime, pesantissime e potentissime, ma imbrigliate da un’elettronica sempre più spinta e norme anti-inquinamento sempre più severe.

Per il Challenge Yamaha classe GPX due giornate di gara: al sabato un anello di 157 km con 2 prove speciali di 19 e 25 km. La domenica un percorso di 158 km con 2 prove speciali di 21 km. Vista la filosofia della categoria con GPS, il tracciato è stato ridotto rispetto a quello del Campionato Italiano Motorally, dove invece correva la classe PRO del Challenge (quella dotata di road book) con al sabato 212 km (2 PS da 24 e 30 km) e la domenica 188 km (2 PS da 28 e 38 km). Organizzazione top di Yamaha gestita dal Racing Director Luca Lussana che ha radunato i numerosi piloti del trofeo in un’area appositamente preparata. Sono stati particolarmente curati tutti gli aspetti tecnici e amministrativi per permettere alla categoria meno esperta (GPX) di partire per la gara con serenità e godersi gli splendidi scenari di questa parte di Toscana, dove risalta il continuo contrasto tra costa ed entroterra.

Ho avuto la fortuna partecipare a tanti rally, ma ho sempre utilizzato il roadbook, mai il GPS. Da un lato ero intimorito, dall’altro ero molto curioso di provare questa nuova esperienza. Sulla moto era montato un Garmin Montana 700 con schermo touch a colori dotato di mille funzioni. Fortunatamente quelle base sono intuitive e in un attimo mi hanno insegnato a gestirle. Mi sono bastati pochi chilometri per apprezzare la facilità con la quale si può “navigare” tra strada e fuoristrada rispetto ad un road book dove invece bisogna incrociare il dato del chilometro percorso indicato su un trip digitale e il chilometro associato alla nota grafica (ad esempio al km 12,34 svolta a destra) indicato sul road book. Con il GPS basta solo mantenere il triangolino (che sei tu) su una traccia viola che è il tracciato da seguire e che qualcun altro ha percorso registrando il tragitto. In pratica è come usare il navigatore della macchina. Quando il triangolino esce dalla linea viola vuol dire che si sta andando nella direzione sbagliata. Nella teoria è quindi tutto molto semplice, il problema sorge quando si spinge a fondo in una prova speciale navigata. Nel primo settore selettivo sono partito forte, la linea viola era dritta quindi gas a manetta. Dopo 300 metri mi sono trovato davanti buche profonde fangose e ho cominciato subito la giornata con qualche bel jolly. È meglio imparare in fretta, infatti ho realizzato che il GPS è “bellino”, ma non ti “dice” i pericoli, e questo quando si viaggia forte può essere un problema. Occorre anche bloccare lo schermo su verticale o orizzontale, altrimenti quando si butta giù decisi la moto in curva la schermata si gira di colpo di 90°. A me è capitato e mi sono diretto giù per una collina, perdendomi miseramente. D’altro canto, contrariamente al road book, è facilissimo ritrovare la strada giusta, basta virare verso la traccia viola indicata sullo schermo e rimettere il triangolino sulla linea. In un’altra speciale ho raggiunto un pilota che non riuscivo a superare per via dalla grande polvere, lo schermo del GPS si è tutto sporcato e quindi con la mano l’ho pulito con una spazzolata. Buonanotte: è sparita la schermata e sono comparse icone, cartelline, casette, ecc. Mi sono fermato, ho reimpostato la traccia della tappa e sono ripartito. Quando c’è di mezzo un cronometro non è proprio una cosa che ti mette di buon umore. È anche molto importante calibrare lo zoom in modo che le svolte improvvise dai sentieri (gli LPP, lascia-pista-principale) siano visibili e anche i bivi siano leggibili. Non sempre è facile capire quale sentiero è da prendere quando ce ne sono 2 vicini paralleli di cui uno va in salita e l’altro scende. Personalmente mi sono trovato bene con lo zoom impostato sui 50 metri. In definitiva la navigazione con il GPS è formidabile se si procede a passo rilassato, in modalità avventura esplorativa. In queste condizioni la sensazione di sicurezza sulla strada/sentiero da prendere è assoluta. Se invece si corre per fare il tempo preferisco il road book, un po’ per la lentezza con la quale il GPS si aggiorna (nel sottobosco il segnale non arriva “pulito”), un po’ per il fatto che non ti avvisa dei pericoli. Sotto questo aspetto sono però venuto a sapere che Jordi Arcarons, team manager della squadra ufficiale Yamaha alla Dakar, fa allenare spesso i suoi piloti nel deserto con il GPS, proprio per abituarli a valutare meglio i pericoli improvvisi.

Quando tanti anni fa mi presentavo direttamente alle gare con la moto con la quale viaggiavo, andavo all’università o facevo motocross, per me era una fa pensare che la voglia di una moto totale sia più diffusa di quanto si possa immaginare. Si spazia dal maturo youtuber Stefano Cecchini senza velleità di classifica, al giovane trader immobiliare Rodolfo Russo che invece di manetta ne ha tanta (nel primo giorno ha fatto l’assoluta della GPX). Si incontrano vecchie volpi come Paolo Cincotto e Claudio Berlato che nonostante l’età non più verdissima il gas lo danno sempre alla grande fino alla tenacissima Lisa Baldin, che ha sempre guidato moto stradali ma si è improvvisamente innamorata dell’offroad. Stili diversi, storie diverse un denominatore comune: l’entusiasmo che suscita la T700 quando la si guida, un sentimento trasversale che fa riflettere. Come fa riflettere il modenese Michele Pradelli, pilota del Team Valentini Moto insieme all’esperto Niccolò Pietribiasi e a Pierluigi Valentini. Michele fa il direttore di banca e io l’ho conosciuto anni fa dal divano di casa mentre guardavo una trasmissione in TV chiamata Guinnes World Record. Ne ha vinti 2 facendo salti pazzeschi con la moto da trial dove peraltro è stato campione italiano. Quest’anno Michele guida per la prima volta una bicilindrica, la T700 nella categoria PRO e oltre ad aver vinto la prima giornata della categoria bicilindriche, ha viaggiato intorno alla 20esima posizione assoluta su 270 moto. Oltretutto è dotato di un fisico minuto e ti chiedi come possa fare a sollevare una moto da 2 quintali dopo una banale scivolata da fermo, perché prima o poi capita di appoggiare la moto a terra. Quindi come mai Pol Tarres riesce a saltare blocchi di marmo grandi come case nelle cave con un T700? Come mai Toni Bou guida un’Africa Twin 1100, con la quale probabilmente si è allenato mezz’ora, facendo settori di trial in scioltezza? La risposta è semplice: sono trialisti. Chi ha fatto trial ha evidentemente qualcosa in più, ha sviluppato un insieme di percezioni fondamentali, una sensibilità e un senso dell’equilibrio che può venir trasmesso a qualunque tipologia di moto indipendentemente dal suo peso o dalla sua grandezza. Vostro figlio vuol diventare un campione di enduro o motocross? Fategli fare trial!

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