S'impongono tra le campagne
Là dove pensiamo che la proverbiale
operosità veneta si assopisca, cioè nella placida campagna che accoglie
il “circuito“ di ville sparse fra la provincia di Vicenza e quella
di
Treviso, proprio in quell’apparente paradiso dell’otium, si sono
gettate
le fondamenta della cultura del lavoro che così fortemente identifica il
Nord Est. Ce lo illustra una straordinaria mostra, in svolgimento nelle
sale del Palazzo Barbaran da Porto: “ Andrea Palladio e la
villa
veneta, da Petrarca a Carlo Scarpa”, dalla quale impariamo che quelle
sontuose residenze che spuntano fra ordinati poderi con i loro severi volumi,
in puro stile neoclassico (se ne contano più di quattromila nel Veneto,
almeno una per Comune), non erano solo ricettacoli del lusso di facoltosi
signori, ma delle vere e proprie aziende, esempi, cioé, di organizzazione
del lavoro. Le ville, insomma, vengono prese in considerazione dalla rassegna
non solo come oggetto di archittetura ma anche come vere e proprie fazendas,
offrendo una nuova visione di tutta la regione.
Il rito del mercato in villa
Il nostro tentativo di “revisione” ha inizio uscendo da Vicenza, una
città che abbiamo imparato a vedere con occhi diversi anche grazie al
l’ultimo
film di Matteo Garrone, Primo amore, che utilizza la cultura del
lavoro di queste zone come ambientazione (da vedere!). Affrontando il fitto
reticolato di vie che ricamano la campagna al di qua del fiume Brenta,
non è difficile entrare nell’ottica dell’economia della
casafattoria.
A Sandrigo ci imbattiamo in Villa Sessa Schiavo Nardone, realizzata da
un cultore della filosofia palladiana del modello fazenda. Qui, fra
l’altro,
scopriamo che, ogni venerdì, si celebra il rito del mercato, come avveniva
nel ‘600, quando ci fu un periodo di fioritura delle attività agricole
e dell’allevamento degli animali domestici, e il paese divenne un
importante
centro di scambi della regione. Procedendo verso nord, ci soffermiamo a
Sarcedo, dove si trova la residenza del Conte Orazio Claudio Capra, letterato
e architetto, che la costruì seguendo pedissequamente i dettami del Maestro,
come testimoniano certi richiami alla romanità. È la volta, poi, di Villa
Godi Valmarana, ora Malinverni, a Lonedo, frazione di Lugo di Vicenza,
la prima della lunga serie realizzate da Palladio (1542), e che costituisce
un precedente importante anche per la serie di affreschi che ospita al
suo interno.
I monumenti della grappa
Il paesaggio, a questo punto, comincia a movimentarsi e le altitudini crescono
man mano che ci avviciniamo a Bassano del Grappa. Il paese, insieme a Marostica,
si trova lungo il confine fra pianura e montagna. Ma il paradosso ambientale,
a questo punto, non è l’unico ad animare il nostro viaggio. Qui infatti
assistiamo anche ad un clamoroso salto culturale, per cui improvvisamente
dal classicissimo stile palladiano si passa all’avveniristico stile di
Massimiliano Fuksas, artefice di quelle mirabolanti “bolle” di vetro
che, di recente, sono state piazzate davanti alle storiche distillerie
Nardini, per celebrare 225 anni di vita del prestigioso marchio. I comittenti,
racconta Fuksas, non hanno posto nessuna condizione, né in termini di soldi
né di stile: hanno solo detto che, in occasione dell’anniversario
pluricentenario,
erano intenzionati a farsi un regalo, che questo regalo doveva consistere
in una “architettura”, e che questa architettura non doveva
intaccare
le querce americane che fin dagli anni ‘70 s’ergono di fronte al
tempio
bassanese della grappa, anzi, dovevano far parte del progetto. Così è nato
il progetto degli alambicchi: due astronavi del gusto, “ due nidi di
vetro in bilico sulle gambe di un fenicottero di acciaio”,
che si integrano perfettamente nello spazio circostante e sono assolutamente
coerenti allo stile dell’architetto romano, che, com’è noto, ama
giocare
con il vetro e creare strutture sospese, in grado di offrire tanti punti
di vista differenti. Il progetto “nuvola”, con cui Fuksas ha vinto
il
concorso per la costruzione del nuovo centro Congressi di Roma, ne è un
esempio, come i nuovi edifici della Fiera di Milano-Pero, a Milano,
soprannominati
il “vulcano di vetro”. È evidente il contrasto fra queste
forme
naturali e lievi (come l’alcool che vi viene distillato), che si muovono
nello spazio, e gli edifici palladiani, che non si fondono, bensì
s’impongono
nello spazio, lo addomesticano, lo razionalizzano. Due modi opposti, potremmo
dire, di concepire l’architettura.
Asolo, Maser, Fasolo
Ci vuole concentrazione per ricalibrarsi con la cultura della villa, dopo
lo shock delle “bolle”. Ma la realtà orografica in cui si inserisce
Bassano
del Grappa ci aiuta a mantenere il contatto con il movimento. Posta infatti
su un’ansa del Brenta, laddove le sue acque si gettano nella pianura,
la città ci offre un paesaggio poliedrico come i vetri degli alambicchi
(destinati a diventare un monumento e un simbolo, come il ponte sul Brenta).
Proseguendo verso nord, in direzione dell’altro grande corso d’acqua
che solca la campagna palladiana, il Piave, attraversiamo la bella Asolo
e facciamo una sosta nella Villa Barbaro, a Maser, una summa dei temi stilistici
che contraddistinguono la villa dell’Architetto: facciata ispirata alla
fronte di un tempio, corpo centrale a due piani, avanzato rispetto alle
braccia. Più o meno lo stesso schema che troviamo nell’ultimo edificio
da noi visitato: Villa Emo, a Fanzolo, considerata la villa ideale del
Palladio. Nel senso che, più di ogni altra, mette in pratica il suo fine
di coniugare forma e funzione. Il palazzo infatti integra la casa del padrone,
le barchesse per gli attrezzi agricoli e le colombare, dando espressione
alla concezione moderna di casa-fattoria. Ormai siamo già tornati in piena
pianura. La visione dei nidi di vetro è un già un ricordo, il paesaggio
ritorna placido. Siamo pronti a rientrare a casa.
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