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Wankel: la grande illusione

Doveva essere una vera alternativa al tradizionale 4T a pistoni. Più leggero e potente, meno costoso da costruire e adatto alle moto, si dimostrò poco affidabile, assetato e inquinante. Europei e giapponesi, esperimenti non riusciti, prototipi e moto di serie

Wankel: la grande illusione

Uno dei più grandi flop della storia motoristica può essere considerato il motore Wankel, che nasce e muore nel mondo dell’automobile, dove i due estremi sono una NSU Prinz spyder del 1966 e la Mazda RX-8 del 2012. Il “rotativo”” incontra qualche favore anche tra le moto con la Suzuki RE-5, le Hercules e le DKW, la Norton, la Van Veen e qualche prototipo che affascina Honda, Kawasaki e Yamaha. Tutto questo perché la potenza era di molto superiore a quella di un tradizionale motore a quattro tempi a parità di cilindrata. Di definire il Wankel un completo disastro non ce la sentiamo, perché comunque aveva molti lati positivi, anche se quelli negativi diventavano più importanti col passare dei chilometri.

 

L’INVENTORE

Il sig Felix Heinrich Wankel (vedere la gallery) nasce in Germania nel 1902 e nel 1929 brevetta quello che in embrione sarà il suo motore. Prima va in BMW dove collabora ai compressori volumetrici dei motori d’aviazione, poi dopo la guerra approda in NSU dove può finalmente vedere realizzata, in un prodotto di gran serie, la sua invenzione che avrà il suo culmine con la RO 80, una berlina che rimase in produzione dieci anni, a cominciare dal 1967. Wankel diventerà ricco grazie al suo brevetto e morirà nel 1988.

 

WANKEL: PERCHÉ SÌ

I vantaggi di questo motore derivano dal fatto che necessita di un minor numero di pezzi per funzionare rispetto a un motore tradizionale. Quello che risulta è un motore più leggero e più compatto nelle dimensioni. Stesso ciclo otto con le fasi di aspirazione, compressione, combustione e scarico, ma niente pistoni e bielle che vanno su e giù a fasi alterne, e di conseguenze pochissime o nulle vibrazioni; niente distribuzione e valvole che si aprono e chiudono. Esiste comunque quello che può essere considerato un pistone perché comprime la miscela gassosa di aria e carburante ed è quel triangolone che si chiama rotore che gira all’interno dello statore che possiamo assimilare a un cilindro allungato sui due lati e leggermente schiacciato al centro (geometricamente è definito epitrocoide). Più difficile da descrivere che da vedere nelle foto e nei disegni. Anzi, ancor meglio: guardate questo vide.

 

 

Il rotore gira nello statore e ha una dentatura interna che si innesta con un’altra dentatura calettata sul coperchio di chiusura dello statore e costringe il rotore a una rotazione eccentrica. Il rotore ha tre nicchie ricavate in ogni lato del triangolo, cavità che servono da camere di combustione, per cui ad ogni giro completo del rotore corrispondono tre fasi complete di lavoro. Ogni giro si aprono e si chiudono contemporaneamente tre volte aspirazione e scarico e si innesta l’accensione tramite le candele. Il vantaggio del Wankel è quindi di avere ad ogni giro dell’albero motore una fase utile, come accade ai motori a 2T, il che significa maggiore potenza a parità di cilindrata. Nei 4T la combustione e quindi la trasmissione della coppia, avviene ogni due giri dell’albero motore.

 

WANKEL: PERCHÉ NO

Fin qui nulla da dire sulle notevoli potenzialità di questo propulsore, tanto è vero che la Mazda ha venduto più di due milioni di auto con il Wankel: la produzione della RX-8 è terminata alla metà del 2012, ma la Casa giapponese continua a studiare questo motore. Ma ci sono molti problemi tecnici. Il primo deriva dalle tenute dei segmenti che sono ai vertici del triangolo costituito dal rotore: a basso regime questi segmenti, che possiamo assoggettare alle fasce elastiche dei tradizionali pistoni, devono essere premute con lamine elastiche di spinta contro le pareti dello statore per garantire la tenuta. Aumentando il numero dei giri gli elementi di tenuta sono sottoposti a enormi pressioni dovuti alla forza centrifuga e devono vincere un notevole attrito oltre che resistere all’usura che diventa importante. Sulla NSU RO 80 arrivare a 50.000 km era un successone e le fumate d’olio dallo scarico erano notevoli. Altra situazione negativa è la conformazione della camera di scoppio che è quasi piatta e non certo utile per la migliore combustione tanto da dover ricorrere a doppie candele, che diventano tre sulla Mazda 787 B che ha vinto nel 1991 la 24 ore di Le Mans.

Altro lato negativo è quello dovuto al maggior consumo dovuto alla limitazione della camera di scoppio e all’aumento di idrocarburi incombusti, ovvero maggiore inquinamento. Per risolvere i problemi di combustione si utilizzarono anche sistemi di post combustione dei gas di scarico per abbattere le emissioni, mentre nuovi materiali, quelli ceramici, hanno migliorato la tenuta dei segmenti del rotore, ma senza un determinante esito positivo.

 

MA CHE CILINDRATA HA?

È la parte più difficile di questo motore perché se in un 4T tradizionale la cubatura è determinata da quel volume che si ottiene da un cilindro che come altezza ha la corsa del pistone dal suo punto morto inferiore e come diametro di base l’alesaggio. Nel Wankel c’è chi afferma che bisognerebbe calcolare la capacità massima di una sola camera delle tre occupate nel suo moto circolare, altri dicono che conta per tre. In maniera molto arbitraria si è pensato, specie per i regolamenti sportivi, di considerare la cilindrata effettiva quella di due camere.

 

LE MOTO

La prima: Hercules W2000 (qui le foto)

Salone di Colonia 1970. Nello stand della Hercules, che è della Sachs, il primo prototipo di una moto dotata del motore Wankel. Tre anni prima, la NSU aveva presentato la sua berlina RO 80 e detiene anche il brevetto, che comincia ad interessare anche il mondo delle due ruote. La W2000 (W per Wankel e il resto per indicare la “moto del futuro”) ha un motore raffreddato ad aria forzata tramite una grossa ventola che fa assomigliare il propulsore a quello di un motore da aereo a turbina. Cilindrata di 300 cc, potenza di 20 CV, velocità massima di 130 km/h, ma la trasmissione al cambio (che è montato trasversalmente all’albero motore) avviene con un ingranaggio elicoidale. Arriva in produzione solo nel 1974 con maggiore potenza di 27 CV a 6.500 giri, prestazione che la spinge ad una velocità di 140 km/h. La catena di montaggio si ferma dopo due anni e 1.834 esemplari costruiti.

La Hercules tenta anche la via del fuoristrada per promuovere questo motore, dimostrandone quindi l’affidabilità nelle massacranti gare come Sei Giorni (isola di Man 1975). Ma il risultato è super deludente perché la migliore delle tre moto schierate, quella del nostro Ivan Saravesi, si ritira al terzo giorno proprio per problemi al motore.

 

Suzuki RE 5 (qui le foto)

Anno 1974, e siamo alla seconda Wankel. Questa volta è la Suzuki con la RX-5 (Rotary Experimental 500 cc) che viene mostrata al salone di Tokyo e presto entra in produzione. Motore raffreddato a liquido, lubrificazione a miscela come sulla Hercules, ma pompa dell’olio separata Potenza massima 62 CV a 6.500 giri, coppia massima 7,70 kgm a 3.500 giri, velocità max 170 km/h. e consumo di 15 km/litro. In più si aggiunge un’immagine, una linea, non certo convenzionale che viene attribuita anche a Giugiaro (il disegno del cilindrico strumento).

Le prime RE 5 accusano dei problemi di carburazione il carburatore Mikuni a doppio corpo da 30 mm ha dei vuoti ai medi regimi che rendono incerta e zoppicante la risposta del motore. Anche i segmenti di tenuta si usurano precocemente con perdite di rendimento e di prestazioni. Anche di questa moto, che costava 2.856.000 lire, viene bloccata, nel 1976, la produzione.

 

Van Veen OCR 1000 (qui le foto)

Siamo nel 1978 e Motociclismo di agosto titola il servizio sulla moto olandese con un “La supermoto alla James Bond che costa 15 milioni”. Ovvero come tre BMW R 100 RS, cinque Honda CB750 Four K7 e … quarantacinque Piaggio Ciao 50. Insomma, una cifra incredibile per la più potente e grossa delle moto equipaggiate con un motore Wankel. Qui i rotori sono due, la cilindrata assimilata a 1.000 cc, la potenza massima di 100 CV a 6.500 giri, e coppia massima monstre di ben 13,8 kgm a soli 2.500 giri che permette una rapportatura di sole quattro marce e necessita della trasmissione finale ad albero cardanico. Il tutto con una stazza di 320 kg. La realizzazione si deve a Henk Van Veen, l’importatore olandese delle tedesche Kreidler, meglio conosciuto dagli appassionati delle competizioni perché i suoi cinquantini erano velocissimi: hanno vinto ben sei titoli mondiali più un settimo di Eugenio Lazzarini con la Iprem-Kreidler che usava un motore destinato ai privati. Van Veen produsse il suo motore in collaborazione con la Comotor, consociata della Citroen.

 

Norton (qui le foto)

L’anno è sempre il 1974, anno che appare fatidico per il Wankel, e la Norton recupera un progetto di BSA-Triumph e come prima moto costruisce una carenata che arriva in produzione (limitata a 25 esemplari) nel che poi diventa il modello Interpol per le forze di Polizia. Solo nel 1987 arriva in commercio la versione Classic prodotta in 100 esemplari. Il motore aveva un doppio rotare raffreddato ad aria con un’estesa alettatura e cilindrata di 588 cc. Sempre nel 1987 nasce la prima Norton Wankel da gara, per le competizioni nel campionato F1, moto che diventerà vincente anche nella SBK inglese e che si aggiudicherà il Senior TT del 1992 con Steve Hislop.

 

Wankel mai nati (qui le foto)

Come abbiamo scritto, molte aziende di auto e di moto - e anche legate all’aviazione - proveranno la strada del Wankel. Tra quelle giapponesi che costruivano motociclette, sarà solo Suzuki ad arrivare alla produzione di serie. Yamaha presenta, nel 1972, il suo prototipo RZ-201 a doppio rotore di 660 cc, raffreddato a liquido, al Salone di Tokyo, mentre Honda prova le potenzialità dell’invenzione del progettista tedesco sul basamento di una tranquilla CB125: doppia accensione, raffreddamento aria ed oli, ma cilindrata e prestazioni sconosciute.

 

 

 

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